il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2022
Crosetto non ha bisogno di fare il ministro
Dice che non farà il ministro, e in effetti non gli conviene. Ma Guido Crosetto non va oltre, non si spiega: glielo avevano domandato anche i suoi colleghi deputati, che hanno impiegato tre votazioni prima di farlo dimettere, quattro anni fa. Si sarebbe “infastidito”, ragionava vago in aula, di “non poter intervenire per parlare di tagli alla difesa”, ma la Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza di cui è presidente, non la citava e non la cita mai. Allude, dà per scontato. E qualche volta – l’ultima ieri – si diverte a fare la vittima del sistema in cui è così ben addentellato: “Il problema principale dei trojan (…) è che ti impalla troppo spesso le funzioni base del cellulare”. Eppure Crosetto non è uno da giri di parole. Bastava sentirlo, un anno fa, in commissione Difesa, nell’audizione informale sull’andamento del mercato delle armi. Lì, in qualità di presidente Aiad, ha illustrato il suo programma da ministro-ombra. Che non ha bisogno di Palazzo Chigi per incidere sui dossier che contano, tanto più ora che arriva quella Giorgia Meloni con cui dieci anni fa si è inventato Fratelli d’Italia.
E se era prevedibile il pressing del lobbista che chiede “stanziamenti di bilancio”, l’homo politicus che vive nel GGG della destra italiana lo ha spinto ad andare oltre. Perché ci sono altri problemi oltre ai danni economici del Covid ed “è giusto che il presidente Aiad li rappresenti”. Bando al politically correct: il problema “è la 185”. Ovvero la legge del 1990 che disciplina il controllo dello Stato sull’import/export di armi: prima di spedire bombe in giro per il mondo bisogna assicurarsi che non vadano a Paesi che violano i diritti umani. Ganasce che all’industria della difesa vanno strette e Crosetto è qui per dirlo chiaro: malissimo “il cambio di linea politica a seguito dell’approvazione della risoluzione Quartapelle su Emirati Arabi e Arabia Saudita”, peggio ancora “una certa chiusura nei confronti dell’Egitto”. Gli scrupoli su Bin Salman e su Al Sisi “hanno bloccato i contratti in corso e la possibilità di portare avanti nuove forniture rilevanti, di cui si discuteva da tempo”.
Si riferisce, Crosetto, alla risoluzione promossa dalla deputata dem che a fine 2020 ha chiesto e ottenuto lo stop all’invio di armi ai regimi emiratini e sauditi “sino a sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen”. E all’emendamento che fermò l’invio di pezzi di ricambio per gli aerei F-16 all’Egitto, considerata la lentezza con cui procedevano le indagini sull’uccisione di Giulio Regeni. Inezie, per il presidente dell’Aiad. Che ha già la soluzione: “Bisogna intervenire sulla 185: se si vuole cooperare o meno con un Paese, deve deciderlo il governo ragionando a lungo termine, non il Parlamento”. Poi aggiunge: “Al governo non interessa se in quel mese Renzi ha tenuto una conferenza. Al governo interessano i rapporti con l’Arabia Saudita nei prossimi dieci anni”. Sostiene Crosetto, allusivo ma neanche troppo, che la decisione sullo stop alle armi a Bin Salman abbia “usato” lo Yemen per rispondere alle polemiche sugli elogi dell’ex premier al “Rinascimento” saudita. Ecco perché vuole togliere alle Camere quello che considera un giochino pericoloso. Perché “per produrre Pil abbiamo bisogno di investire in un settore ad altissimo valore aggiunto e il comparto difesa, sicurezza e cyber lo è”. Crosetto ha ragione: lui, al governo, non darebbe alcun valore aggiunto. Basta quello che fa fuori.