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 2022  settembre 29 Giovedì calendario

Due interviste a Manuel Agnelli



Stefano Mannucci per il Fatto

“Voleva strapparmi il pisello e portarselo a casa”.

Ma chi?

Un’invasata. E per la millesima volta si fregarono il microfono. Mi ero tuffato nel pubblico credendomi un dio greco. Fu una lezione di umiltà.

Però salvò le pudenda, Manuel Agnelli. E sono cose che capitano anche a Blanco.

Per lui è stata una toccatina pop. Io fui ghermito lì, non era una bella sensazione.

E il microfono?

Tutto nasce dal mio vezzo di swingarlo come un lazo. Agli esordi il microfono girava, partiva e non tornava indietro. Capii che dovevo assicurarlo con lo scotch. Ma anche lì riuscivano a impossessarsene. Provai con il diving, per poco non ci rimisi l’apparato uro-genitale.

Rischi da rockstar. Hendrix aveva groupie che gli facevano il calco. Al pacco.

Resta da capire come si riesca a stare in posizione, mentre il gesso si solidifica.

Questo suo disco solista, Ama il prossimo tuo come te stesso, è potente ma anche elegiaco, suonato “alla vecchia”, liricamente illuminato. Che ne facciamo degli Afterhours?

Mi sono inoltrato in molte stanze inesplorate tra noise e riff. Sperimento con strumenti presi dalla vita quotidiana, mi dedico con assiduità al pianoforte. La band tornerà, quando avremo qualcosa da dire. Un gruppo rock non è un’azienda, non deve mettere in agenda progetti tanto per. Intanto a dicembre tornerò in tour con il gruppo fantastico dei concerti estivi.

Nell’album ci sono i Little Pieces of Marmalade, suoi figliocci a X Factor. E i Maneskin?

Costavano troppo. Scherzo. Abbiamo suonato spesso insieme. Ora sono dall’altra parte del mondo.

Ha una responsabilità, su tutto questo.

Ho dato un paio di colpi di pedale, all’inizio, quando volevano indirizzarli verso un pop più patinato della furia chitarristica rock che consigliavo loro. In tv non erano contenti di veder Damiano così ribaldo, io lo incoraggiavo. In ogni caso, il successo dei Maneskin ha sottratto l’industria discografica italiana dal ruolo di importatrice dei prodotti delle case madri. Se un ragazzino torna a sognare di poter suonare a New York, abbiamo fatto una cosa buona.

E lei? Quale fu la sua prima canzone?

Si chiamava Love is girl.

Roba punk?

Una noiosa ballatona alla Neil Young. Avevo 11 anni, ero già il cacacazzi in un gruppo di diciassettenni. I Woodblock, teste di legno. Avevamo un adesivo con un tizio piegato che si ficca la testa nel culo e la dicitura ‘Il suo problema è ovvio’.

Oggi ha 56 anni. Prese la coda del ribellismo degli anni 70. Andava alle manifestazioni?

Fui arrestato. In seconda liceo. Gli organizzatori del corteo erano convinti che se avessero messo in testa noi ‘quintini’, la polizia non sarebbe intervenuta.

L’avranno trattenuta dieci minuti.

Due sberle me le diedero. Non andavano per il sottile. Tuttavia, sulle forze dell’ordine ho posizioni pasoliniane. Lavorano in una situazione terrificante. Quando ce la prendiamo con loro, guardiamo il canarino senza accorgerci dell’aquila che sta per mangiarci il cuore.

In un Paese che da qualche giorno…

Purtroppo hanno vinto quelli. Ma ce lo meritiamo. Dobbiamo rimettere in moto il cervello, a sinistra, ricreare un’identità. Eravamo lì a contar balle in un mare di merda. Ora, finalmente, siamo costretti a ricostruire e riconoscerci. I fasci & friends hanno proposto un’idea e li hanno votati. Noi il nulla.

Come dice il suo pezzo, ora abbiamo i Proci in casa.

La possiamo leggere così, però era dedicato a tre personaggi che mi si sono attaccati fingendo di essermi utili, per farsi solo i cazzi loro. Non svelerò i nomi.

Pausini e Bella Ciao? Una querelle ridotta a una schermaglia pop.

Il solito derby dei social, che non va mai a fondo delle questioni.

Invece Severodonetsk?

Parla di un tizio che per uscire da quell’inferno deve mettere se stesso in stand-by. Per guerra e pandemia i media usano solo numeri, la conta dei morti, senza mai concentrarsi sui destini individuali.

Come è andata la serie che ha girato in Transilvania?

Il mio idolo Dracula non c’entra. Ho accettato perché non era la solita proposta del poliziesco dove avrei dovuto fare il capo degli spacciatori. Questo era un western, Django. Otto pose. Mi ero esercitato con la Colt, ma per le scene serviva un fucile. Ho fatto fuori tutti i nemici. Ero il proprietario di una pompa di petrolio in Louisiana. Stretta attualità.

***

Paolo Giordano per Il Giornale

Conciso e concettoso: «Questo è il mio primo album solista e non sarà l’ultimo». «I Maneskin funzionano per magia ma non sono un progetto fatto bene». «La scena alternative rock ormai è fascista». «La nostra classe intellettuale? Inutili Don Abbondio». Manuel Agnelli presenta il suo primo disco solista che ha un titolo «prestato», ossia Ama il prossimo tuo come te stesso e che, già al primo ascolto, risulta uno dei pochi suonati per davvero con un senso compiuto e raffinato. Ha 56 anni, bicipiti ancora scolpiti e capello lungo stile hyppie di Woodstock, per decenni è stato «solo» il leader degli Afterhours adorato dai fans ma sconosciuto a quasi tutti gli altri. Poi è diventato «anche» un volto tv grazie a X Factor, ha vinto un David di Donatello e ora può sostanzialmente scegliere di fare ciò che vuole, dall’essere protagonista di Lazarus, il musical di David Bowie, fino a debuttare da solista in un’età in cui di solito si pubblicano greatest hits. Insomma, resta divisivo, può piacere oppure no, essere amato o disprezzato o ignorato ma ce ne fossero, di musicisti così.
Però perché un disco solista proprio ora dopo decenni di onorata carriera con gli Afterhours?
«Durante il primo lockdown iniziato a fare musica per il gusto di fare musica, suonando cose che avevo in casa, pentole, mestoli eccetera. Poi tutto ha preso forma e ho chiamato dei musicisti».
Debutto da solista significa fine degli Afterhours?
«No, ora gli Afterhours sono soltanto un progetto, torneranno quando avranno qualcosa da dire, magari tra 25 anni».
È stato facile prendere questa decisione?
«Non è mai facile mollare una cosa quando funziona ed è complesso uscire da quella Corazzata Potëmkin che sono i progetti quando diventano importanti. Con loro non ho senza dubbio sofferto la mancanza di rilevanza. Ma mi stava stretto sembrare il canzonettaro, quello che sul palco suonava la chitarra acustica e scriveva le melodie quando ho partecipato alla nascita di pressoché tutte le canzoni della band».
Poi è arrivata la tv. E le critiche di qualche parte del mondo alternative rock.
«È diventato fascista, con troppe regole. Mi sembra un gruppo di lobbisti farisei che cerca di avere in mano le tavole della legge, un modo per avere in mano la situazione, sennò non contano niente».
Comunque X Factor le ha dato tanta popolarità.
«Grazie alla quale ho partecipato anche a un po’ di cene nei salotti e mi sono reso conto che ci sono persone che usano la cultura solo per avere rilevanza. Negli ultimi trent’anni c’è stata una destrutturazione culturale pazzesca. Ecco perché abbiamo una classe intellettuale così inutile».
In questo nuovo quadro, ha cambiato parere anche sulla politica?
«Io sono di sinistra da sempre, e spesso sono stato più a sinistra di quanto lo sia oggi. Credo che quanto decretato dalle urne sia una grande occasione per ripartire».
Oltre a Severodonestsk, nel disco c’è anche un altro titolo: Guerra e pop corn.
«Racconta di chi assiste alla guerra dal divano. La tv ha sempre amato la cosiddetta tv del dolore, ma oggi ne vedo poca per ciò che riguarda la guerra. Come prima tutti erano virologi, ora tutti sono geopolitici».
Quanto al pop, invece, tutti sono contabili: cercano la quantità di numeri più che qualità delle canzoni.
«Oggi la cultura che vince è quella del consenso. C’è tanta gente che compone soltanto per avere consenso. Per carità, non è sbagliato sperare di vendere dischi e di avere successo, ma solo se il successo è la conseguenza di qualcosa che abbia senso».
Ha senso recitare in Lazarus, il musical firmato da David Bowie?
«Quello che mi piace di Lazarus è che non è un revival, una riscoperta del passato. È nuovo, è il suo debutto in Italia. Ed è stato scritto da David Bowie, per me un onore enorme».
Sarebbe un onore il Festival di Sanremo?
«In realtà l’ho in qualche modo vinto con i Måneskin».
A proposito, come li vede oggi?
«I Måneskin funzionano quasi per magia, ma non mi sembrano un progetto costruito bene. Sono così giovani e hanno tanti che li tirano per la giacchetta, come diceva quel tale. Mah».
Allora, Manuel Agnelli, tornerà al Festival?
«Se mi offrono un transatlantico d’oro sì. Ma non in gara».