il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2022
Fistrutti dall’urbanizzazione
“Là dove c’era l’erba ora c’è una città…
Ma come fai a non capire È una fortuna, per voi che restate A piedi nudi a giocare nei prati Mentre là in centro io respiro il cemento…
Torna e non trova gli amici che aveva Solo case su case Catrame e cemento
Là dove c’era l’erba ora c’è Una città…
Perché continuano A costruire, le case E non lasciano l’erba
Eh no Se andiamo avanti così, chissà Come si farà Chissà Chissà Come si farà”
(Adriano Celentano Il ragazzo della via Gluck)
Questa famosa canzone di Celentano è del 1966 e non è interessante per il tema ambientale, che fra gli intellettuali più avvertiti era all’ordine del giorno già negli anni Trenta, ma che negli anni Ottanta si estenderà al sentire anche del la ‘gente comune’ con la formazione di gruppi ecologisti (Alexander Langer). Del resto nel 1972 il Club di Roma diretto da Vitaliano Aurelio Peccei, ma i cui componenti erano scienziati del prestigioso MIT, pubblicherà un libro fondamentale I limiti dello sviluppo in cui prevedevano che alcune essenziali fonti di energia, come il petrolio ma non solo, si sarebbero esaurite intorno al Duemila. Purtroppo si sbagliavano perché queste fonti resistono ancora adesso. Comunque quelli del club di Roma si rendevano conto che non può esistere uno Sviluppo illimitato, senza fine. Se ci avessero azzeccato saremmo stati costretti a limitare i nostri consumi e con essi la produzione. Un’occasione si è presentata ai nostri giorni con il Covid e il lockdown. Costretti per mesi in casa, ridotti a una vita da trappisti, avremmo dovuto capire che di molti beni potevamo fare a meno.
Celentano aveva intuito, perché questa era stata la sua storia, che l’urbanizzazione distrugge la vita di una comunità.
E con l’urbanizzazione si torna al tema ambientale ed ecologico e quindi anche al recente disastro idrogeologico delle Marche. Scrive Fabio Canessa, uno di quelli intellettuali di provincia che sono l’autentico nerbo della cultura del nostro paese: “È significativo che il nubifragio marchigiano non abbia fatto danni nei vecchi borghi storici costruiti secoli fa e abbia invece distrutto, uccidendo 13 persone, i paesi più nuovi e cementificati, nei quali l’acqua non poteva essere assorbita dal terreno” (Università di Aristan).
Senza una campagna attorno, “l’erba” come la chiama Celentano nella sua canzone, l’acqua scivolava con grande facilità come su un tappeto da biliardo.
Quelli del MIT, degli scienziati, non degli umanisti, concludevano così I limiti dello Sviluppo: “Un’ultima osservazione: è necessario che l’uomo analizzi dentro di sé gli scopi della propria attività e i valori che la ispirano, oltre che pensare al mondo che si accinge a modificare, incessantemente, giacché il problema non è solo stabilire se la specie umana potrà sopravvivere, ma anche, e soprattutto, se potrà farlo senza ridursi a un’esistenza indegna di essere vissuta”.
“Se andiamo avanti così chissà come si farà, chissà come si farà”.