Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  settembre 24 Sabato calendario

Libano, la strage dei migranti

Almeno settanta persone sono morte annegate quando la barca di legno su cui viaggiavano è affondata a largo delle coste siriane. Erano partiti in 120, forse 150, dalla regione settentrionale libanese di Minyeh all’inizio di questa settimana diretti a Cipro, la sponda europea più vicina alle coste libanesi. Invece martedì il direttore del piccolo porto dell’isola di Arwad, al largo delle coste di Tartus, ha informato il ministero dei trasporti siriano che era stato avvistato il corpo di una persona annegata. Quando il ministero ha inviato una barca per recuperare il corpo, intorno c’erano i cadaveri di alcuni bambini e altre decine di persone. Morti di fronte al paese in guerra da cui erano scappati, dal paese in cui non volevano tornare a nessun costo.
Nelle stesse ore Cipro mobilitava le squadre di ricerca per altre due navi che trasportavano persone dal Libano che avevano lanciato segnali di soccorso: 300 in una nave, 177 nell’altra.
Tutti tratti in salvo, secondo la nota del Joint Rescue Coordination Center dell’isola.
Il naufragio di martedì è il tentativo di fuga che causato il maggior numero di vittime dal 2019 in Libano, anno delle proteste di piazza, della crisi economico finanziaria che ha fatto precipitare l’80 per cento della popolazione del paese - circa tre milioni di persone - al di sotto della soglia di povertà. Nel marzo 2020, il Libano è stato inadempiente per la prima volta per aver rimborsato il proprio debito, che ha poi raggiunto i 90 miliardi di dollari, ovvero il 170% del prodotto interno lordo.
A seguito della crisi il numero di persone che hanno lasciato o tentato di lasciare il Libano via mare è quasi raddoppiato nel 2021 rispetto al 2020, ed è aumentato di nuovo di oltre il 70% nel 2022 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Con una differenza: se prima a partire dalle coste di Tripoli erano solo rifugiati siriani e palestinesi (due milioni in totale in un paese di sei milioni di persone), negli ultimi tre anni la disperazione crescente ha portato sempre più libanesi a pagare trafficanti per salire a bordo di barche sovraffollate dirette in Europa.
L’assalto alle banche
È notizia di ieri che le banche libanesi rimarranno chiuse "a tempo indeterminato". Troppo bassa la sicurezza garantita dalle autorità, recita il comunicato dell’associazione bancaria nazionale. La decisione arriva dopo mesi di proteste e dopo le ultime due settimane di assalti armati da parte di comuni cittadini che chiedevano indietro parte dei risparmi svaniti negli ultimi anni.
Il primo caso di attacco a una filiale bancaria era stato segnalato a gennaio. Un uomo aveva forzato l’entrata tenendo in ostaggio qualche decina di persone dopo che gli era stato comunicato che non avrebbe più potuto ritirare il suo denaro in valuta estera ma sono in lire libanesi, che ormai da tempo sono poco più che carta straccia.
Dopo ore di trattative ha ottenuto un po’ dei sui risparmi e si è arresto.
Un mese fa, ad agosto, un uomo armato ha di nuovo tenuto in ostaggio dipendenti e correntisti in una banca del centro di Beirut. Aveva chiesto i suoi risparmi per pagare le cure private del padre malato di cancro, ma i soldi non c’erano più, il loro valore svanito per effetto della crisi.
La settimana scorsa un uomo ha di nuovo fatto irruzione in una filiale di BankMed nella città di montagna di Aley e nello stesso giorno una donna, Sali Hafiz, è entrata nella sede di Blom Bank a Beirut con una pistola giocattolo. Anche lei aveva bisogno di soldi per pagare le cure di sua sorella malata di cancro. Anche lei non ha ricevuto niente. Ha versato la benzina che aveva con sé sul pavimento minacciando di dare fuoco alla banca se non avesse avuto i suoi soldi.
È uscita da lì con la sua pistola giocattolo, 13 mila dollari, mentre la folla, all’esterno, la acclamava e applaudiva.
Il giorno dopo, sulla scia del gesto di Sali Hafiz, altre cinque banche sono state assaltate: un negoziante padre di sette figli e disoccupato da mesi ha chiesto i suoi soldi armato con un fucile da caccia, a Sud della città, un altro lavoratore ormai alla fame ha assaltato una filiale della Banque Libano-Française e dopo aver ottenuto 20 mila dollari si è arreso.
A sostegno dei due, come nel caso di Sami Hafiz, si è creato un movimento spontaneo, i Depositors’ Outcry che hanno annunciato giovedì che è solo l’inizio della «battaglia per liberare i nostri risparmi rubati da decenni di corruzione».
È in un clima come questo, in un paese in cui i cittadini ridotti alla fame, diventano rapinatori per ottenere i propri soldi e ottengono indietro qualche spiccio e il consenso popolare, che sta montando, sempre più massiccia la guerra tra poveri. Quando manca il lavoro e i soldi, quando manca da mangiare, a farne le spese sono, sempre, i più vulnerabili tra i vulnerabili.
Le Nazioni Unite da mesi lanciano allarmi sui casi di discriminazione e violenza contro rifugiati siriani in Libano. «Abbiamo assistito a tensioni tra libanesi e siriani nelle panetterie di tutto il paese», aveva detto a giugno Paula Barrachina, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. «In alcuni casi anche sparando e usando bastoni contro i rifugiati».
In alcune aree del Libano il governo ha imposto il coprifuoco per i rifugiati e chiesto ai panifici di dare la priorità ai cittadini libanesi, in un video condiviso sui social media, un gruppo di uomini nel quartiere di Bourj Hammoud, a Beirut, ha picchiato un adolescente siriano con dei bastoni e gli ha preso a calci in faccia vicino a una panetteria.
Prima i libanesi accusavano i siriani di abusare delle già fatiscenti infrastrutture del paese e rubare loro il lavoro. Oggi, effetto della crisi finanziaria e della guerra ucraina, li accusano di rubare loro il pane, e non li vogliono più.
I funzionari libanesi stanno sempre più favorendo il rimpatrio forzato dei rifugiati nelle aree della Siria che ritengono essere ormai al sicuro e sta coordinando con il governo siriano a Damasco su un piano che potrebbe vedere fino a 15 mila rifugiati rimandati nel Paese ogni mese.
È anche per questo che più di un milione di rifugiati siriani che risiede in Libano da dieci anni vede nella fuga dal paese, a ogni costo, l’unica possibilità di salvarsi.