il Fatto Quotidiano, 26 settembre 2022
Intervista a Erri de Luca
Ora che le elezioni si sono svolte è contento del voto che ha dato? Ha scelto a fatica? Nel cammino verso il seggio cosa le è passato per la mente? Ha pensato che stesse facendo una cosa giusta? Oppure anche lei è convinto che il voto sia divenuto un puro esercizio di stile?
Sono scontento di queste elezioni. Niente giovani in lista, quelli sotto i trent’anni ai quali spetta il futuro. Da qui la conseguente assenza di progetti e impegni su clima e ambiente. Sono perciò elezioni scadute in partenza, in ritardo su tutto. Ho assistito a una campagna elettorale ombelicale, come se il mondo non esistesse. La più importante scadenza di questi giorni è stata per me non questa tornata elettorale ma l’appuntamento di Terra Madre a Torino, dove si prefigura il futuro di una economia su base locale, capillare, premurosa con il suolo, di corta distribuzione. Terra Madre è seme di futuro, queste elezioni no.
È impensierito che il nuovo governo italiano possa essere lontano dalle sue aspettative e le sue convinzioni ostili a quelle di chi siederà a Palazzo Chigi? Oppure è indifferente alle svolte e ai nuovi volti – ammesso che ci siano – che si affermeranno.
Qualunque maggioranza esce da queste urne continuerà a ignorare le piaghe ambientali, da Ilva di Taranto in su. E pure se sarà guidata da aspiranti Orbàn o Erdogan non riuscirà ugualmente a far arrivare i treni in orario, per citare un tema caro al tempo della dittatura.
Non poteva esserci cornice più buia, quasi catastrofica: la Russia è decisa a giocare la partita finale, l’ultima disgraziata curva per averla vinta sull’Ucraina: la bomba nucleare. Nella sua vita ha mai pensato che potesse venire il giorno in cui la distruzione di massa sarebbe stata così potentemente vicina?
Non la credo vicina. Sono cresciuto in un Novecento nucleare e bipolare, dominato dalla sigla Mad, mutual assured destruction, reciproca distruzione assicurata. Ogni giorno conteneva il possibile innesco dell’annientamento. Oggi la minaccia di ricorso russo ad armi atomiche è propaganda rivolta a spaventare l’opinione pubblica occidentale, distoglierla dal sostegno all’Ucraina. Come la passeggiata di navi militari russe vicino alle nostre coste.
Sembra che esista una povertà ancora più assoluta. Una regressione degli stili di vita e una condizione della miseria ritornata a dimensioni sconosciute, la preoccupazione non solo di non farcela a pagare le bollette della luce e del gas, ma di non farcela a pagare il pane, lo zucchero, il caffè. Un salto all’ingiù improvviso e abbastanza disperato.
È venuta l’epoca di necessari sussidi a sostegno delle povertà, delle perdite di reddito e di lavoro. L’ Italia ha una formidabile rete di pronto soccorso civile con milioni di generosi anonimi che suppliscono alle inadempienze pubbliche. In questa epoca di riduzione generale dei consumi se la caveranno meglio le comunità solidali come la nostra.
Eppure, non so dirle se è nota stonata o confortante, nelle piazze delle città italiane quest’estate una massa di visitatori mai vista prima. Turisti ovunque, locali pieni ovunque, alberghi sold out. Come se fosse l’ultimo assaggio di ricchezza, l’ultima volata del piacere prima del lungo inverno.
Siamo per dotazione geografica e culturale un’attrazione per visitatori di ogni luogo del mondo. È la nostra provvidenza, l’unica vera eccellenza che possiamo offrire sul mercato del mondo. Siamo detentori di bellezza. Prima ci sbarazziamo di avvelenamenti industriali, meglio potenzieremo la nostra unicità. Il Mar Piccolo di Taranto è l’esempio della sottomissione alla siderurgia di un’area a enorme potenziale turistico. Il futuro è il suo recupero, non il proseguimento tossico di lavorazioni scadute.
Sarà un lungo inverno anche per la democrazia? Oppure pensa che domani farà bel tempo? Sarà un bel tempo?
Non misuro il tempo sul domani. Dall’altura dell’età raggiunta mi affaccio sul tempo di una gioventù futura che saprà inventare la nuova economia della riparazione e di tutela della salute pubblica del proprio luogo. Mi affaccio su un tempo in cui non avrò parte, invece che su un domani ancora infestato da guasti prolungati. Non sarà un tempo di semplici riforme né di rivoluzioni. Il suo ordine del giorno sarà la profonda parola conversione, quella preceduta dalla caduta di Paolo di Tarso sulla via di Damasco. Da persecutori di ambiente a suoi protettori: sarà individuale, riguarderà ognuno. Sarà il contrario di oggi e di un domani ancora compromesso con ieri.