Corriere della Sera, 24 settembre 2022
Biografia di Umberto Pizzi raccontata da lui stesso
Capri, 1972, le nove del mattino. «Sono appollaiato da ore in cima a un pino, a cavalcioni su un grosso ramo, di fronte alla villa di Valentino con vista sui Faraglioni, quando dalla porta finestra vedo uscire Liz Taylor e Richard Burton, con i bicchieri già pieni di gin. Si mettono a prendere il sole in piscina. Lei si sdraia sul lettino giallo, ai suoi piedi si accuccia un gigantesco alano biondo. Prego intensamente che si tolga il reggiseno del costume – un suo topless vale più di quello di Jackie Onassis – e intanto metto a fuoco da almeno 25 metri con un obbiettivo grosso come un fondo di bottiglia. Daje Liz, spogliati. Niente. Ad un tratto però si alzano. E che ti vedo? Due bei rotoli di ciccia sulla pancia della diva dagli occhi viola. Che colpo. Clic-clic-clic. Scatto a raffica e già conto i dollari che potrò intascare». Ruggenti memorie del Numero Uno dei paparazzi (detesta essere chiamato così: «Prego, fotoreporter»), ovvero Umberto Pizzi da Zagarolo, 85 anni e più di 60 passati con la Nikon al collo a inseguire star e reali quando Roma era ancora Hollywood sul Tevere. E poi, con scaltra riconversione, dedito a immortalare nobili, politici, boiardi, peones, nani e ballerine e tutto il cucuzzaro di Prima e Seconda Repubblica, perfidamente raccontato in Cafonal («Un moderno Satyricon»), rubrica di culto su Dagospia: gente varia che suda, si ingozza, si imbuca, si scoscia, si lifta o si infila il dito nel naso (con Roberto D’Agostino ha pubblicato pure due libri fotografici, poi hanno litigato ed è finita lì). In curriculum un paio di macchine fotografiche fracassate («Rolling Stones in concerto a Roma nel 1970, Mick Jagger mi diede uno spintone, cascai dalle scale, si ruppe tutto, allora corsi dall’avvocato e gli pignorai gli strumenti. Risarcimento immediato da 1.750 sterline, mi ci aprii il primo contro in banca»), una strattonata («Roman Polanski a via della Croce, con una delle sue adolescenti») e un saldo di zero pugni ricevuti e uno assestato («Sorpresi Gérard Depardieu al night con Sylvia Kristel, quella di Emmanuelle. Sbronzo, cercò di mollarmi un cazzotto, mi mancò, io no però») e svariate peripezie, ma non ha ancora appeso l’attrezzatura al chiodo.
Come finì con Liz e Richard?
«Un fotografo cercò di scalare il muro di cinta, gli gridai “a’ cazzarooo” e Burton mi scoprì».
Li tampinò sempre e per sempre.
«Con Liz Taylor ci ho campato per anni. Una sera, al Brigadoon, sull’Aurelia, si era appena lasciata con Burton e stava con un industriale americano delle scatolette. Portava alle orecchie due brillocchi enormi. Uno le cadde. Tutti carponi per terra a cercarlo. Lo trovai io. Per premio voleva ballare con me. “Lassa perde”. Mai dare troppa confidenza. Un’altra volta invece Mimmo Cavicchia della Taverna Flavia mi affidò un prosciutto intero. “Portalo a Liz da parte mia”. Partii per Montecarlo con la mia Mercedes scassata e mi presentai all’Hotel de Paris con questo arnese sottobraccio che spandeva un odorino, in mezzo a gente imparruccata e ingioiellata, inseguito dal portiere».
Era il quarto di otto figli.
«Famiglia del vero proletariato, papà bracciante, figlio di contadini morti di fame, mamma lavava i panni ai ricchi, in cambio di una pagnotta. Non ho avuto infanzia, a 7 anni andavo a spigolare il granturco, ci si preparavano focacce così pesanti che ti si piantavano nel gargarozzo. Abitavamo a Zagarolo in una casa da poveracci, senza bagno, solo un bugliolo. Nel ’47 siamo venuti a Roma, Casilina, una stanza e una cucina in dieci, mi sono fermato alla seconda media».
Apprendista falegname.
«Trasportavo la legna, 12 ore al giorno per 50 lire. Oppure scaricavo camion di mattoni, le dita infilate nei foratini, alla sera non sentivo più i polpastrelli. Poi il colpo di fortuna. Mi prese al suo servizio il ricchissimo signor Della Casa, proprietario delle Terme di Fiuggi e dell’hotel Ambasciatori Palace, invalido senza una gamba. Giravamo in Rolls Royce nera, lo aiutavo, gli tenevo compagnia. All’angolo di via Veneto Federico Fellini disegnava caricature per i turisti. Lasciato il riccone, per cinque anni ho viaggiato, vendevo foto alla Fao. Quando sono tornato era cominciata l’era dei paparazzi».
Le due regole d’oro del paparazzo perfetto.
«Primo: mai più di due su un servizio. Secondo: lascia perdere i ritratti buoni per la lapide, la foto deve parlare. Tempo sei mesi e già guadagnavo bene».
Altri appostamenti acrobatici?
«All’isola d’Elba trascorsi il Ferragosto acquattato in un cespuglio. Si era sparsa la notizia – falsa – che Amintore Fanfani stesse per risposarsi, così mi trovai un nascondiglio dentro una fossa coperta di rovi. Mi portai dei viveri, un libro, bottiglie d’acqua, manco potevo fumare perché c’erano i cani da guardia».
A Porto Ercole altro giro, altro trucco.
«Seguivo i reali di Grecia ospiti nella residenza del re d’Olanda, l’Elefante Bianco. Mi arrampicai sui sassi e entrai da un buco nel recinto, piazzandomi su un cucuzzolo a strapiombo sulla villa. Beccai quattro regine quattro».
Sophia Loren le diede filo da torcere.
«Era il 1978. L’avevo seguita a Santa Lucia, nei Caraibi, mi segnalò alla polizia. Mi trovai davanti tre ceffi con il machete,convinti che fossi un brigatista rosso. Mi rinchiusero in una cella schifosa, una fogna, con zanzare grosse come aerei da combattimento. Senza cibo, soltanto una pinta di rum. Ci rimasi due giorni. Quando la rividi le feci una promessa: “Un giorno le ricambierò la gentilezza”. Qualche anno dopo la pizzicai a Cannes, al night insieme a Ettore Scola, un vero sciupafemmine, altro che Mastroianni. Li ho seguiti fino in albergo, davanti all’ascensore. “Che voi salì in camera con noi?” sbottò il regista. “Mbè, se mi invitate…”».
E la mitica Lollo?
«Gina Lollobrigida era una comare di merende, stava al gioco, da fotografa ti dava pure i consigli per riprenderla meglio. A Montecarlo, a braccetto con uno spasimante arabo, mi mostrò l’anello gigantesco che le aveva appena regalato. Una volta partimmo insieme per Punta del Este, invitati al compleanno di un miliardario brasiliano, re della plastica. Il volo era in ritardo, così io, lei e Elsa Martinelli ce ne andammo a mangiare un boccone, il conto toccò pagarlo a me, erano due avarissime. Viaggio inutile: per entrare era obbligatorio il frac, o il battichiappe, come lo chiamo io. Mi rifiutai e fui cacciato».
Non le sfuggì nemmeno Gianni Agnelli.
«Il vero re d’Italia, credo però che avesse paura di invecchiare, era sempre circondato da giovani. Primi anni ’80. Lo intercettai che usciva dal Jackie ‘O con una modella americana diciottenne, Ramona Ridge. Cinque preziosissimi scatti. All’alba mi chiamò Luca Cordero di Montezemolo. Volevano comprare il rullino. Rifiutai. “Fatemi chiamare dal direttore di un giornale”. La sera stessa mi inviarono la fattura per conto dell’Eco dell’Industria, rivista della Fiat. Una sera invece, sotto casa di Sandra Verusio, l’Avvocato montò in macchina con una ragazza. Mi lanciai all’inseguimento. Imboccò il lungotevere contromano. Gli andai dietro per un po’, poi mi fermai, mica mi potevo ammazzare per lui».
Aristotele Onassis.
«Un simpatico filibustiere, sempre con in mano un rosario di legno. Usciva dal Grand Hotel e faceva la pipì contro il muro, gli piaceva così. Lungo via Veneto veniva regolarmente agganciato dalle prostitute. Una sera lo trovai all’Hostaria dell’Orso con Liz Taylor, soli, senza Jackie e Richard. Con indosso il mio impermeabile bianco e sotto, nascosta, la macchina fotografica, mi infilai dal retro, passai per le cucine e spuntai al bar. Appena mi vide, Ari mi lanciò un bicchiere di champagne, ne scolava sei bottiglie a sera».
Che mi diceva prima di Mastroianni?
«Che Marcello non era un vero seduttore, le donne se lo portavano a letto e poi lo mollavano. Mi gridava: “Perché non vai a fare il metalmeccanico?”. “Ma vacci tu”. Ogni tanto la terribile mamma Ida gli piombava sul set urlando: “Fijo mio, sempre in mezzo a ‘ste donnacce stai».
La foto alla baronessa Francesca von Thyssen con il fondoschiena all’aria ha girato mezzo mondo.
«Dimora veneziana dei Volpi di Misurata sul Canal Grande, 31 agosto 1991, mega-festa con tutta la nobiltà europea, esclusiva a Richard Avedon, ma io riuscii a farmi invitare dal conte. Alle due e mezza di notte la baronessa si presentò a cavacecio (sulle spalle) di un amico, alticci, in uno sfolgorante abito di Versace con uno strascico lunghissimo. Fu un attimo. Lui le teneva la coda, lei diede un colpo di reni e la stoffa si sollevò, scoprendole il sedere: era senza mutande. Flash. Ci sono diventato ricco».
Oggi le sue vittime predilette sono i politici.
«Quelli della Prima Repubblica erano più seri, preparati. Non se la prendevano. Solo Ignazio La Russa tentò di picchiare mio fratello Mario. Sandro Pertini era un padre, mi abbracciava. Giulio Andreotti si fermava a chiacchierare e si faceva fotografare pure mentre mangiava. Gianni De Michelis era fantastico, con quei capelli lunghi e impomatati, toccava il sedere a tutte. La fine venne con Mani Pulite. A una festa si alzò da tavola per andare al buffet, tornò e fece per sedersi, ma qualcuno gli aveva tolto la sedia e lui rovinò a terra, coperto di cibo. Non lo aiutò nessuno. Provai pena».
Silvio Berlusconi la evita.
«Si arrabbia se gli fotografo le orecchie, sono enormi, non i tacchi rialzati. O dall’alto, perché si nota il trapianto di capelli. Lo beccai a grattarsi le parti basse in un’occasione ufficiale, con la foto mi ci sono pagato un viaggio alle Seychelles».
E questi di adesso?
«Mi cercano, mi battono sulla spalla, vogliono la foto con me. Gli ultimi: Giuseppe Conte e Pier Ferdinando Casini. Persino Giorgia Meloni, al compleanno dell’ex dc Gianfranco Rotondi, mi è venuta incontro: “Guarda chi c’è, il comunista Pizzi”. Mi ha dato pure un bacio sulla guancia, però non lo scriva che poi i compagni me menano».