il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2022
Tutti i libri sugli anni di piombo
“Nel pianeta delle verità perdute serve soprattutto la storia” scrive Miguel Gotor nel suo Generazione Settanta, in libreria per Einaudi, nel quale ricostruisce tutte le trame di un decennio che ha nelle contestazioni del Sessantotto il suo vero battesimo e nel corpo di Moro “acciambellato in quella sconcia stiva” (come recita un verso di Mario Luzi) la sua fine simbolica. Una “trincea ideologica” che ha uno dei suoi cortocircuiti nell’autunno del 1975. Al massacro del Circeo, delitto di matrice borghese, eternato in La scuola cattolica di Edoardo Albinati (Rizzoli), segue un dibattito pubblico nel quale interviene quello stesso Pier Paolo Pasolini che poche settimane più tardi, questa volta per mano proletaria, sarà assassinato all’Idroscalo di Ostia.
Gli Anni di piombo, scanditi da una semina di cadaveri, sfuggono a una verità conclamata per le troppe imposture che si annidano. Forse per questo sono seme di ispirazione per i romanzieri. Non a caso Leonardo Sciascia nel suo L’affaire Moro (Sellerio; poi Adelphi) scriveva di “fuga dei fatti in una dimensione immaginativa”.
Giorgio Vasta con Il tempo materiale (Minimum fax) tira il filo di una storia surreale: nella Palermo del 1978 tre ragazzini emulano le Brigate Rosse e rapiscono e uccidono un loro compagno di classe. Giorgio Fontana sceglie un magistrato cattolico per raccontare la coda della chimera rivoluzionaria nel suo Morte di un uomo felice (Sellerio).
Andrea Pomella, fresco di stampa per Einaudi con Il dio disarmato, non tradisce la fedeltà del ritratto di Aldo Moro, raccontato nelle ore che precedono il suo sequestro inseguendo il suo temperamento “disadorno”: dalla mania di lavarsi frequentemente le mani all’incomodo di cucinarsi minestre Knorr. Pomella si arrovella sulla “percezione individuale e collettiva” di un evento che oggi, davanti alla lapide commemorativa in via Fani, si spegne nell’indifferenza. Pomella sa che il compito del narratore è “svelare ciò che viene nascosto” e tocca riconoscere i brigatisti “umani nella loro disumanità, poiché umano è il male.” Alessandro Bertante nel suo Mordi e fuggi – Il romanzo delle Br (Baldini+Castoldi) illumina nella parabola di un brigatista milanese i tormenti della giovinezza prima ancora che l’eresia criminale.
Sul grande schermo Marco Bellocchio con il suo Buongiorno, notte – e con il più recente Esterno notte – abbraccia con altrettanta pietas carnefici e vittima, sciogliendo tutte le contraddizioni in una rimozione collettiva che Gotor nel suo saggio imputa al “clima di complicità generazionale che indusse molti a far finta di nulla”. A rimestare nei ranghi della Meglio gioventù ci riproverà a teatro la prossima primavera Francesca Garolla, che firma testo e regia di Se ci fosse luce rispondendo all’interrogativo: “Quali sono i segni di una storia collettiva che ognuno di noi porta dentro di sé”?
Nella nostra letteratura le risposte si accumulano in una nutrita bibliografia. Caro Michele, romanzo epistolare del 1973 di Natalia Ginzburg (Mondadori; poi Einaudi), si avvita sulla vicenda di un giovane extraparlamentare di sinistra. La vita interiore di Alberto Moravia (Bompiani), uscito un mese dopo l’eccidio Moro, ha una protagonista che progetta il sequestro della madre per finanziare un gruppo eversivo. In L’odore del sangue di Goffredo Parise (Rizzoli), uscito postumo alla fine degli anni 90, un giovane picchiatore fascista irretisce una donna della borghesia romana. In Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo (Einaudi) il rapimento Moro si insinua nell’odissea criminale della Banda della Magliana. In Arrivederci amore, ciao di Massimo Carlotto (e/o), un ex esponente della lotta armata si guadagna una riabilitazione. Anna Maria Ortese in Alonso e i visionari (Adelphi) mette al centro un intellettuale ispiratore di una cellula terroristica. In Libera i miei nemici di Rocco Carbone (Mondadori) un insegnante in un carcere femminile scopre che una delle detenute ha un passato nella lotta armata. Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi (Mondadori) e Il paese delle meraviglie di Giuseppe Culicchia (Garzanti) mettono in scena fratelli divisi dagli opposti estremismi. In La guerra dei figli di Lidia Ravera (Garzanti) una sorella entra in Prima linea mentre l’altra vive come ragazza madre.
Ci sono poi genitori terroristi che scompaiono per entrare in clandestinità come ne La scoperta dell’alba di Walter Veltroni (Rizzoli) e in Tuo figlio di Gian Mario Villalta (Mondadori). La Ester di Tornavamo dal mare di Luca Doninelli (Garzanti) nasconde alla figlia la militanza politica e l’identità del suo vero padre, un ex terrorista.
È sempre il privato, frammentato in relazioni familiari o in “compagni che sbagliano”, lo sfondo di tutti questi intrecci. Manca, al pari di un James Ellroy o un Don DeLillo con l’assassinio Kennedy, un racconto che si insinui dietro le quinte delle verità politiche o giudiziarie e ne saboti dall’interno i dispositivi. Esattamente come tentò di fare Pasolini con Petrolio. Chissà che non sia questa la ragione per la quale, secondo un’opinione corrente, manca ancora il grande romanzo italiano sugli anni Settanta.