la Repubblica, 28 settembre 2022
La rabbia di Umberto Bossi
Imperturbabile, è la versione ufficiale. Ma la realtà è diversa e ai suoi collaboratori più stretti l’ha fornita lui, nel pomeriggio, prima di scendere da Gemonio a Laveno-Mombello per il solito caffè post siesta: «È molto amareggiato, anzi, è inc… to». Il primo problema per Salvini, a crisi deflagrata, era il «Nord», Lombardia e Veneto in primis. Adesso nel cahier de doléances della Lega c’è anche la questione Bossi: il fondatore, il patriarca.
Fuori dal Parlamento dopo 35 più o meno gloriosi anni. Un’esclusione che, è evidente, aggrava il peso del tracollo leghista alle elezioni di domenica ed è destinata a diventare una miccia, una in più, sotto la poltrona del segretario federale. Bossi era candidato come capolista al proporzionale per la Camera a Varese, la sua città, nonché culla della Lega e del leghismo. Una posizione buona, sulla carta. Ma che non ha dato il risultato sperato dalla cabina di regia che si è occupata degli “incastri” nelle candidature.
Al proporzionale a Varese la Lega non ha ottenuto nessun seggio: e dunque, per il Senatùr, addio Roma. Quando è arrivata l’ufficialità, come prevedibile, è iniziata la rivolta della vecchia Lega. Sotto accusa, Matteo Salvini. «È una vergogna nazionale», tuona Giuseppe Leoni che con Bossi, il 12 aprile 1984, fondò la Lega lombarda. «La brutta figura non la fa Umberto, la fa il partito. Io l’ho votato ma sono mancati i voti e il partito non ha pensato di salvarlo. Altri — aggiunge Leoni, amico personale di Bossi, sempre vicino anche nei momenti della malattia — sono stati candidati in più collegi e eletti in tutti, lui no».
Al fuoco-amico contro i vertici leghisti si sono uniti altri ex big del Carroccio. Tra quelli che hanno alzato la voce, l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli. Altro bossiano della prima ora. «La mancata elezione di Bossi è un simbolo della debacle della Lega». La questione, inrealtà, sembra più complessa.
A renderla pepata è stato lo stesso Bossi. Che di fronte all’esclusione ha provato a glissare. Allontanando i riflettori da se stesso per indirizzarli sulla madre di tutte le sue battaglie politiche: la questione settentrionale. «Il popolo del Nord esprime un messaggio chiaro e inequivocabile che non può non essere ascoltato», è stato il commentoal voto arrivato da Gemonio. Una dichiarazione puramente “politica”, che ha acceso il fronte anti-salviniano: un fronte che, da 48 ore, è diventato più compatto e determinato.
Sulla mancata elezione, Bossi — sentito dall’AdnKronos — ha usato parole diplomatiche: «Sono contento poiché avevo deciso di non candidarmi. Mi hanno pregato e solo per il rispetto verso la militanza ho accettato».
È chiaro che al vecchio capo non va giù di fare la figura dell’escluso che ci sperava. Quale migliore via di uscita se non mostrare, almeno di facciata, disincanto e disinteresse? Da volpe della politica, il Senatùr sa benissimo che non c’è bisogno di aggiungere altro: l’assenza sui banchi del Parlamento del fondatore della Lega — conseguenza e allo stesso tempo specchio della batosta del partito doppiato da FdI — , basta e avanza, da sola, per spingere la leadership di Salvini ancora più nell’angolo. Un’accelerazione nella resa dei conti iniziata ieri in via Bellerio. Per uscire dall’imbarazzo, il Capitano ha avanzato la proposta Bossi-senatore a vita (appoggiata anche dal governatore lombardo Attilio Fontana). «Sarebbe il giusto riconoscimento dopo 35 anni al servizio della Lega e del Paese. Porterò avanti personalmente questa proposta».
Malumori placati? Neanche un po’. Per i leghisti della prima ora Salvini è e resta il responsabile del tracollo della Lega. La svolta nazionalista-sovranista impressa al partito — a scapito del Nord — non è mai stata digerita. E adesso c’è chi presenta il conto a Salvini. Ancora Castelli: «La Lega nazionale e centralista è finita. Salvini si vanta di avere il secondo gruppo parlamentare ma mi chiedo: a cosa serve?, non farai nulla per il Nord. L’autonomia non ha fatto un progresso e la gente non se lo scorda». Frecciate anche da Paolo Grimoldi, ex segretario del movimento regionale. Che a Salvini chiede «maggior rispetto per le persone, per il territorio e per la nostra storia». Grimoldi ha annunciato una raccolta firme per chiedere il congresso lombardo della Lega («se chiedere democrazia, confronto e rappresentanza è una colpa, mi dichiaro colpevole»). Lo stesso accade in Veneto. La base è in subbuglio. Sullo sfondo, pare di cogliere il ghigno del Senatùr.