La Stampa, 26 settembre 2022
Le elezioni viste da Sandro Veronesi
Sandro Veronesi, scrittore, Premio Strega 2020 (Il Colibrì, La nave di Teseo), attento da sempre a raccontare quant’è fuggevole il bene e quanto sono deboli, a volte, le forze che ci trattengono dal caos, ieri ha scritto su El Paìs che l’Italia è "condannata alla divisione". Ha scritto che il tratto comune delle elezioni, in tutto il mondo, in questi ultimi anni, è la volontà di schiacciare gli avversari, come se si guerreggiasse, e come se la felicità e la possibilità di costruire, fare comunità, andare incontro al futuro, fossero possibili solo separandosi gli uni dagli altri, arroccandosi tra simili, e anzi tra uguali.
Veronesi, l’Italia va a destra perché è un Paese di destra?
«Sì, e lo è sempre stato. Addirittura retrivo. Abbiamo un Papa che è il solo vero leader di sinistra e infatti i cristiani sedicenti cattolici lo detestano».
Cosa compatta la destra?
«Abbaiare contro gli immigrati, che è la sola cosa che sarà in grado di fare, al governo: accanirsi contro di loro. Io ho lottato molto, mi sono esposto, e ricordo che ogni nostra campagna veniva mandata all’aria dal primo stupido che urlava che le ONG che salvavano vite in mezzo al mare facevano accordi con gli scafisti. Non contavano i fatti, le sentenze, le testimonianze: esattamente come non sono contate tutte le volte che, inclusa questa campagna elettorale, la destra ha parlato di emergenza, di invasione dei migranti. In treno, mentre andavo a votare, orecchiavo i discorsi delle persone: quelli che parlavano bene di Meloni, dicevano tutti la stessa cosa: farà finire la pacchia degli stranieri e dei clandestini. È come quando si criminalizzavano i comunisti sulla base di paure inventate».
Una cosa buona di Meloni?
«Che è una donna».
Fascista, dicono.
«Ma anche se è fascista, una donna sulla sua pelle sente la bastonatura che hanno subito le donne nella storia, e questo la rende più sensibile a certe cose rispetto a un uomo».
Perché la sinistra non esprime una leadership femminile?
«Tra poco lo farà».
Un nome?
«Elly Schlein. Che non è mai uscita dal Pd: avrebbe potuto farlo e andare magari in un partito più piccolo, un corpuscolo più affine a un’indipendente come lei. Invece, è rimasta in un posto dove può crescere, sapendo benissimo che la sola forza strutturata che c’è a sinistra è il Partito democratico. E poi lei è più attraente per i giovani: domani, quando voteranno gli adolescenti che oggi discutono di identità sessuale ribaltandola, si sentiranno finalmente rappresentati da qualcuno che incarna la fluidità come Schlein. Questo aspetto è stato sottovalutato, ma non potrà più accadere, anche semplicemente per una questione di ricambio generazionale dell’elettorato».
Non sarà ingenuo credere che l’astensionismo fra i ragazzi sia stato così elevato perché non c’era nessun leader che li rispecchiava?
«Certo. La ragione principale del non voto è che andare a votare dev’essere attraente: deve darti l’impressione di poter contribuire alla felicità tua e degli altri».
La felicità non è in nessun programma politico.
«E questo è imperdonabile. Non perché la politica possa dare la felicità, ma deve ambire a crearne le condizioni. Fino agli anni ’70 e una parte degli ’80, anche dietro i provvedimenti di bandiera dei partiti delle grandi ideologie, rendere felici i cittadini era un obiettivo propriamente politico».
Cos’ha sbagliato la sinistra?
«Non ha saputo disincagliarsi dall’idea, ormai tramontata, che il lavoro produca ricchezza e che quindi i lavoratori vadano tutelati come fossero clienti. La sinistra deve rivoluzionare questo aspetto: non possiamo più basarci sulla produzione dei consumi ma sulla creazione di beni. Non deve porsi il problema - come invece fa la destra - di come dividere la torta e a chi dare le fette, ma di fare la torta. I mercati, la finanza, la macroeconomia ci hanno fatto capire che, ormai, saremo tutti più poveri. Questa cosa qui è la stagflazione. Siamo in balia dei grandi meccanismi finanziari al punto che la differenza tra un governo tecnico e uno politico è che il tecnico agisce meglio perché i tecnici vengono tutti dalla finanza.
E allora la sinistra cosa deve fare?
«Mettere sul tavolo cose diverse dal lavoro, cose che compensino il fatto che saremo meno ricchi, che dovremo consumare meno e che consumare meno non significa essere poveri. Ecco, la felicità mi sembra un buon mezzo di compensazione».
È favorevole al reddito di cittadinanza?
«Certo. Ed è stato sbagliato parlare di voto di scambio. Si tratta di una misura da migliorare e da portare nel futuro: è la sola che potrà sostenere le persone quando i posti di lavoro, a causa dell’automazione, diminuiranno sempre di più».
Cos’è il popolo?
«Un movimento collettivo verso il futuro. Ma non va amato per forza, non va amato perché è popolo. A me interessa quando si emancipa, si migliora e si orienta, non quando si lascia manipolare con la promessa di uno sconto sulle bollette o della cacciata dello straniero».
Lei una volta ha detto: senza una buona ragione, la disciplina scompare. Qual è la sua buona ragione?
«I miei figli».
Possono esserlo anche per i politici?
«Un premier deve avere verso il Paese che governa la dedizione e l’abnegazione di un genitore. Deve rinunciare alle cose che fanno tutti, anche alla propria felicità, per assicurarla agli altri. C’è una foto di Berlinguer che mi commuove sempre: è al mare con le sue figlie, loro sono in costume, lui in giacca e cravatta, è chiaro che è passato a salutarle per un momento, perché poi dovrà andare a lavorare. Salvini, al mare, lo abbiamo visto ballare in mutande: non sarà mai capace di intendere il suo ruolo come sacrificio per la comunità, a lui interessano i pieni poteri».
Che cos’è la politica, idealmente?
«Il luogo dove il conflitto, senza la rabbia, determina una crescita».
Che cos’è stata la politica in questa campagna?
«Lo sfogatoio della rabbia».