il Fatto Quotidiano, 26 settembre 2022
Intervista a Enzo Avitabile
Voce leggermente roca, tipica di chi galleggia perennemente tra musicalità ed emozioni; di chi è abituato a sussurrare la propria anima, se stesso, attraverso il suono di un sassofono.
Quel suono ha girato il mondo. Ha incantato, stupito, sedotto. Ha portato sua maestà James Brown a fermarsi per capire: “Stare accanto a lui è forse una delle maggiori emozioni della mia vita”, parola di Avitabile.
Il musicista napoletano è tornato, ha inciso un nuovo disco di inediti, Il treno dell’anima, dove la sua direzione ostinata non è contraria alle contaminazioni, alle collaborazioni con altri artisti: “Non so stare solo, ho il karma degli incontri”. E così, per questa avventura, ha portato sulla sua arca sonora amici come Ligabue, Jovanotti o Biagio Antonacci.
È stato uno dei primi ad affrontare e cercare la “contaminazione”…
È una questione di storia personale; tutto nasce da quando ero bambino e a Napoli sono arrivati i primi jukebox: da quella scatola delle meraviglie uscivano suoni mai ascoltati prima, una musica statunitense che miscelava la tradizione celtica con quella africana, il colonizzato con il colonizzatore; (pausa) io restavo lì davanti, immobile.
I suoi miti di quel periodo.
(Sorride) I jukebox vibrava con fenomeni come Tina Turner e James Brown e non capivo nulla delle parole in inglese, però mi sono sentito come John Belusci in The Blues Brothers, quando in chiesa è stato illuminato dalla luce divina; (cambia tono, lo abbassa) anni dopo, ho suonato con entrambi (nella sua camera ha la foto con Tina Turner).
Sul palco con James Brown.
(Sorride) Gli ho restituito il favore.
Cioè?
Io non capivo lui quando la sua voce usciva dal jukebox; lui non ha capito me quando ci siamo parlati. Ma è stato fantastico perché ho visto a pochi centimetri suonare un grande pezzo di storia della musica, ho percepito cosa vuol dire essere un fuoriclasse. (resta in silenzio).
A cosa pensa?
Che noi artisti viviamo di opere ed è normale poi volerle tramutare in prodotti, mentre oramai oggi si creano prodotti per poi mascherarle da opere.
In particolare?
Ho vinto il Premio Tenco con Don Salvatore, eppure questo brano non è mai passato per le radio.
Secondo Beppe Vessicchio il suono di Pino Daniele è anche una sintesi di quello che aveva creato lei precedentemente.
Con Beppe ci conosciamo da sempre; comunque le sue parole non sono lontane dalla realtà, però Pino è stato bravo, velocissimo, rivelatore e dotato di una poesia non comune. Quella “sintesi” è tutta in Terra mia.
Lei era in tournée con Edoardo Bennato quando per la prima volta avete riempito gli stadi.
E pensare che fino a poco tempo prima eravamo felici se avevamo 800 spettatori.
Invece?
Improvvisamente ci siamo trovati di fronte a un muro sterminato di persone, noi con un impianto italiano non totalmente all’altezza tanto da doverlo integrare con un altro inglese; (pausa) Edoardo ha sempre posseduto una grande eleganza nella scrittura, una capacità poetica mista a ironia.
Si è mai sentito in competizione con Bennato e Pino Daniele?
(Stupito) Io? Non sono proprio in grado; come dicevo la mia storia parla di contaminazioni e collaborazioni. Di dialogo. Di confidenza e di amicizia.
Solo, mai.
Perché mi gioco la vita in ogni nota e quando suono credo di essere tutt’uno con lo strumento.
Chi definisce amico?
Lista lunga; sicuramente Francesco Guccini, poi sento molto spesso Francesco De Gregori, con lui ci confrontiamo su testi e musiche; (pausa) mi manca molto Battiato, da Franco andavo a prendere la vita.
Tradotto?
Con lui potevo affrontare discorsi molto profondi sulla spiritualità, mi chiamava “cumpari”; quando giravano il docufilm su di me (Enzo Avitabile Music Life, regia di Jonathan Demme), ha preso l’aereo, a sue spese, ed è arrivato a Napoli solo per starmi vicino. Lui mi manca tantissimo, era un punto di riferimento.
Napoli per lei.
Una casa madre, una mamma. È l’unico posto al mondo dove è impossibile sentirsi soli; è l’unico posto al mondo dove trovi sempre qualcuno per strada; è l’unico posto al mondo aperto H24, altro che New York.