La Stampa, 25 settembre 2022
Putin al bivio: mandare a morire pretoriani o civili?
La domanda che circola, in varie forme, nelle chat di quelli che stanno fuggendo verso il confine è «devo togliere l’adesivo della Z dal parabrezza?». Le code ai valichi di frontiera lungo tutto il perimetro della Russia – Finlandia, Georgia, Kazakhstan, Mongolia – si stanno allungando per chilometri, i biglietti aerei sono andati esauriti: la grande fuga dalla mobilitazione alla guerra in Ucraina continua, ma stavolta a scappare a migliaia non sono dissidenti e oppositori. È la fuga dei sostenitori di Vladimir Putin, di quelli che fino a tre giorni prima appiccicavano la Z simbolo dell’invasione in Ucraina sull’auto, e chiedevano di «asfaltare Kyiv» nei social. Come con la riforma delle pensioni nel 2018, stavolta il padrone del Cremlino ha dato una martellata proprio al suo popolo. A Mosca circolano voci di un divieto di espatrio per uomini e donne con obbligo militare, ed è evidente che la guerra ora riguarda tutti: da tutte le regioni russe a cominciare dalla finora intoccabile Mosca arrivano notizie di uomini reclutati direttamente per strada, nei loro letti di notte, alla scrivania in ufficio, in quella che assomiglia sempre di più non a una chiamata alle armi, ma a un rastrellamento.
La brutalità con la quale il regime ha trasformato i suoi fedelissimi in carne da cannone ha avuto un effetto choc, e al Cremlino stanno aspettando con ansia l’esito dei primi sondaggi «per uso interno». Intanto la tirata di orecchie pubblica ai militari, per l’«eccesso di zelo» nella coscrizione, è il segnale che qualcuno si è reso conto dell’impatto devastante di decine di migliaia di uomini strappati alle famiglie. In alcune regioni, dopo le proteste e le denunce dei media locali, i padri con prole numerosa, i malati, gli studenti e gli anziani sono stati rilasciati dalle caserme, ma difficile che la tendenza generale possa invertirsi. Le gerarchie, poco preparate e molto corrotte, continueranno a reclutare chiunque gli capiti a tiro, anche perché l’unica regola della «verticale di potere» costruita da Putin è quella di avere più paura di una strigliata dall’alto che di qualunque altra conseguenza. Il capo vuole i numeri, e i numeri avrà, e se dietro ai numeri ci sono persone che non vogliono e non possono combattere, e che verranno gettati sotto i colpi ucraini senza alcuna preparazione, e con dei fucili arrugginiti, non è un problema del commissario militare della Buriazia o di Samara.
Mentre mani ignote continuano a lanciare molotov contro i commissariati militari (impossibile procedere alla mobilitazione con gli archivi inceneriti), Russia Unita e comunisti ieri hanno proposto alla Duma una legge su 300 mila rubli (poco più di 5 mila euro) da pagare ai neosoldati, che vedranno tutelato anche il loro posto di lavoro e sospeso gli eventuali mutui, cancellati in caso di morte. Soldi che andrebbero ad aggiungersi a quelle spese militari che, secondo indiscrezioni raccolte da Bloomberg nel governo russo, dovrebbero costituire dal 2023 il 40% del bilancio russo. In altre parole, i russi potrebbe presto trovarsi a scegliere tra la trincea e la miseria. Una situazione che produce conversioni inattese, come quella del leader ceceno Ramzan Kadyrov, che ha proposto di interrompere la mobilitazione popolare per mandare al fronte la metà degli effettivi dei vari enti repressivi: tra poliziotti, Guardia nazionale, Fsb e altri servizi segreti, ma anche magistratura, guardia di finanze, polizia penitenziaria, messi dei tribunali e innumerevoli altri bracci armati del regime, si potrebbero radunare almeno 2,5 milioni di uomini già addestrati all’uso delle armi.
Una proposta che tiene conto della rabbia che i russi cominciano a provare: ieri a Omsk le neoreclute hanno aggredito gli agenti della Guardia nazionale – la polizia politica che Putin ha creato e affidato alla sua ex guardia del corpo Valery Zolotov proprio per reprimere il dissenso – che cercavano di spingerli sui pullman dell’esercito: «Perché non venite a combattere insieme a noi?», gridavano. Putin si trova ora di fronte a un dilemma irrisolvibile: mandare al fronte i suoi pretoriani, riempiti di soldi e privilegi per renderli leali, o rischiare di polverizzare il poco consenso popolare che gli resta mandando padri di famiglia al fronte e manganellando ragazze alle manifestazioni. È probabile che gli toccherà fare entrambe le cose, per tentare di vincere una guerra che ritiene fatale perdere. Del resto, nei 23 anni precedenti una guerra di conquista gli aveva sempre fatto recuperare l’amore dei russi, ma stavolta anche l’annuncio dell’annessione di nuovi territori – a Mosca si parla di un discorso di Putin alle Camere il 30 settembre, a conclusione dei «referendum» nelle zone occupate dell’Ucraina – potrebbe non sortire l’effetto magico nei russi troppo impegnati a mettersi in salvo per sognare il ritorno dell’impero sovietico.