Avvenire, 29 settembre 2022
Le case a Milano costano troppo. Se ne vanno tutti
Il problema di Milano? La casa. E non è una battuta alla Johnny Stecchino («Il traffico», a Palermo»). Milano fa i conti con una bolla immobiliare che ne sta lentamente cambiando il volto. Una corsa dei prezzi immobiliari all’insù – sia sulla vendita sia sulla locazione – che dura da qualche tempo e che di fronte ai rincari energetici e l’impennata dell’inflazione degli ultimi mesi rischia di far saltare il sistema con effetti devastanti sul tessuto sociale e il rischio che Milano diventi davvero una città per (soli) ricchi. Alla moltiplicazione dei costi dell’energia che si sta abbattendo sulle abitazioni private e i condomini, si aggiunge un’altra spada di Damocle: l’adeguamento annuale dell’Istat per gli affitti, che nel periodo agosto 2021-agosto 2022 è balzato all’8,1 % per le rivalutazioni al 100% e al 6,075 % per le rivalutazioni al 75%. Valori doppi rispetto solo a gennaio, che in questi termini non si vedevano dal 1985 e che non potranno che avere un effetto al rialzo dei contratti di locazione. Soprattutto quelli commerciali e legati alle grandi proprietà che non applicano la cedolare secca o il canone concordato (chi ha questi tipi di contratto è al momento al riparo dagli adeguamenti), almeno fino alla scadenza.
«Veniamo da un trend che vede Milano – dice Ermanno Ronda, segretario generale cittadino del Sicet, il sindacato degli inquilini della Cisl – nella top 5 delle città europee che hanno registrato un maggiore aumento degli affitti nel 2021, con un incremento medio annuo del 14,4%. L’aumento costante dei valori di affitto rappresenta un elemento ormai strutturale del mercato milanese, che in assenza di interventi regolatori pubblici e di risposte adeguate per i nuclei che non possono accedere al mercato produce sfratti per morosità e pignoramenti dell’alloggio di abitazione e un costante aumento delle espulsioni dei poveri e non solo dalla città. Da più di vent’anni ormai le famiglie italiane che vivono in affitto pagano le politiche di deregulation del mercato». È qui che si annidano ovviamente le situazioni di povertà assoluta, che fra gli effetti sull’economia del Covid e i rincari degli ultimi mesi sono in forte espansione. Registriamo un «aumento drammatico delle esecuzioni di sfratti. Senza che ci sia alcuna possibilità di supporto. Abbiamo chiesto un intervento del Comune ma senza risposta. Anzi: la risposta è, sostanzialmente, ’arrangiatevi’. Vediamo famiglie con minori e anziani, invalidi, messi alla porta».
La narrazione e l’idea di una città creativa e pulsante, sede di grandi eventi e turistica, alla moda e innovativa che va avanti dall’Expo e guarda ora alle Olimpiadi del 2026, si scontra con un fenomeno opposto e preoccupante: la gentrificazione, l’espulsione di grandi fette di popolazione dal centro e da larghe parte delle periferie. Per lasciare la città alle fasce più abbienti o ai visitatori business
e i turisti di passaggio, da ’affitti brevi’. D’altra parte, se di fronte ai prezzi delle case saliti del 39% in cinque anni, ma gli stipendi fermi con il 60% delle dichiarazioni dei redditi dei milanesi al di sotto dei 26mila euro all’anno e di questi il 35% sotto i 15mila, senza contare il 5,8% di disoccupati e il variopinto sistema dei contratti a termine, cosa può succedere? «Che il divario tra ricchi e poveri aumenta e che anche il ceto medio si vede espulso da tessuti urbani attrattivi. Succede che a Milano si sta imponendo un modello di città in cui la dimensione della redditività immobiliare si afferma come pensiero dominante», faceva notare tempo fa Alessandro Maggioni, presidente di Ccl, il Consorzio cooperative lavoratori che fa capo alle Acli, lanciando insieme a Delta Ecopolis e in partnership con il Dipartimento di architettura e studi urbani (Dastu) del Politecnico di Milano l’Osservatorio Casa Affordable (Oca) per monitorare le dinamiche di ’affordability’ (cioè il rapporto tra costi abitativi e capacità economica). «Il Comune – riprende Ronda – ha puntato su una visione di città molto selettiva. Si sono attivati meccanismi che premiano operazioni speculative e ciniche, senza nel contempo sostenere l’edilizia agevolata o sovvenzionata».
La voce degli inquilini. Che non diverge molto – paradossalmente – dalle considerazioni che fa Confedilizia, la storica organizzazione che rappresenta i proprietari di casa. Perché anche nel tempo dei bonus e del boom immobiliare, il settore manifesta criticità. «I meccanismi al rialzo dei prezzi sono generati dalla disfunzione complessiva del sistema – spiega il presidente della federazione milanese, Achille Lineo Colombo Clerici –. Per tanti anni si è penalizzato il singolo proprietario e l’investitore che guarda al reddito – tartassandolo e lasciandolo senza tutele – per dare spazio ai fondi finanziari che guardano al valore patrimoniale». La produzione edilizia – fa notare Colombo Clerici – si può svolgere su tre livelli: «quella libera, ma che sia veramente libera; l’edilizia agevolata, quella che fanno per esempio le cooperative; e l’edilizia sovvenzionata. Perché il sistema regga, è necessario che funzionino tutte e tre. E che l’edilizia pubblica faccia pienamente la sua parte, senza pensare che si scarichino gli oneri di socialità sui privati, con un sistema di welfare adeguato e gli investimenti necessari. Altrimenti ogni altra considerazione, come il canone concordato – conclude il rappresentante di Confedilizia – serve a coprire solo situazioni residuali. La via maestra è un’altra». E se fra Area C e Area B – non senza polemiche – il traffico di Milano è tutto sommato sotto controllo, a Milano resta il problema della casa. Che non si può più ignorare, se si vuole una città viva fino in fondo, una comunità autentica e non semplicemente un ’luogo’ da attraversare e da bere, occasionalmente. Per gli altri. Per pochi. Ma non per tutti.