Corriere della Sera, 28 settembre 2022
Le elezioni viste dal cardinale Camillo Ruini
Il cardinale Camillo Ruini – 91 anni, per sedici presidente dei vescovi italiani, vicario di Roma con Wojtyla e Ratzinger – ha attraversato molte stagioni della nostra vita pubblica.
Cardinale Ruini, è davvero un risultato storico?
«Se per storico intendiamo che troverà posto nei libri di storia, italiana e anche europea, risponderei di sì. Aspetterei invece a parlare di “storico” in senso forte. È presto per dire quanto profondamente inciderà il risultato del 25 settembre».
Alla fine, quando si vota, moderati e conservatori sono quasi sempre maggioranza.
«La cultura politica prevalente è a sinistra; ma il Paese è in buona parte a destra, anche se in maniera meno netta».
Come mai, secondo lei?
«È una contraddizione che esiste in tutte le democrazie: gli intellettuali spesso sono progressisti; la gente bada agli interessi concreti e tende a essere più conservatrice. Ora il distacco tra élites e popolo si è fatto più evidente; anche se poi, come sta accadendo anche in questi giorni, le élites tendono ad allinearsi...».
La prima donna presidente del Consiglio viene da destra, non da sinistra. Se l’aspettava?
«Sì. Me l’aspettavo perché vedevo l’ascesa di Giorgia Meloni. Mentre a sinistra non mi pare ci siano oggi donne di grande rilievo politico».
Lei ha mai incontrato la Meloni?
«Tre volte. La prima parecchi anni fa, quando ancora molto giovane era ministro nell’ultimo governo Berlusconi. Le altre due volte l’ho incontrata in questi ultimi anni».
Che tipo è? Come spiega il suo successo?
«Per me è una persona simpatica e “tosta”, come si dice a Roma. Una chiave del suo successo è la chiarezza e la coerenza delle sue posizioni. Mi è sembrata molto perspicace, rapida nell’inquadrare i problemi».
Ma è preparata a governare? Ha una squadra? Sa di economia?
«Ha esperienza politica, ma poca esperienza di governo. In questo dovrà imparare molto. In previsione del successo, ha provveduto a rinforzare la sua squadra con personalità e competenze anche esterne al suo partito, e penso che continuerà su questa linea. Non saprei quanto sia competente in economia. L’importante è che scelga i ministri “giusti”, in una situazione economica estremamente difficile per l’Italia e per l’Europa».
Quello per la Meloni è più un voto di protesta, o è il voto dei moderati che hanno visto in lei la leader che poteva riportare la destra a Palazzo Chigi?
«Non penso che sia un voto di protesta. La protesta si è sfogata nell’astensione. È vero invece che in lei molti hanno visto un leader».
Alcuni giornali stranieri parlano di ritorno al fascismo, che non è ovviamente all’ordine del giorno. Ma che la fiamma tricolore, il simbolo storico del postfascismo italiano, abbia oltre un quarto dei voti, non è una cosa che può stupire all’estero?
«Senza dubbio può stupire, come già si è visto da certe reazioni. Alla prova dei fatti penso e spero che Giorgia Meloni sappia dissipare queste preoccupazioni. Al di là del simbolo, la scommessa è che sappia rappresentare le istanze dei moderati, non quelle della destra estrema».
Moderati che però una volta votavano lo scudo crociato, non la fiamma.
«Lo fecero fino a quando la Dc sapeva rappresentarli. Poi nella Dc sono prevalse le istanze di sinistra. Ma la sinistra aveva già i suoi partiti».
Lei ha raccontato al Corriere di aver coltivato da ragazzo sentimenti antifascisti, anche in contrasto con suo padre. Secondo lei, a cent’anni dalla marcia su Roma, quale memoria hanno oggi gli italiani del fascismo?
«La memoria che hanno gli italiani è troppo benevola. Mette tra parentesi gli aspetti peggiori e assolutamente inaccettabili del regime. Quanto a mio padre, era certo nazionalista e non antifascista; ma nascose in ospedale alcuni ebrei, e anche un ufficiale inglese che era stato paracadutato oltre le linee naziste».
Come spiega il crollo della sinistra anche in alcune roccaforti, da Modena a Livorno?
«Non ho una spiegazione pienamente convincente. Posso solo dire che da tempo, nelle cosiddette regioni rosse, per la sinistra le elezioni politiche sono meno facili di quelle amministrative, dove contano di più gli interessi locali consolidati. Una rete di rapporti che influisce meno sul voto politico».
Anche Salvini però, con cui lei aveva invitato a dialogare, è andato male. Mentre Berlusconi regge. Come mai?
«Forse la campagna di Salvini ha contraddetto le convinzioni di una parte cospicua del suo elettorato, specialmente in politica estera. Berlusconi ha pur sempre un grande fiuto politico».
Il primo partito è l’unico di opposizione, l’altro vincitore è Conte che ha fatto cadere Draghi... Anche il bilancio di Draghi esce ridimensionato?
«Mario Draghi ha reso un grande servizio all’Italia. Spero che tra il nuovo governo e quello di Draghi ci sia per molti aspetti una sostanziale continuità».
Ma cosa si aspetta dal nuovo governo il mondo cattolico, o almeno quella parte che non ha mai flirtato con la sinistra?
«Preferirei dirle quello che mi aspetto io. Mi limito a un punto solo, ma decisivo e con un sacco di implicazioni. Il nuovo governo metta al centro dell’attenzione il crollo demografico, che dura da molti anni e che solo da poco tempo la politica ha preso in considerazione, ma in maniera radicalmente insufficiente».
Sull’aborto cambierà qualcosa?
«Spero che la legge 194 sia finalmente attuata anche dove dice che lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».
Cosa significa in concreto?
«Aiutare le donne, spesso straniere, che vorrebbero portare avanti la gravidanza ma sono molto povere e temono di non riuscire ad allevare il figlio. I centri di aiuto alla vita, con meno di tremila euro per ogni donna incinta e con l’impegno personale dei volontari, salvano molti bambini».
E sulle unioni civili?
«Vale un discorso analogo. Le unioni civili dovrebbero essere differenziate realmente, e non solo a parole, dal matrimonio tra persone dello stesso sesso. Devono essere unioni, non matrimoni».
Lei disse al Corriere che il cattolicesimo democratico aveva esaurito la spinta. Questo voto lo conferma?
«Direi di sì. Ma vorrei chiarire un malinteso sorto in quell’occasione: per cattolici democratici intendo un preciso gruppo che ama fregiarsi di quel titolo; non certo tutti i cattolici, me compreso, che sono in favore della democrazia».
Qualcuno dice che l’ultimo leader rimasto alla sinistra planetaria sia Papa Francesco...
«È la vecchia questione se Papa Francesco sia di sinistra. Certamente, più e prima che il leader della sinistra planetaria, è il Papa della Chiesa cattolica».
In Europa però guardano con preoccupazione al nuovo governo. Sbagliano?
«Spero di sì. Il nuovo governo dovrà comunque tener conto di questa preoccupazione e smentirla con le sue scelte. La difesa degli interessi dell’Italia è legittima e doverosa; ma può realizzarsi solo nel contesto dell’unità europea. Dell’Europa abbiamo bisogno».
Gli italiani negli ultimi dieci anni si sono innamorati di Grillo, di Renzi, di Salvini, e si sono disillusi in fretta. Cosa deve fare la Meloni per non finire come loro?
«Ovviamente deve cercare di governare il meglio possibile; e purtroppo non è detto che basti. La nostra Repubblica ha il problema della debolezza strutturale del potere esecutivo. Oso sperare che in questa legislatura si riesca a trovare un modo per rafforzarlo e consolidarlo, con il consenso più largo possibile».
Anche con il presidenzialismo?
«Presidenzialismo americano, semipresidenzialismo francese, premierato inglese, cancellierato tedesco: ci sono molte formule. Solo in Italia abbiamo un potere esecutivo praticamente inerme».