la Repubblica, 24 settembre 2022
Francesco Guccini vota Casini
Francesco Guccini, qual è il suo primo ricordo delle elezioni?
«Quelle del 1948, vissute qui a Pavana: avevo quasi otto anni. Mio padre era tornato da un campo di concentramento in Germania, la Casa del fascio era diventata Casa del popolo, comunisti e democristiani litigavano con urla altissime. Il prete, don Quinto Pelagalli, anticomunista acceso, svolgeva il suo apostolato secondo la massima di Guareschi: “Nell’urna Dio ti vede, Stalin no”».
E i fascisti dove erano finiti?
«Quelli del Msi se c’erano se ne stavano zitti. E siccome il paese è piccolo molti si riciclarono fatalmente».
La Chiesa quindi era in campo?
«Sì, ma la cosa divertente è che quando morì la Dc, e arrivò Berlusconi, don Quinto cominciò a votare a sinistra.
Avevo un amico di Forza Italia che non se ne dava pace».
E lei per chi voterà domenica?
«Io voto Pd».
Ma vota qui?
«No, no, andrò a Bologna, sono ancora residente in via Paolo Fabbri 43».
E allora al Senato voterà per Casini?
«Chi è l’altro?».
Sgarbi.
«Ah, ecco. Casini me lo presentò un frate domenicano, Michele Casali, all’Osteria delle Dame, come “il più giovane deputato del Parlamento”».
Era quarant’anni fa e Casini è ancora lì.
«Ci sono altre soluzioni? E quindi Casini, perché no?».
Non è troppo moderato per lei?
«Avrei preferito Elly Schlein. Spero che Casini si riveli meno di destra di quanto dicono».
Giorgia Meloni è la grande favorita. Come lo spiega?
«Quando ero ragazzo nelle balere si approcciavano le donne con un “balla, signora?”. Ed era o sì o no. Una volta una ragazza rispose così a un mio amico: “Proviamo anche questa”. Ecco, gli italiani, dopo aver provato Berlusconi, Renzi, Grillo, Salvini, vogliono provare Meloni; è qualcosa di connotato alla società italiana, ma sono innamoramenti di pancia, che sfioriscono presto».
Ma intanto presto potrebbe ritrovarsi a palazzo Chigi.
«Gli elettori in democrazia hanno sempre ragione. A loro dico: “Godetevela!”».
Meloni sta dissimulando?
«Ha due facce. Quella dell’endorsement a Vox, di “io donna e cristiana”; e quella atlantica, europeista, pro Euro, per smussare gli angoli. I contadini di Pavana definivano questo atteggiamento “da uova e da latte».
Qual è la vera faccia?
«L’origine non si dissimula, alla fine viene fuori. Ha notato com’è violenta nei comizi? Urla continuamente».
Cosa teme della destra al governo?
«L’involuzione sui diritti e sulle libertà personali. Dicono che non toccheranno la 194 sull’aborto, vedremo. Rischiamo una regressione conservatrice. E poi vogliono mettere in discussione il rapporto con l’Europa, come rivela l’appoggio a Orbán, un grande reazionario. Dicono: “Orbán è stato democraticamente eletto. Beh, anche Hitler lo fu».
L’hanno attaccata dopo la sua “Bella ciao” in chiave anti Berlusconi, Meloni, Salvini.
«Attacchi violentissimi per una canzone goliardica. Mi hanno detto che io li volevo a piazzale Loreto, mentre, in maniera scherzosa, io a Berlusconi auguro soltanto una cena elegante, a Salvini di bersi il suo Mojito e alla Meloni di spezzare le reni alla Grecia».
Laura Pausini si è rifiutata di
cantare “Bella ciao”.
«Ci sono artisti che vogliono dividere, e altri che non vogliono scontentare nessuno. Non vuol dire essere di destra, è semplicemente prudenza».
Salvini a sedici anni suonava “La Locomotiva”.
«Il Salvini adolescente non è il Salvini maturo».
Meloni la invitò ad Atreju.
«Sì, anni fa, mi telefonò, allora era la leader dei giovani di Alleanza nazionale. Cortesemente declinai».
Anche Gasparri, Alfano, Paragone sono suoi fan.
«Pure Paragone?».
Come spiega questa passione della destra per le sue canzoni?
«Non so. Vede, io non sono mai stato un cantautore militante. Ho sempre toccato le vite delle persone, canzoni esistenziali, di gente che si barcamena».
Il Guccini compagno quindi è una leggenda?
«Non sono mai stato comunista. Non avrei mai potuto con quel che avvenne col totalitarismo sovietico, ma riconosco i tanti pregi che il Pci ebbe nella crescita della società italiana».
E come si definirebbe allora?
«Un anarchico libertario. Voterei per il Psi di Nenni, se ci fosse».
Oggi chi le piace a sinistra?
«Bersani. Ha la mia stessa origine popolare».
Anche i ciellini vanno pazzi per le sue canzoni.
«Io sono molto amico del cardinale Zuppi. Mi piace la sua semplicità. Spero che diventi Papa».
Quest’anno ricorrono i 50 anni della “Locomotiva”. È la sua canzone più famosa?
«Credo che la più famosa sia
L’Avvelenata , purtroppo».
Perché purtroppo?
«È una canzone minore, un’invettiva».
Qual è la sua preferita?
«Odysseus».
È vero che con la ragazza di “Incontro” non ci fu mai niente?
«Niente. Eravamo solo amici».
Non è una canzone d’amore?
«No, no. È la riprova che una volta scritte le canzoni non ti appartengono più. Le canzoni sono fragili, come avvolte dalla stessa nebbia che confonde le cose».
Le pesa di non poter più leggere per i problemi di vista?
«Moltissimo. Ascolto gli audiolibri, ma sono un piccolo surrogato. Leggere era il mio vero mestiere».
Ricorda l’ultimo concerto?
«Sì, a Bologna. Il 3 dicembre 2011. Ero raffreddato. Presi venti gocce di paracodina, e siccome la voce non migliorava ne presi altri venti. E fu un errore, perché ebbi un mancamento.
C’erano dei miei amici medici che mi volevano portare al pronto soccorso.
“No, andiamo a cena”, risposi. In quel momento decisi che quello era stato il mio ultimo concerto».
Ne ha sofferto?
«No, l’ho deciso io. Non mi venivano più le canzoni. C’è un tempo per ogni cosa».
Ma le sue canzoni rimarranno.
«Non è detto. I miei libri sono migliori delle mie canzoni».
Non credo.
«Cosa vuole che rimanga dopo? Dopo è finito tutto».
Pensa talvolta alla morte?
«Sono in pista di lancio. Voglio essere cremato».
È vero che riceve ancora tante lettere?
«Sì, anche oggi ne sono arrivate cinque».
Vede.
«Sì, ma sono vecchio, i miei amici sono tutti morti. Mi sento un sopravvissuto»