Corriere della Sera, 28 settembre 2022
Intervista a Vittorio Storaro
Settembre è un bel mese per stare a Parigi. «Bellissimo per girarci un film, la luce è al suo meglio», assicura il maestro della luce Vittorio Storaro, tre volte Premio Oscar. E ora se la gode sulle rive della Senna, direttore della fotografia del prossimo Woody Allen, che su quello sfondo dove 12 anni fa aveva girato Midnight in Paris, ha da poco iniziato le riprese del suo nuovo film. Il cinquantesimo.
Titolo ufficioso «Wasp 22». «Wasp» come vespa, ma anche come «White Anglo-Saxon Protestant», l’alta società americana così presente nel cinema di Allen. Conferma?
«In realtà Wasp sta per Woody Allen Summer Project. Sigla convenzionale di Woody a cui si aggiunge l’anno, il 22. Per lui il titolo arriva dopo le riprese, anzi dopo il montaggio. Come si fa con un bambino, meglio scegliere il nome dopo averlo visto».
Una commedia dai toni brillanti o come avrebbe confidato Allen, un noir alla «Match Point»?
«La storia la so, ma con Woody il top secret è di rigore. Però non direi che Match Point sia il riferimento... Allen è maestro nell’intrecciare con impagabile leggerezza dramma e commedia, ogni volta calibrandoli in modo molto diverso. Posso dire che tutto si svolge ai nostri giorni, ci saranno risate ma anche brividi. Il resto è chiuso a chiave nel copione».
È vero che lei è tra i pochi a cui Allen concede di leggerlo in anticipo?
«È stato così dal nostro primo film, Café Society. Prima di accettare ho chiesto di leggere lo script. Non puoi, ad Allen si dice sì a scatola chiusa, mi ha ammonito l’agente. Posso eccome, ho risposto. In una storia devo riconoscermi, se non ho un’idea figurativa come faccio a raccontarla? Il copione arrivò. Con impresso su ogni pagina in modo lieve ma indelebile il mio nome: Storaro. Così che se per caso qualcosa fosse trapelato si sapeva subito a chi risalire. In America è pratica comune».
Da allora i copioni li ha letti tutti.
«La comunità ebraica del Bronx anni ’30 che ricostruii per Café Society attraverso la pittura espressionista d’epoca, piacque molto a Woody. “È esattamente quello che ho scritto”, mi disse. Da allora mi ha voluto per i film successivi, da La ruota delle meraviglie a Rifkin’s Festival a Un giorno di pioggia a New York. E adesso questo, il quinto».
L’utimo? Era corsa voce...
«Subito smentita. A Woody piace raccontare, è troppo curioso di vedere come si dipanano le sue storie, di sperimentare nuove tecniche. Per questo film sto utilizzando l’HDR, High Dynamic Range, un sistema già richiesto da Amazon e Netflix, che permette di mostrare con 4K e 16 Bit qualcosa come 200 miliardi di sfumature di colore. Al momento tutti i proiettori del mondo, compresi quelli di Cannes e Venezia, possono proiettare immagini solo in 4K e 12 Bit, 77 milioni di sfumature. Ma nuove frontiere sono in arrivo. Woody e io stiamo lavorando per il cinema del futuro. Due ottantenni, io 82 lui quasi 87, che si divertono come ragazzacci».
Chi c’è con Woody sul set?
«La sorella Letty, la moglie Soon-yi, la figlia adottiva Manzie, impegnata anche nella serie Emily in Paris... Pure Coppola portava figli e nipoti sul set, persino nella giungla di Apocalypse now. “Siamo degli zingari, in giro su carrozzoni con famiglia appresso”, mi diceva».
L’8 ottobre al Valdarno film Festival riceverà il premio Marzocco alla carriera.
«Un riconoscimento italiano oggi anche più gradito visto che sto completando il restauro dei 10 film realizzati con Bertolucci. Ne ho già trascritti 5, completerò l’opera l’anno prossimo. Una promessa fatta a Bernardo prima che se ne andasse. E nel 2023 dovremmo ricevere un nuovo scanner che ci permetterà di conservare i film con il sistema ottico digitale DOTS per almeno 500 anni. Più futuro di così».