Corriere della Sera, 26 settembre 2022
Sandro Veronesi racconta Gustavo Thoeni
Quando, nel 1972, Gustavo Thoeni vince la sua seconda Coppa del Mondo, l’Italia è di nuovo, dopo secoli, il Paese della Bellezza. Noi sottovalutiamo quegli anni, li associamo solo alla strategia della tensione, al terrorismo, ne parliamo come di un periodo cupo, fitto di violenze e di conflitti sociali, il che è anche vero, ma nel conto non mettiamo mai lo splendore che il nostro Paese riversava sul mondo utilizzando ogni linguaggio. Per limitarsi a quell’anno, il 1972, il cinema italiano vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino con I racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini e due Gran Premi della Giuria al Festival di Cannes, ex-aequo, con Il Caso Mattei, di Francesco Rosi, e La classe operaia va in paradiso, di Elio Petri, oltre al Gran Premio della tecnica assegnato a Roma di Fellini. Italo Calvino pubblica Le città invisibili. La Ferrari presenta al Salone di Ginevra la Dino 246 GTS, definita la spider più bella del mondo. E alla fine di maggio l’esposizione al MoMA intitolata «Italy: The New Domestic Landscape» curata dall’architetto argentino Emilio Ambasz consacra quella prodigiosa stagione di creatività italiana con la presentazione di 180 oggetti per uso domestico prodotti in Italia nell’ultimo decennio da più di 100 designer, tra i quali i fratelli Castiglioni, Vico Magistretti, Mario Bellini, Joe Colombo, Ettore Sottsass, Mario Zanuso, Gae Aulenti, Superstudio e Archizoom. Perché in realtà non solo di bellezza si tratta, ma di bellezza incrociata con l’innovazione, con l’ingegno e con la tecnologia. Noi continuiamo a raccontarci gli anni Settanta come gli anni di piombo ma probabilmente non c’è stato, dopo il Rinascimento, un periodo altrettanto alto e glorioso e splendente per il nostro Paese, capace di suscitare l’ammirazione di tutto il mondo.
Anni d’oro
Nello sport è la stessa cosa. A parte il calcio, nel quale in due anni la nazionale di Valcareggi conquista un titolo europeo e una finale mondiale contro il Brasile, in quel periodo compaiono campioni purissimi che segneranno una nuova epoca: Benvenuti, Panatta, Giacomo Agostini, Graziano Mancinelli, Klaus Dibiasi, Mennea, Sara Simeoni, Antonella Ragno, Novella Calligaris, Roby Zucchi. La galleria di fenomeni è impressionante — e tutti, nelle rispettive discipline, ripetono anche sui campi di gara il messaggio che echeggia per il mondo: l’Italia è il Paese della bellezza, della grazia, dell’eleganza. Non succedeva da secoli. Non è successo più.
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I trionfi
Ma torniamo a Gustavo Thoeni, al suo secondo trionfo nella Coppa del Mondo di sci. Se un anno prima si poteva ancora pensare a un exploit isolato, com’era stata nel 1966 la vittoria di Carlo Senoner nello slalom iridato di Portillo, la conferma dell’anno successivo lo consacra per quello che Gustavo è, un eroe dello sport italiano. È il 1972, s’è detto, che risulterà l’anno-boom per gli Sport Invernali in Italia. Stimolati dai successi di questo altoatesino timido e taciturno, migliaia di ragazzi italiani decidono di dedicarsi allo sci per cercare di emularne le imprese, e il turismo invernale in montagna fa segnare un’impennata inimmaginabile solo pochi anni prima. In realtà Gustavo vinceva già da molto tempo: nei ragazzi (Trofeo Topolino), negli juniores (campionato italiano in tutte tre le specialità), e a partire dalla stagione 1969-70, cioè dai suoi 19 anni, anche in Coppa del Mondo, con quattro vittorie, nove podi, la Coppa di gigante, il terzo posto in quella generale e il quarto posto nello slalom speciale ai Mondiali di Val Gardena. Dopodiché c’è stato, come detto, il primo trionfo nella Coppa generale, nel 1971, con 20 punti di vantaggio su una leggenda come Henry Duvillard, la conferma nella Coppa di gigante e il secondo posto in quella di slalom a 5 punti dall’altro grande campione francese, Jean-Noël Augert. Inevitabilmente, gli occhi del mondo si puntano su di lui, dato che l’anno successivo sarà anche anno olimpico. E l’anno successivo Gustavo conferma di essere il primo fenomeno italiano nella storia dello sci moderno, vincendo di nuovo Coppa Generale e Coppa di Gigante, la medaglia d’oro olimpica in gigante e quella d’argento in slalom alle spalle dell’episodicissimo — lui sì — Francisco Fernandez Ochoa, che in Italia quelli della mia età ancora odiano ferocemente, per questo.
Mito a 21 anni
Ha solo 21 anni, Gustavo, ed è già un mito — un mito destinato a restare tale nel tempo. Ha inventato un nuovo modo di sciare basato sull’indipendenza di gambe e sulla figura del passo-spinta, e si è dimostrato polivalente come nessuno prima di lui, considerando anche i risultati in discesa libera (il SuperG non esisteva ancora, ed è un vero peccato, perché forse sarebbe stata la disciplina perfetta per lui). Tutto questo, Gustavo lo farà in un periodo nel quale tra i suoi avversari ci saranno atleti straordinari come Franz Klammer e Ingemar Stenmark, e soprattutto lo farà nel pieno rispetto del «canone italiano» di cui abbiamo parlato sopra, basato su bellezza, grazia ed eleganza, portando in giro per il mondo i marchi italiani di quella stagione irripetibile anche nell’industria. Fatta eccezione infatti per gli scarponi Lange — americani, di gran lunga i migliori del mondo — e per gli attacchi, Look Nevada — francesi — tutto il resto che Gustavo si porta addosso proviene da industrie italiane, a cominciare dagli sci, Spalding-Persenico, per proseguire con l’abbigliamento completo: le giacche da gigante Colmar, i maglioni da slalom e i berretti Silvy Tricot, i pantaloni imbottiti Ellesse, gli occhiali Baruffaldi o Salice, i guanti Molinari, il casco da discesa Boeri. Mentre vinceva, era come se Gustavo Thoeni sfilasse in passerella con gli accessori più eleganti e innovativi mai prodotti nella storia dell’abbigliamento da sci — tutti di fabbricazione italiana. E si badi che a quel tempo non esistevano ancora i contratti di sponsorizzazione: le ditte avvicinavano suo padre e gli proponevano gratis i propri prodotti in cambio dell’impegno di Gustavo a utilizzarli.
Pura bellezza
Ecco dunque cosa bisogna ricordare di lui: la bellezza, la sua straordinaria bellezza mentre danza in angolazione tra i pali di legno, con le gambe che sembrano appartenere a due corpi diversi, o a fondo pista, con gli sci in mano, mentre sorride imbarazzato ai fotografi. La sua bravura e i suoi risultati sono consegnati agli almanacchi, ma quella bellezza rischia di essere dimenticata, a causa del cambiamento radicale che lo sci in carving ha inflitto all’estetica del suo sport. Una bellezza che era contenuta nella bolla di bellezza italiana di quegli anni e che, anch’essa, fatichiamo a ricordare. Poi verranno le altre due Coppe del mondo, la Valanga Azzurra, la seconda manche nello slalom di St. Moritz, i titoli mondiali nella combinata, il secondo posto nella discesa libera sulla Streif a tre millesimi da Klammer, il parallelo di Ortisei: tutte prodezze che completano una leggenda solo parzialmente avvicinata, quindici anni dopo, dal genio sregolato di Alberto Tomba — gestito, tra l’altro, per quanto si poteva gestirlo, proprio da Gustavo, in veste di suo allenatore personale —, ma che rimarrà ineguagliata. Alcuni atleti, in seguito, sono stati anche più bravi di lui, sul piano dei risultati (Stenmark, Zurbriggen, Girardelli, Hirscher), ma nessuno è stato come lui. La bellezza che si è portato appresso Gustavo Thoeni, giù per le piste di tutto il mondo, quella bellezza italiana, creativa, intraprendente ma anche classica, rinascimentale, nello sci alpino non si è vista più. E nemmeno nel cinema, dopo di allora, nella letteratura, nel design. Gustavo Thoeni in realtà non è mai tramontato: è tramontata l’Italia.