La Stampa, 27 settembre 2022
Intervista a Yannick Noah
Yannick Noah è stato l’emblema dell’atleta capace di regalare spettacolo a prescindere dal risultato. L’ex campione francese ha vinto un solo Slam (il Roland Garros nel 1983) ma è uno dei tennisti più amati di sempre. Per quello che inventava, in campo e fuori: serve and volley anche sulla terra rossa, cantante impegnato su temi politici e sociali, spiritoso, irriverente e sincero. A 62 anni è lo stesso di quando giocava, col suo sorriso aperto che sprigiona allegria. Sabato sera ha tenuto un concerto in Bretagna, poi è volato in Italia senza dormire. Ieri era a Milano nel ruolo di testimonial del marchio Le Coq Sportif. Il primo pensiero va al recente ritiro di un altro fuoriclasse che ha fatto innamorare gli appassionati.
Quanto mancherà Federer?
«Tantissimo. Roger è stato l’ultimo artista capace di spingersi alle semifinali e finali dei grandi tornei. Ci sono altri artisti, ma non si vedono perché escono ai primi turni sui campi laterali. Roger, invece, ha condotto gli artisti al vertice per quasi 20 anni».
Qualcuno può sostituirlo?
«No, nessuno ha sostituito Laver o McEnroe. Qualcuno porterà qualcosa di nuovo. La gente tende a commentare lo sport guardando solo i risultati. Senza rendersi conto che è determinante la componente di spettacolo e drammaticità. Gli elementi tecnici e atletici sono secondari. Quando giocava Roger, sapevi che qualcosa sarebbe successo. Arriverà qualcun altro, ma sarà differente. Mi piaceva quando andava a rete perché accorciava i punti. Bisogna gettare sul tavolo le proprie carte senza tenerle in mano troppo a lungo».
Adesso in pochi vanno a rete con regolarità.
«Con le nuove racchette equivale a farsi ammazzare. Con quelle di legno chi rispondeva doveva impiegare più tempo. Il movimento era più ampio. Così c’era spazio per una volée vincente. Scendere a rete adesso sulla seconda di servizio equivale a suicidarsi».
Perché il tennis ha meno personaggi rispetto a 30-40 anni fa?
«Le regole sono fatte dagli sponsor. Gli organizzatori americani hanno deciso che non si possono più dire parolacce, perché non va bene per i bambini. È pieno di obblighi: devi battere in 25 secondi, puoi prendere l’asciugamano ma non puoi parlare con tua mamma in tribuna, devi sederti esattamente in quel posto e bere quella bibita. Se provi a esprimerti liberamente, arriva un punto di penalità».
Il paradosso è che nell’epoca dello sport business, trasmesso da ogni tv, viene compresso lo spettacolo.
«Cosa piaceva di McEnroe? Il suo rovescio e il suo diritto? No, la sua personalità. Oggi McEnroe non finirebbe una partita. Vale lo stesso discorso per Nastase. Quanti ragazzi hanno iniziato a giocare a tennis grazie a Nastase? Tantissimi, perché era divertentissimo. Ora è tutto noioso. Non fraintendetemi, Nadal e Djokovic sono fenomenali ma prevedibili. Che voce ha Zverev? Non lo so, mai sentita. Vorrei microfoni ovunque in modo che questi giocatori potessero esprimersi. Vorrei che ridessero, urlassero, scherzassero, piangessero. Vedere Federer e Nadal mano nella mano che piangono è il massimo perché esprimono la loro umanità».
Anche lei ha avuto un amico-rivale?
«Sì. Wilander, Borg e McEnroe. Andiamo ancora adesso in vacanza insieme. E John è amico di mio figlio Joakim (ex cestista Nba, ndr). Si frequentano a Los Angeles».
Cosa significa essere campioni?
«Usare lo sport come una piattaforma per aiutare la comunità. I miei eroi sono Arthur Ashe, che mi scoprì ragazzino in Camerun, e Muhammad Ali. Adesso apprezzo Nadal perché tutti al Roland Garros ne parlano bene: raccattapalle, autisti, addetti ai campi».
L’Italia sta risalendo nel tennis.
«È fantastico. Non è facile come in Spagna dove negli ultimi 30 anni ci sono stati tanti n.1 che fanno da traino. In Italia l’ultimo è stato Panatta più di 40 anni fa. Adesso, con Berrettini e Sinner, i bambini tornano ad avere modelli da imitare. Sento qualcuno che vorrebbe già vincere uno Slam. Serve un po’ di maledetta calma. Prima accontentati di avere un top 10 dopo tanti anni. Poi arriverà anche uno Slam».
Lo sport riuscirà a eliminare il razzismo?
«Esiste il razzismo? – risponde ironicamente – col nuovo governo diventerà un vostro problema. Mi dispiace per il risultato delle elezioni in Italia. Tornando alla domanda, nello sport esiste il razzismo perché c’è nella società. Se vado ad affittare un appartamento e non mi riconoscono, ci sono buone probabilità che non avrò quell’abitazione. Se andasse un mio amico bianco con i miei soldi, non ci sarebbero problemi».