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 2022  settembre 24 Sabato calendario

L’ultima partita di Roger Federer

Ha dato, gli è stato restituito. Lui non sperava de morì prima . Anche se ha incerottato il manico della sua racchetta con la commossa lentezza di chi impacchetta una vita. «È da tanto che non gioco». L’ultima sua faccia nell’ultima partita dice questo: sono calmo, è stato bello, ma da più di vent’anni faccio la stessa cosa, il mio corpo non ne può più, e forse nemmeno la mia anima. Non è da tutti lasciare senza rabbia, uscire dal campo non perché ti sei rimpicciolito, ma perché hai ormai un’altra dimensione. A 41 anni con moglie equattro figli il tuo mondo è fatto di altri mondi. Ma è stato (anche per lui) un lungo addio, molto celebrato e condiviso sui social. Si è fatto riprendere mentre giocava a ping-pong (meglio il dritto che il rovescio), in smoking naturalmente, prima di cena. Come a dire: me ne vado, questo è l’ultimo set, ma non esco dalla storia e vorrei restare nelle vostre vite, non scollarmi dai vostri cuori. Un’ammissione di fragilità, una richiesta di affetto, la scesa dal piedistallo: non sarò più quel Roger con la fascia, ma amatemi lo stesso. «I’m leaving, I’m leaving, but the fighter still remains », cantavano Simon&Garfunkel. E lui hacombattuto, mai un ritiro in carriera. Si è meritato il privilegio di lasciare, giocando in doppio per la seconda volta con l’avversario che in quindici anni lo ha fatto più dannare, e non perché fosse mancino, quel Rafa Nadal, con cui il bilancio finale è di 16 vinte e 24 perse (40%-60%). E ha già dettoche manderà le figlie ad allenarsi nell’accademia dello spagnolo, non più nemico, ma compagno. Nella Londra che ha appena dato l’addio alla regina che ha chiuso il ventesimo secolo, Federer che quel secolo l’ha fatto rivivere con il suo stile, ha ricordato che il suo regno è stato la bellezza, non il potere. E se in tanti nell’addio hanno voluto fare colpi alla Federer è stato per dirgli: ci hai reso più capaci di nuovi gesti. C’è stata serenità, non rimpianti. Roger non lascia perché è malato o disgustato, né perché la vita gli pone altre urgenze, resterà nel tennis, lo rivedremo ancora, non sparirà, finisce solo l’era Federer.
Giusto così: gli anni passano, nessuno è più quello che era. I suoi compagni di squadra nella Laver Cup non stanno molto meglio: Nadal ha un piede distrutto, Murray ha un’anca di metallo. Carl Lewis che faceva sempre salti in lungo prepotenti se ne andò con un ultimo salto d’oro disperato, fermandosi a riempire una busta di plastica per portare con sé un po’ di quella sabbia umile e stanca. Usain Bolt che smise proprio qui a Londra, fece un gesto alla Bolt, ma non era più Bolt. La sua corsa in staffetta a 31 anni finì gamba all’aria dopo 20 metri (crampo al quadricipite). Fulminato più che fulmine. «Non era il modo con cui avrei voluto dirvi addio». Inseguiva la leggenda, che si sa è dispettosa e ti ribalta, se non ne sei padrone, almeno Federer non è caduto nell’inganno di credersi Terminator. E si è regalato una serata speciale. Disse una vecchia Josephine Baker al Drury Lane di Londra a chi la scrutava con il binocolo: «Don’t do that, keep your illusion ». Non farlo, mantieni l’illusione. Primo punto, volée di dritto. Addio Roger, anche con il binocolo, sei (stato) tutto, troppo, non abbastanza.