La Stampa, 27 settembre 2022
Da "Ora. Confida, conserva, prega" di Giovanni Lindo Ferretti (Aliberti)
Un pensiero si fa strada, è da un po’ che lo penso: un libro, un piccolo libro. Un atto terapeutico che rifocalizzi il presente contro il languore da malinconia nel vuoto dei cavalli, cani, la corte transumante e il paese nel fervore di giorni comunitari stolto, pensavo fossero vagiti i respiri affannati di questo pugno d’anni a rammendare trame tra montagne erano rantoli, sono cessati urge un impegno quotidiano ad ordinare mente e corpo da poter dire se e quanto è stata buona la giornata prima di abbandonarmi, la sera, al sonno. Voglio scriverlo, nessuna pretesa editoriale, tiratura più che limitata: cento copie, metà per persone a cui voglio bene, l’altra metà troverà nel tempo il proprio recapito. Una dimensione artigianale, fuori commercio, un dono.
Sarà un libro di preghiera, conterrà le mie preghiere quotidiane, accadimenti e pensieri sedimentati attorno la preghiera nelle diverse età del mio vivere.
La maggior parte delle persone che frequento, la quasi totalità di quelle a cui voglio be¬ne non pregano, non ne conoscono necessità, non possono beneficiarne. I bambini crescono senza impararle e dovrebbe essere la casa, in famiglia, il luogo privilegiato dell’apprendere.
Credo il pregare un ragionevole atto, intimo e sociale. Di valenza cosmica. Credo la preghiera fortezza pura, vivificante e il tempo del pregare un tempo eterno. Dio è corazza dei forti, così era titolato il libro, raccolta di loriche, antiche preghiere cristiane d’Irlanda, l’ho comprato e me lo sono goduto. Era un tempo in cui non pregavo, cantavo nei CCCP è una affermazione perlomeno discutibile: quanto di preghiera c’è nel mio cantare?
Da tempo mi ripromettevo di ascoltare tutti i dischi incisi in quarant’ anni. Non ascolto i miei dischi, non l’ho mai fatto fino ad ora. Ho appena cominciato. Molte sorprese. Agitazione. Incantamenti.
La dimensione religiosa è ovunque, al di là delle canzoni dichiaratamente Preghiera Madre su tutte ma non solo, una variegata sequela di innodia religiosa naturale cosmica, strafottente in un tempo che si vuole ateo scientifico. La mia preghiera, ne ringrazio Dio, è fiorita su un substrato pagano redento e salvato che mi appartiene. È cambiato l’orizzonte, la prospettiva, la teologia, non l’uomo che alza gli occhi al cielo pronunciando parole di lode, richiesta di aiuto, consolazione.
I miei avi pregavano, lo so. Cammino gli stessi passi, gli stessi ambiti domestici, gli stessi spazi esterni nello stesso ordine di pensieri: si nasce, si vive, si muore. Ci sono luoghi, momenti, situazioni in cui si può solo pregare e pregare fa la differenza.
Diventammo cristiani nella seconda metà del primo millennio, non è cambiato granché, da allora.
Sto invecchiando, il corpo non mente, obbliga riguardi e cure, lo spirito ancora strappa velleitario, preda di entusiasmi poi insostenibili. Tendo al selvatico, solitario, all’ombra di una casa venerabile dimora, in sintonia col variare delle stagioni, sensibile alla presenza animale, le cose visibili ed invisibili, attento all’accadere: un sempre più rapido mutare. Non ho più alcun interesse per il racconto che il mondo fa di sé, tra vacuità e tornaconti da poco.
Sono residuale, in attesa di non so che. Ho fatta mia la triade dell’ultimo Pasolini poeta, conserva difendi prega. Conserva e difendi sono due imperativi, vanno coniugati secondo contingenza: cosa? Chi? Perché sì, anche no! Prega è un imperativo assoluto, va fatto. Ortoprassi prima di Ortodossia.
Nella mia vita prima del perché si prega, c’è stato il come si prega, l’ho imparato secondo un canone, appartengo ad una tradizione religiosa. Ne ringrazio Dio.
Da adulti si può scegliere, da bimbi si è scelti. Meglio averne coscienza, una coscienza non giudicante che il giudizio non è di chi prega, va rimesso a Colui che è pregato.
Se posso raccomandare in questo tempo la lettura di un libro, non ho dubbi: Santi di tutti i giorni dell’Archimandrita Tichon. Una lettura appassionante, un colpo d’occhio lontano anni luce dalle dinamiche dell’informazione. Vi si racconta di monaci e monache della Russia di oggi, di ieri, e poiché siamo già in un domani tutto da definire, a maggior ragione va letto, riletto, meditato.
Voglio soffermarmi su una paginetta: La preghiera e la volpe, storia dell’amicizia tra un dotto monaco e un umile contadino negli albori del monachesimo cristiano.
Il contadino racconta al monaco che ogni sera offre a Dio creatore una ciotola di latte e Dio, ogni notte, se lo beve. Il monaco senza trattenersi dal ridere sentenzia che Dio, puro Spirito, non beve il latte e propone di verificare quello che succede. Detto fatto, si appostano e osservano una volpe avvicinarsi e leccare tutto il latte della ciotola. Mortificato, il contadino torna affranto alla sua casupola e il monaco, soddisfatto, si avvia verso la sua cella. Appostato un angelo gli sbarra il cammino: con la tua sapienza hai privato un uomo semplice della possibilità di adorare Dio che, contemplando il suo cuore sincero, ogni notte mandava una volpe ad accettare la sua offerta. Ricapitolando, a fine inverno scendo in pianura per una giornata dedicata a Silvio D’Arzo. È anche l’occasione per verificare mutamenti da distanziamento forzato e non è un bel vedere. Mortificante.
Dice il mio editor che non sa nulla dei miei giorni – l’editore Aliberti vorrebbe incontrarti, pensa di convincerti a scrivere un piccolo libro con le tue preghiere, il perché del tuo pregare, il contorno. Ha una piccola collana a cui tiene molto, sarebbe una edizione ben curata per stampa carta rilegatura – rido di cuore.
Non è stato difficile convincermi. Promesso, stretta di mano, lo scriverò nel mese di maggio, lo consegnerò a San Giovanni, il 24 giugno. È un tempo breve ma non devo inventare niente, devo solo scrivere. Attitudine operativa artigianale.
Penso a mia nonna, con lei tutte le donne che l’hanno preceduta in questa casa, seduta assorta davanti al telaio. Nei cesti, a portata di mano, i fili dell’ordito e le lane della trama, c’è tutto, è l’ora di mettersi al lavoro. Stinti e consunti i teli tessuti a telaio dalle donne di casa d’altre età schermano le finestre filigrane di lana da greggi sempre in viaggio memore di un vagare in giovani giornate, guardo il mondo com’è, tragico e infame belligerante e sublime.
Arriva maggio, la guerra si stabilizza in crescendo vogliosa di allargarsi, monopolizza le comunicazioni, ipoteca l’economia ad effetto ritardato, travolge l’assetto politico sociale.
Colpo di coda dell’Avvenire in Europa. Avvenne tanto tempo fa, rinfiamma ora. Rischia di incendiare il mondo. Primo tassello di un ordine da definire, un nuovo ordine mondiale e già sanguinano le terre di confine. Le cose vanno allo scontro.
Non leggo i giornali, non guardo la televisione, non frequento i social.
Nato tra i morti sui monti,
vivo sui monti tra i morti.