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 2022  settembre 25 Domenica calendario

Biografia di Pino Strabioli raccontata da lui stesso

«Ero un ammiratore sfegatato di Paolo Poli, andavo a vedere tutti i suoi spettacoli e una sera, al Teatro Valle, per conoscerlo da vicino, mi presento nel suo camerino spacciandomi per giornalista. Lui mi dà un’occhiata distratta, risponde svogliatamente e frettolosamente a un paio di domande, che forse non erano molto intelligenti, poi mi chiede: che fai? Gli rispondo che frequentavo l’università e stavo preparando un esame su Giovanni Pascoli. Comincia a raccontarmi molte cose sul grande scrittore e io mi incanto nell’ascoltarlo. Però poi si interrompe bruscamente, sentenziando: è molto meglio il film porno che ho appena visto con Moana Pozzi, dove interpreta una psicoanalista che cura i pazienti... Una battuta, la sua, che mi fa follemente innamorare della sua ironia, tanto che esco dal camerino, gli vado a comprare un mazzo di tulipani e glielo lascio in teatro, con il mio numero di telefono di casa, perché all’epoca non esistevano i cellulari. L’indomani mattina, alle 7 e mezzo, Poli si svegliava sempre all’alba, mi chiama, io rispondo intontito dal sonno. Mi dice: sono Paolo Poli, detesto i tulipani, il mio unico amore è stato un olandese... E riattacca la cornetta».
Pino Strabioli è una miniera di aneddoti sugli innumerevoli personaggi che, nella sua lunga carriera di showman, ha incontrato, e continua a incontrare in teatro, in televisione e alla radio. Si definisce un giornalista mancato: «Non ho mai fatto l’esame per accedere all’Ordine», eppure ha intervistato i più noti protagonisti del mondo dello spettacolo.
E pensare che lei ha iniziato come attore in palcoscenico...
«Sì, recitando persino testi di Luigi Pirandello, ma sempre in piccoli ruoli. A volte mi sono capitate offerte per parti interessanti, mai da protagonista. So di non avere il talento di un grande interprete, non posso fare Amleto, ma non la vivo come una frustrazione e mi sono costruito una forma scenica in maniera artigianale. Fu proprio Poli che mi disse: per passare alla storia, bisogna distinguersi, e tu “bambolino” passerai alla storia? Io risposi: ma no, Paolo, perché dovrei passare alla storia? E lui: bravo, hai coscienza di te».
Tuttavia Poli la scritturò per il suo «Viaggi di Gulliver» dal romanzo omonimo di Jonathan Swift.
«Gli serviva il protagonista e mi propose di fare proprio Gulliver. All’epoca gli davo ancora del lei e, lusingato dalla sua proposta, risposi subito: certo, grazie signor Poli, mi preparo per un provino? E Paolo ribatte: no, sei già abbastanza “orrenda”. Negli anni successivi nacque, in modo curioso, il nostro libro “Sempre fiori mai un fioraio”: in realtà, era un’intervista che gli avevo fatto senza che lui lo sapesse...».
Cioè?
«Andavamo spesso a pranzo insieme e, nascosto sotto il mio tovagliolo, tenevo il registratore: gli facevo le domande sulla sua vita, lui rispondeva ignaro e con totale sincerità. Poi gli rivelai l’inganno e accettò l’idea di firmare il libro insieme. Una proposta che, invece, difficilmente accettava era di fare televisione: la definiva un’orrenda macchina. E fu un problema convincerlo a realizzare insieme un programma su Rai3, dedicato ai sette vizi capitali. Finché, sfinito dal mio stalkeraggio, accettò a una condizione: lo faccio, ma le puntate devono essere 8. Ma i vizi capitali sono 7! E lui: l’ottavo vizio sono io».
Lo stalkeraggio e tanta faccia tosta li ha utilizzati anche con Gabriella Ferri, vero?
«Ero un ragazzo spudorato e sono andato a bussare a casa sua! Gabriella abitava a Campo de’ Fiori, avevo avuto il suo indirizzo da un’amica comune. Mi apre la cameriera, entro in salotto e la vedo seduta al tavolo, di spalle, mentre mangiava. Si gira verso di me: avevo il ciuffo in testa da punk, ed ero vestito con un paio di pantaloni, retti dalle bretelle. Mi guarda, capisce la mia urgenza di conoscerla, forse l’ho intenerita ed esordisce con una battuta: “A straccalé che voi da me?”. In dialetto romanesco le bretelle si chiamano straccali. Da allora iniziò una lunga amicizia. Era una donna generosa di sé, ma nonostante le apparenze e la sua celebre canzone “Grazie alla vita, che mi ha dato tanto...”, era depressa, viveva con fatica. Rammento le nostre lunghe passeggiate notturne per Roma: le piaceva rubare i sampietrini o altre pietre, da aggiungere a un accumulo incredibile di oggetti che collezionava. Unico problemino è che ero io, poi, a trascinarmi in tasca le pietre... Ma un’altra volta, mi fece scampare a una multa».
Che aveva combinato?
«Avevo una 500 ed ero andato a prenderla per portarla a Orvieto, a casa mia, per farla conoscere a mia madre che l’adorava. Innanzitutto, per farla entrare in macchina, avevamo dovuto faticare parecchio: Gabriella era ingrassata e indossava un’ingombrante pelliccia, non fu facile collocarla nel ristretto abitacolo dell’automobile. Quando arriviamo al casello dell’autostrada, ci ferma la polizia stradale: avevo l’assicurazione scaduta e stavano per farmi la multa, ma la mitica Ferri comincia a cantare. I poliziotti, estasiati, mi allentano un colpetto in testa e mi lasciano andare».
Sua mamma Adele sarà stata orgogliosa di un figlio che frequentava personaggi importanti...
«All’inizio non aveva nemmeno ben capito che tipo di attività stessi svolgendo. Per esempio, quando telefonò a casa un’attrice famosa che voleva parlarmi per un progetto comune, mamma non la riconobbe e l’attrice si stizzì dicendo: lei non sa chi sono io?!».
Ma allora lei da chi ha ereditato la passione per lo spettacolo?
«In famiglia da nessuno, mamma era casalinga, papà maresciallo di Polizia. Però da bambino ero affascinato da quel mondo che vedevo in tv e mi divertivo a imitare le persone: a scuola, mi piazzavo sulla cattedra e rifacevo il verso al maestro; se andavo con i miei a fare la spesa imitavo il fruttivendolo o il macellaio. Vivendo in una piccola città, Orvieto, ho sviluppato la fantasia, che ho poi arricchito e condiviso con gente come Franca Valeri, la mitica Sora Cecioni che mi chiamava affettuosamente Pinetto...».
Con Patty Pravo, con cui è in tournée, cosa condivide?
«Il poterla conoscere è stato un regalo di Gabriella Ferri, che me la presentò negli anni ‘80. Precisiamo: esiste Patty Pravo e Nicoletta Strambelli. La prima è la diva che vedi sul palco, una gigantessa della musica. La seconda, quando scende dal palco, è una donna normale, piacevolissima: più sei un gigante, più non devi dimostrare che lo sei. Quanto al condividere... bè, a Nicoletta piacerebbe condividere con me il passeggiare sotto la pioggia che ama tanto, cosa che non sopporto e su questo non andiamo d’accordo. Condivido con lei il sapere fin dove si può arrivare, e in questo sono stato spesso aiutato da mio fratello Angelo, psicoterapeuta».
In che modo l’aiuta?
«Facendo le “radiografie” di quello che faccio. Se assiste a una delle mie interviste, mi fa il quadro clinico, dicendo: non sei stato chiaro nelle domande, oppure non sei riuscito a far capire i sentimenti del tuo intervistato e non sei stato capace di fargli dire ciò che non voleva dire, non hai approfondito, non sei stato ficcante...».
E lei accetta le critiche fraterne?
«Assolutamente sì, perché sono mirate a migliorami e poi, a una certa età, sto per compiere 60 anni, bisogna darsi una regolata».
L’attrice per lei più difficile da intervistare e quella che non è mai riuscito a intervistare?
«La più difficile, ma anche tra le più divertenti, Adriana Asti: è molto ironica, però molto chiusa e maestra della sintesi, quindi bisogna tirarle fuori le risposte con le pinze. Quella che non sono riuscito a intervistare, Sophia Loren... ma non ci ho nemmeno provato».
Lei, però, è stato anche spesso intervistato. Ha mai provato imbarazzo?
«Tanti anni fa, praticamente ai miei esordi, vengo finalmente invitato al Maurizio Costanzo Show, ci tenevo molto ad andare. Ma non so spiegare perché e non fu colpa di Maurizio, con cui ormai da tempo faccio tanti programmi in tv, ma quella mia prima volta provai un disagio incredibile, quella sera mi sentivo fuori luogo, avrei voluto fuggire, non volevo stare lì».
Quando le hanno offerto di assumere la direzione artistica del Teatro Mancinelli, il più importante palcoscenico proprio di Orvieto, la città dove è cresciuto e ha studiato, la sua ambizione sarà stata molto appagata...
«Figuriamoci! Quando me l’hanno proposto ho provato la più profonda emozione della mia esistenza. È il teatro dove andavo da ragazzino a vedere gli spettacoli di Rossella Falk, Romolo Valli, le regie di Giorgio Strehler con Valentina Cortese, e poi Gabriele Lavia, Umberto Orsini, Giorgio Albertazzi... miti assoluti. Proprio assistendo a quegli spettacoli, ho capito che la mia fuga verso e con la fantasia poteva avvenire attraverso il teatro. Una creatività che cerco di trasmettere ai giovani attraverso il progetto “Teatri in scuola”. Siamo la patria di Luigi Pirandello e di Eduardo De Filippo, ma nelle aule non si studia teatro; siamo la patria di Giuseppe Verdi e di Giacomo Puccini, ma in aula non si studia musica... Ebbene: con la mia associazione, realizziamo dei laboratori per spiegare la materia ai ragazzi e invogliarli alla fruizione dello spettacolo dal vivo. Poi li portiamo in sala per conoscere il grande repertorio».
Intanto, è di nuovo impegnato su Rai1 con il programma «Il caffè» e dal 3 ottobre con Costanzo in «S’è fatta notte», sulla stessa rete.
«In entrambi i programmi, si racconta l’altra Italia. Con leggerezza, insieme agli ospiti presenti in studio, perlustriamo la vita culturale del Paese, tra presente e futuro. È anche uno sguardo sugli aspetti più originali e contraddittori della nostra società che, a pensarci bene... non sono pochi».