la Repubblica, 26 settembre 2022
Eliud Kipchoge, l’uomo dei record
Continua a stroncare il tempo. A migliorare record che ha già, a lasciare dietro il mondo. A quasi 38 anni è sempre il re della strada. Il più grande maratoneta della storia, anzi il maratonauta. “Kingchoge”, chiamatelo così. Perché il keniano Eliud Kipchoge, tribù dei Nandi, cresciuto in quella Rift Valley, a nord de La mia Africa della baronessa Blixen, a Berlino ha corso la maratona in 2h 01’09”, demolendo di mezzo minuto il suo primato di quattro anni fa.
Affaticato? Quando mai. Prima di tagliare il traguardo ha anche perso tempo per applaudirsi e allargare le braccia. Bravo. Volete provarci anche voi? Correte 420 volte di seguito i 100 metri in 17” e se ne riparla. Non è da tutti viaggiare ad una media di 21 chilometri orari, da solo per quasi metà gara, perché se nel realizzare il record “sub 2 ore” (non ufficiale, ma storico) a Vienna nel 2019 erano state necessarie 35 lepri (scelte tra i migliori), a Berlino nessuno degli avversari ha retto il suo ritmo. Eliud è così, anche ai Giochi di Tokyo aveva gentilmente avvisato della fuga i suoi compagni di squadra: «Bè io ora allungo il passo». Come a dire: non affaticatevi a seguirmi.
Se c’è chi a 41 anni come Federer lascia tra le lacrime, c’è anche chi a 38 (il 5 novembre) corre come un razzo, lascia gli altri 5 minuti indietro, e all’arrivo si mette a ridere. «Siamo andati troppo veloci nella prima parte. Avevamo programmato 1h00’50” a metà gara, ma le gambe andavano così bene che mi sono lasciato prendere la mano (59’51”,ndr)». E già, ha perso ritmo (un minuto) tra il 25esimo e il 30esimo chilometro, per strapazzare ufficialmente la barriera delle 2 ore perché quella maratona corsa nel 2019 in 1h 59’40”, impresa mai riuscita prima, non è omologabile. Kipchoge non è tipo da stressarsi, mai un lamento, la fama lo motiva, e adotta il metodo Bubka, un record alla volta, così si guadagna di più. Sì ha le superscarpe, ma soprattutto una supertesta. Legge Aristotele, Confucio e Paolo Coelho. «Di lui mi piace questa frase: rispetta una legge, quella di non dirti mai bugie». E ha qualcosa che gli altri non hanno, anzi non fanno: in ritiro pulisce il bagno collettivo,anzi la latrina da sé, quando è il suo turno. Sei il recordman? Fa niente, qui tutti aiutano, nel camp non c’è acqua potabile, né frigo, Kipchoge spazza la sua cella e si lava in una bacinella maglia e calzini, poi li stende al sole. Cita un detto africano: «Anche i grandi uomini per radersi la testa hanno bisogno degli altri». Scrive tutto quello che fa in quadernetti (uno per ogni anno). «Prendo nota delle mie sensazioni, così mi ricordo». Dorme in una stanza spartana che ha sulla parete la foto dei suoi figli che corrono, nel pomeriggio beve una tazza di tè e mangia una fetta di pane. Gli antipasti sono 230 chilometri a settimana. La sua formula vincente: motivazione più disciplina uguale consistenza.
Eliud pesa poco più di 52 chili, per 1.67, è cresciuto, ultimo di quattro figli, nel villaggio di Kapsisiywa, assieme alla madre insegnante, Janet Rotich, che recita il rosario ogni volta che lui gareggia, il padre è morto che lui era un bimbo, lo ha visto solo in fotografia. Sposato con Grace Sugutt, è padre di tre figli, vive a Eldoret, è allenato da quando aveva 16 anni da Patrick Sang, argento nei tremila siepi a Barcellona ’92. Sang la prima volta che vide il ragazzo gli regalò un orologio, per poi accorgersi che Eliud il tempo ce l’aveva dentro. Sapete quanti tra i cento migliori maratoneti sono stati capaci di migliorarsi a 37 anni? Solo uno, a parte Eliud, l’etiope Kenenisa Bekele.
Kipchoge non ha segreti, la sua forza è nell’essere un metronomo che non va mai in confusione. È uno che si conosce: se vinci 15 su 17 maratone disputate e le altre due volte arrivi secondo (sempre a Berlino nel 2013), dietro Wilson Kipsang che fa il record del mondo, e ottavo, a Londra 2020, per un’otite, vuol dire che non hai nervi scoperti. Kipchoge ha vinto tutto: quattro volte a Londra, quattro volte a Berlino, a Chicago, a Tokyo, per arrivare ai 6 Grandi Slam (major) delle maratone gli mancano solo Boston e New York. Non solo, ma detiene quattro delle cinque migliori prestazioni di sempre. Ha conquistato anche due titoli olimpici: a Rio e a Tokyo-Sapporo e ha prenotato Parigi 2024. Ce la facesse sarebbe il primo, per ora condivide la doppietta con il mitico etiope Abebe Bikila (‘60 e ’64) e il tedesco est Waldemar Cerpinski (’76 e ’80). E adesso? «Festeggio e poi con il mio gruppo pianificherò il futuro». Il futuro si capisce, cioè la prossima volta.