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 2022  settembre 27 Martedì calendario

Nel Pantheon di Giorgia

Dunque Tolkien, che va sempre bene, suona eroico, intenso, semplice e a destra collega almeno un paio di generazioni. Però da lì, da Frodo e dagli hobbit de Il Signore degli Anelli, ecco che l’immaginario, ormai di governo, di Giorgia Meloni vira decisamente verso il pop fantasy. E allora, senza troppi rigori e appesantimenti filologici, si nutre di appassionanti filmoni di cassetta tipo La storia infinita, col suo eroe ragazzino Atreju a bordo del drago, attraversa i cartoni animati giapponesi davanti a cui, come milioni di suoi coetanei, ha passato da bambina ore e ore: alabarde, transformer, pescatori, giocatori di pallavolo e folletti, soprattutto folletti, forse per via che la presidente del consiglio in pectore è piccolina, fatto sta che con tali creature del bosco maggiormente scatta l’immedesimazione; c’è più di un filmato della pagina Karaoke reporter in cui Meloni allegramente intona le sigle by Cristina D’Avena: “Memole è il nome mio/ folletto sono io/ in una foresta sto/ e molto amici ho”, tra questi al suo fianco si nota un lungagnone che le fa il controcanto, Carlo Fidanza, suo antico avversario nelle organizzazioni giovanili post-missine, che un paio d’anni fa fu costretto ad auto-sospendersi perché pizzicato da un video di Fanpage a dire cose autenticamente e terribilmente fasciste, poi riammesso negli elevati ranghi di FdI.
Qualche anno fa venne anche lanciato l’esperimento nippo-social- patriottico “Meloni-chan”, all’insegna delle “bizzarre avventure di Giorgia”; che però non molto tempo prima, al congresso di scioglimento di An, aveva concluso il suo intervento quasi recitando un brano, “Portiamo la nostra sfida alle stelle”, del più noto fra i fondatori del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, – e deve esserle particolarmente caro se ancora nel 2019 la 22esima edizione di Atreju, con la partecipazione straordinaria di Steve Bannon, era intitolata “Sfida alle stelle l’Italia che pensa in grande”.
Detto questo, però, la ricostruzione per sommi capi di un virtuale Pantheon meloniano è un’operaardua e, senza che suoni spregiativo e schizzinoso, anche un po’ desolante. Perché ormai da quasi trent’anni le culture politiche, non solo quelle della destra, si sono davvero esaurite, forse anche contaminate e corrotte, e nel vuoto non c’è leader di partito e partitucolo che con la complicità di consiglieri più o meno improvvisati,non acchiappi riferimenti “culturali”, molto fra virgolette, con animo fra il predatorio e l’approssimativo; il tutto, grosso modo, per farcire qualche discorso buttando qui e là sincopate citazioni che facciano fare bella figura e procurino titoli su giornale e tg, tanto nulla comporta sul piano dell’orientamento e poi tutti se ne scordano.
Il risultato è l’insalatona mista o, se si preferisce, il minestrone all’insegna del tutto fa brodo, con l’aggravante di spezie che risultano incompatibili con altri sapori. L’esempio più vistoso e recente di questa specie di goffa e calcolata casualità che procede per accumulo si è potuto vedere nel Centro congressi di Milano durante la convention di FdI lo scorso aprile. Come in un piccolo museo vagamente spettrale, in una sala dedicata agli implausibili antenati del melonianesimo c’erano le sagome di cartone di venti personaggi scelti secondo chissà quali misteriosi criteri: Giovanni Paolo II, Ennio Flaiano, lo scrittore cattolico Chesterton, Jung, Guareschi, Dostoevskij, poi Enzo Ferrari, Hannah Arendt, Tina Anselmi, la qualunquista Ottavia Penna e l’immancabile Pasolini. Alla fine viene da pensare che il guaio specifico di Fratelli d’Italia è la persistenza della figura di Mussolini, tanto amata quanto rimossa all’esterno – per dire: il secondo nome di La Russa, e però da anni e anni auto censurato dalla Navicella, è Benito. In mancanza del Duce, e per ovvio deficit di curiosità e libri studiati a tavolino i patrioti meloniani, più che per arditi sincretismi, procedono per invenzione, assonanza, deviazione, immaginazione, furto di fantasia, ma senza tanta destrezza. D’altra parte sono tempi superficiali, ma non è detto che dureranno per sempre.