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Alì che atterra Foreman, Tommie Smith e John Carlos che alzano i pugni a Città del Messico, l’indice levato al cielo di Mennea. E da ieri, Roger Federer e Rafa Nadal che piangono disperati tenendosi per mano come due compagni di banco all’ultimo giorno delle elementari. La galleria delle grandi foto dello sport va aggiornata, l’addio del Genio alla Laver Cup in un attimo si è trasformato in storia. C’entrano sempre le mani, ma stavolta non sfidano, non colpiscono, non atterrano: uniscono. Affratellano. Come la mano di Coppi che passa la borraccia a Bartali - o viceversa - ma qui la gara è finita e l’acqua invece di restare invisibile sgorga dall’anima, sublimata in lacrime. Non si era mai visto un addio del genere, nella storia dello sport, con l’eccezione forse di quello di Lou Gehrig, l’orgoglio degli Yankee già minato dalla malattia a cui stava dando un nome. Un pianto collettivo, liberatorio, senza pudore e senza vergogna. Sabato notte a Londra piangevano gli amici, i genitori, i figli, la moglie di Roger che lo ha stretto in un abbraccio infinito; piangevano gli spettatori nell’Arena e quelli all’esterno, bloccati nella corsa all’ultimo metro davanti agli schermi giganti; piangevano quei cinici dei giornalisti in sala stampa. Ma soprattutto piangevano gli avversari di una vita di Federer che fino a ieri gli hanno conteso i record e in un secondo sono crollati come adolescenti: Djokovic, Murray, Nadal con il volto devastato dalla commozione. Perché Federer per un quarto di secolo non è stato solo un fuoriclasse immenso ma anche il diario dei nostri ricordi, lo specchio delle nostre emozioni, il campione enorme e fragile, che ha vinto tutto e perso altrettanto, spesso con un match point a favore, come è capitato anche sabato. Un gigante di fair-play, facile da tifare e impossibile da non amare: persino per chi avrebbe dovuto evitare di farlo per ambizione e per orgoglio, per logica e per contratto. Le dita di Rafa intrecciate a quelle di Roger sono le dita di tutti, trattengono un lembo di vita che non si vorrebbe mai far passare: l’attimo di Goethe, la promessa di Baudelaire, il più struggente dei «Federer moments» raccontati da Foster Wallace. Il miglior regalo che poteva farci il nostro amico del cuore, Roger Federer.