Il Messaggero, 29 settembre 2022
Intervista a Carlo Nordio
Onorevole Carlo Nordio, qual è il dato politico che viene fuori dal voto del 25 settembre?
«Prima di tutto un grande desiderio di cambiamento. Il governo Draghi ha operato bene nell’ambito economico e finanziario, e anche sulla Giustizia ha dato segnali importanti. Ma è stato limitato da una maggioranza rissosa e disomogenea, e soprattutto dai disastri dei due governi precedenti. Ora dobbiamo spingere l’acceleratore su questa linea riformatrice. Dobbiamo usare rigore, evitare gli sprechi, recuperare risorse, e soprattutto incentivare lavoro e imprese. Dobbiamo creare ricchezza, sburocratizzando le procedure e liberando le immense energie del Paese: solo così possiamo poi ridistribuirla ai meno fortunati».
Quali sono gli interventi più urgenti?
«Oggi la priorità è l’economia, e quindi anche gli interventi più urgenti sulla giustizia sono quelli che possono incidere subito sul bilancio. Occorre ridurre la lentezza dei processi, madre dell’incertezza del diritto, della sfiducia dei cittadini, della contrazione degli investimenti e di un rallentamento dell’economia che ci costa un 2% di Pil. Poi bisogna liberare gli amministratori dalla cosiddetta paura della firma, che paralizza la loro attività, e quindi rivedere radicalmente i reati di abuso di ufficio, di traffico di influenze, e tutte quelle forme di responsabilità contabile che li rende, comprensibilmente, troppo prudenti. In prospettiva, ovviamente, sta la piena attuazione del codice Vassalli, un codice liberale voluto da un socialista decorato dalla Resistenza, sconfessato da anni di interventi demolitori».
Secondo FdI la Costituzione è bella ma ha 70 anni. C’è la possibilità di cambiarla anche senza le opposizioni? Il presidenzialismo è realizzabile?
«La nostra Costituzione fu un miracolo di compromessi, scritta da grandi statisti ma oggi è invecchiata, come tutte le cose di questo mondo, e va riadattata alle nuove esigenze. Ovviamente si può e si deve farlo solo con il concorso e il contributo della maggior parte delle forze politiche. Personalmente preferirei un’Assemblea Costituente, come da tempo suggerisce la Fondazione Einaudi di cui mi onoro di far parte. Quanto al presidenzialismo, o meglio semipresidenzialismo, sarebbe una garanzia di stabilità che oggi manca. In Francia fu voluto da De Gaulle dopo la crisi causata dalla guerra algerina: funziona, e nessuno, si sogna di dire che sia un regime dittatoriale».
Va rivisto anche il rapporto tra sovranità degli Stati dell’Europa e quella della Ue? La Germania in effetti ha già adottato una norma della Corte Costituzionale secondo cui, tra due sistemi normativi, prevale quello che tutela di più i tedeschi
«In effetti in Europa c’è una dissonanza di visioni che andrebbe composta in modo collettivo. Questo dipende dall’assenza di una costituzione europea che andrebbe promulgata».
Come valuta l’exploit di FdI al Nord, anche nel suo Veneto?
«Servirà un attento esame retrospettivo. Ma oggi l’elettorato è molto volatile, e può esser più sensibile ad argomenti che ieri lo appassionavano, e che ora sono in secondo piano. Aggiungerei che le iniziali oscillazioni in politica estera davanti alla criminale aggressione dell’Ucraina da parte di Putin non hanno giovato all’immagine dei nostri alleati, che per fortuna hanno poi cambiato idea».
Come si colma il divario tra Nord e Sud, dove grazie al Reddito di cittadinanza ha avuto un grande exploit M5S?
«Creando posti di lavoro, reali e non fittizi. Quindi attraverso gli investimenti utili, sfruttando le particolarità qualità del nostro meraviglioso meridione. Mezzo secolo fa si volle costruire un’acciaieria a Gioia Tauro, una follia. Oggi c’è grande spazio per il turismo, le infrastrutture e le energie alternative: in alcuni settori tecnologici vi sono al Sud industrie all’avanguardia mondiale. È irragionevole disperdere nel reddito di cittadinanza risorse che potrebbero contribuire a questa rinascita».
Lei è stato a lungo corteggiato anche da Matteo Salvini? Perché ha scelto Meloni per candidarsi?
«Io per la verità non sono stato corteggiato da nessuno, anche perché stavo benissimo dov’ero. Le cose cambiarono quando a dicembre Giorgia Meloni mi invitò ad Atreju ad un dibattito con la ministra Cartabia, e mi disse che voleva un interlocutore garantista e liberale. E quando, con mia sorpresa, mi onorò di una candidatura alla Presidenza della Repubblica, ripeté il concetto. Quindi la prospettiva di far qualcosa di concreto dopo aver scritto per 30 anni sulle criticità della nostra giustizia è stata effettivamente una lusinghiera tentazione».
Si sente pronto per fare il ministro della Giustizia?
«Qualcuno ha scritto che mi sarei autocandidato, un’assurdità. Semmai è il contrario, perché ho già detto che per la mia preparazione tecnica mi riterrei più adatto in commissione Giustizia, in quanto è lì che si elaborano le leggi. Certo, avendo visto la situazione disastrata degli uffici giudiziari, la tentazione di entrare al Ministero e di colmare rapidamente gli organici e di implementare le risorse sarebbe molto forte. In ogni caso sarebbe irriverente pronunciarsi su una nomina che spetta al Capo dello Stato».
In alternativa che ruolo vorrebbe ricoprire?
«Beh, se proprio dovessi manifestare un sogno, mi piacerebbe la cultura: occuparmi di teatro, di musica, di musei. E potrei riprendere a scrivere sulla terza pagina della domenica».
Ripristinerebbe l’immunità parlamentare?
«Premetto, a scanso di equivoci, che questo non rientra nel nostro programma. Detto questo, penso sia stato un gravissimo errore abolirla, perché ha vulnerato l’autonomia della politica esponendola alle incursioni, spesso infondate, della magistratura: un rischio che i padri costituenti, che non erano certo sprovveduti, conoscevano bene e vollero evitare».
Ha parlato della necessità di ridurre le intercettazioni, che costano allo Stato 200 milioni l’anno, come si può fare senza che ci rimettano le indagini?
«Ho fatto il Pm continuativamente per 40 anni, in una delle più importanti procure d’Italia, ho abbastanza esperienza per affermare che il 90% delle intercettazioni sono fatte a strascico, per cercare qualcosa sulla base di semplici indizi: non portano a nessun risultato definitivo e devastano l’onore e la riservatezza dei cittadini. Tenendo il dieci per cento realmente utili risparmieremmo in cinque anni quasi un miliardo di euro».
Come si porrà il nuovo governo Meloni nei confronti dell’Europa e del Mondo?
«La nostra adesione all’Alleanza Atlantica, ai princìpi delle libertà occidentali e all’idea di Europa è assoluta, e non varrebbe nemmeno la pena di parlarne. Tutti sanno come la penso, in particolare sulla criminale aggressione all’Ucraina, una Nazione sovrana che va aiutata con le armi, le sanzioni e la diplomazia. Certo vorremmo l’Europa immaginata da De Gasperi, da Schuman e da Adenauer, fondata sui principi della civiltà liberale e cristiana piuttosto che su un’organizzazione più burocratica che idealistica, che non ha saputo nemmeno darsi una Costituzione, e che anzi ne ha ripudiato i preamboli religiosi e culturali che ne dovrebbero costituire le fondamenta. Vorremmo portare in Europa queste alte aspirazioni, che non son affatto incompatibili con la legittima tutela dei nostri interessi nazionali».
Per il Quirinale, quando venne fatto il suo nome e lei rispose con un Domine, non sum dignus. Se glielo richiedessero, finito il mandato di Sergio Mattarella?
«Quando il presidente Mattarella finirà il suo mandato, avrò un’età idonea ad usare un’altra espressione evangelica: Nunc dimittis servum tuum, Domine».