Corriere della Sera, 29 settembre 2022
A casa di Monica Bellucci a Parigi
N ella cucina di casa Bellucci, a Parigi, dietro agli sportelli si scorgono pacchi di pasta e un barattolo di Nutella: come in tutte le famiglie francesi, ormai. Ma c’è un’altra cosa che parla di Italia, ed è una grande e splendida fotografia di Sophia Loren sorridente, appesa sul muro blu. «L’ho vista nella vetrina di un negozio qui a Parigi e ho pensato che dovessi assolutamente averla — racconta —. Sono entrata, mi hanno detto che la foto non era in vendita, ma ho talmente insistito che mi hanno accontentata, sono stati gentili. Parigi è la città del Nord Europa, perché di questo si tratta in fondo, più vicina a noi italiani».
Monica Bellucci ci apre la porta con quel sorriso che i francesi adorano, simbolo di un’Italia affascinante e accogliente allo stesso tempo. Qui è considerata un’ambasciatrice del nostro Paese o almeno della sua versione migliore, associata a intensità, bellezza, eleganza. La definiscono «ipnotica» e «divina», ricordano spesso con orgoglio che è a Parigi che vive «la donna più bella del mondo».
Ma qual è il giudizio di Monica Bellucci sulla sua città d’adozione, che accoglie almeno 35 mila italiani come lei? Che cosa ha pensato la prima volta che ha visto Parigi? «Ero giovanissima, doveva essere il 1981 e sono venuta qui per qualche giorno per fare la modella e scattare alcune foto di moda. Vivevo a Città di Castello, in provincia di Perugia, ero una ragazzina e Parigi mi è sembrata un luogo meraviglioso, mi dicevo: “Come potrei vivere in una città così grande?”».
Forse solo un italiano di Roma può arrivare a Parigi senza lasciarsi impressionare (Parigi sarà bella ma è pur sempre priva di Colosseo e Ponentino). Per molti altri italiani Parigi rappresenta ancora una meta sulla quale fantasticare, un luogo più grande, spettacolare e cosmopolita della provincia italiana e allo stesso tempo addolcito da qualcosa di famigliare. Monica Bellucci è arrivata qui per la prima volta nel 1981, e il legame negli anni non si è mai allentato, anzi.
Il giorno e la notte
«Durante il liceo venivo per le foto per due settimane l’anno ma poi tornavo a scuola a Città di Castello, era come passare dal giorno alla notte. Poi dopo la moda ho cominciato a fare il cinema, il mio grande sogno sin da bambina, e il primo film francese è stato L’appartamento, nel 1995. Ho viaggiato molto per lavoro in tutto il mondo, ma alla fine mi sono stabilita definitivamente a Parigi dieci anni fa, per le mie figlie Deva, che adesso ha 18 anni, e Léonie che ne ha 12. Ho scelto Parigi come base per farle crescere, perché lavoro soprattutto qui, anche se sono nate entrambe a Roma».
Come e più che a Londra o a New York, a Parigi ci si può sentire del posto senza perdere l’attaccamento alle origini e senza sentirla come una contraddizione. Spesso sono i figli a dimostrarlo: le ragazze Bellucci continuano a sentirsi italiane «e parlano benissimo l’italiano. Andiamo spesso in Italia e coltiviamo la nostra doppia appartenenza, mi sembra una bella cosa». Accanto alle radici italiane c’è la scelta di una vita francese, e ogni appassionato di Parigi ha una sua ragione principale per amare la capitale. Quel che piace di più a Monica Bellucci è «il fatto che sia così piena di differenze, un misto di etnie diverse che da sempre convivono insieme. È quello che mi ha colpito di più da ragazza, e che tutto sommato mi affascina ancora adesso. Una cosa magica. Parigi e la Francia si fondano su questo, la capacità di accogliere culture diverse per fare nascere una cultura nuova e originale».
Il periodo più duro
Se gli anglosassoni privilegiano il multiculturalismo che certe volte significa separazione e lo sviluppo autonomo di ogni comunità — ognuno sta con i suoi simili e mantiene le sue abitudini —, l’universalismo francese prevede una certa dose di amalgama, di mescolanza: almeno idealmente, si è chiamati a diventare un po’ francesi, e in cambio la Francia si evolve grazie al contributo di chi arriva da fuori. Un modello che ha conosciuto la sua crisi più tragica con gli attentati islamisti del 2015, ai quali i parigini risposero con una dimostrazione di eccezionale unità e solidità. Un piccolo ma significativo episodio fu il record di vendite di «Parigi è una festa», il libro di memorie di Ernest Hemingway che celebrava la gioia di vivere parigina ricordando i suoi soggiorni negli anni Venti (in Italia il libro si intitola Festa mobile, ndr). «Il periodo degli attentati fu terribile ma la città e il Paese hanno retto. Questo è quel che rende grande la Francia, secondo me. Parigi è sempre riuscita a fare coesistere tutte le esperienze e tutte le origini».
Vitti e Mastroianni
Parigi è anche una città fatta di quartieri, segnata dalla divisione tra rive droite (un tempo più solenne e conservatrice) e rive gauche (più artistica e bohème), a nord e a sud della Senna. Una distinzione che in parte resiste, anche se ormai conta di più quella tra l’Ovest della città, più agiato, e l’Est popolare. Monica Bellucci ha scelto il Quartiere Latino, nella rive gauche, «perché è ospitale, tranquillo e vivace allo stesso tempo, e ha una tradizione di accoglienza degli artisti e intellettuali di tutto il mondo, che si dividevano tra qui e Montparnasse, come Modigliani per esempio».
Quella tradizione è continuata nei decenni successivi, con l’età d’oro del cinema e delle collaborazioni tra Francia e Italia. «Pensiamo a Mastroianni o alla Cardinale, o a Monica Vitti che qui è adorata, o a tutti i meravigliosi attori francesi che hanno lavorato in Italia, da Michel Piccoli a Jean-Louis Trintignant ad Alain Delon. Lo scambio è sempre stato enorme, non è difficile per un’attrice italiana sentirsi a casa in Francia e in particolare a Parigi, il fatto che siamo cugini lo senti ogni giorno. Ma credo che questo valga per tutti gli italiani. Le tracce della cultura italiana in quella francese sono ovunque e molto importanti, basta pensare a Leonardo da Vinci che è morto in Francia e a tutto il Rinascimento».
La casa di Voltaire
La giornata parigina di Monica Bellucci è «di una assoluta normalità». «Ruota molto attorno alle mie figlie. Mi alzo presto per preparare loro la colazione prima della scuola, accompagno la più piccola, poi sbrigo qualche cosa o qualche appuntamento, spesso pranzo con la più grande oppure aspetto che escano da scuola. Una giornata da mamma». Ma la Bellucci è considerata un’icona dell’Italia nel mondo, e in Francia è come la Torre di Pisa, un simbolo del nostro Paese. È una responsabilità impegnativa? La fermano per strada? «Capita, ma non succede mai in modo opprimente o spiacevole. Posso andare a fare la spesa o a fare una passeggiata con grande tranquillità. I parigini sono talmente abituati ad avere tra loro artisti arrivati da ogni Paese che non ci fanno troppo caso. C’è un rapporto abbastanza naturale con le persone che fanno il nostro lavoro».
I ristoranti preferiti sono di solito una buona spia della personalità e del rapporto con una città. E quelli della Bellucci sono coerenti con il suo essere un’italiana di Parigi curiosa degli altri Paesi. «Adoro vivere in una città-mondo dove si può mangiare qualsiasi specialità, dall’asiatico all’indiano all’africano. Tra i ristoranti italiani mi piace Sardegna a Tavola, qui vicino, con un tiramisù buonissimo, e il classico Stresa oppure anche il Carpaccio, il ristorante italiano dell’hotel Royal Monceau. Tra i francesi, mi piace il Voltaire, cucina tradizionale. È la casa davanti alla Senna nella quale ha vissuto per sessant’anni François-Marie Arouet, Voltaire appunto». Quanto ai cinema, «sale d’essai come la Filmothèque du Quartier latin, l’Écoles cinéma club, l’Arlequin, che proiettano film classici a qualsiasi ora, anche al mattino, uno dei più grandi piaceri parigini».
Giardino segreto
L’amore per Parigi non significa per forza prendere la nazionalità francese — «No, ho ancora il passaporto italiano» — e neanche escludere un ritorno in Italia. «Magari a Roma, ma mi piacciono tante città, da Milano, dove ho vissuto, a Bologna a Firenze, e ho ancora tanti legami famigliari con l’Umbria». I meno francofili degli italiani, non potendo non riconoscere le qualità di Parigi, talvolta se la prendono allora con i parigini (con la solita accusa di essere supponenti, arroganti, etc.). Monica Bellucci dice di non credere a una differenza profonda tra le persone a seconda dei Paesi — «sono luoghi comuni» — e neanche per quel che riguarda le relazioni tra uomini e donne. «In superficie, forse possiamo dire che gli uomini italiani sono più immediati, hanno un approccio diretto, mentre i francesi all’inizio restano un pochino più distanti. Ma siamo troppo vicini culturalmente per parlare di un divario vero».
Dopo il matrimonio con Vincent Cassel, padre delle sue figlie, e la relazione con l’artista Nicholas Lefebvre, la vita sentimentale di Monica Bellucci oggi a Parigi resta riservata. «Ho un’età per cui posso permettermi di non parlare della mia vita privata. Mi piace conservare il mio giardino segreto. Come dicono i francesi, vivons cachés, vivons heureux (viviamo nascosti, viviamo felici, ndr)».