Il Messaggero, 24 settembre 2022
Il mondo delle illusioni ottiche
Linee dritte che sembrano curve. Immagini fisse che creano movimento. Geometrie rigorose che, lungamente fissate, finiscono quasi per spalancare abissi. È il duello tra la realtà e la sua percezione ad essere illustrato nella mostra L’occhio in gioco. Percezione, impressioni e illusioni nell’arte, ospitata da oggi al 26 febbraio a Padova, a Palazzo del Monte di Pietà. Più ancora, a farsi oggetto di riflessione è il piacere dell’inganno, la lusinga - ricercata e goduta - dell’illusione, come chiave di narrazione e intrattenimento, dunque, a suo modo, di una forma di felicità, seppure di pochi istanti.
«Normalmente vediamo solo ciò che ci piace vedere, tanto che a volte lo vediamo dove non c’è», diceva il filosofo Eric Hoffer, riallacciandosi alla tradizione antica, che risale a Demostene e oltre. Alla base della volontà di illudersi c’è però la natura stessa dell’occhio, quindi dell’uomo, facile ad essere ingannato. È in questo meccanismo il cardine, tra arte e scienza, dell’iter a cura di Luca Massimo Barbero per la parte storica e Guido Bartorelli, Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi per il focus sulla psicologia della percezione. Promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con l’Ateneo di Padova, nelle celebrazioni per gli ottocento anni dell’università, l’esposizione spazia tra pittura, fotografia, miniatura, scultura, scienza e tecnica.
CONTAMINAZIONI
Sempre alla ricerca dell’inganno e del suo gusto, in un viaggio dal medioevo alla contemporaneità, dagli studi di Goethe, Runge e Henry a opere di Seurat, Kandinskij, Klee, Boccioni, dagli albori del cinema con i fratelli Lumière alla fotografia di Man Ray e tanto ancora. Senza dimenticare le contaminazioni tra arti e linguaggi, qui simboleggiate da Space Oddity, album di David Bowie, uscito nel 1969, sulla cui cover, il ritratto dell’artista, firmato da Vernon Dewhurst, è sovrapposto a un’opera optical di Victor Vasarely. Proprio questa immagine, come spiega Luca Massimo Barbero, «introduce al tema centrale dell’esposizione: la stranezza dello spazio, tra visione deformata e gravità contraddetta, la sua dimensione insolita e distorta, in relazione alla sua percezione».
L’attenzione, quindi, è puntata su ciò che si vede ma non è, magia fisica che si contrappone alla meraviglia metafisica di ciò che è ma non si vede. La capacità naturale dell’uomo di contemplare distorsioni del paesaggio diventa arte di ripensare l’orizzonte. Insomma, dall’arcobaleno al caleidoscopio, il tempo è quello di uno sguardo. Ingannato, s’intende. Nel mezzo, le sperimentazioni condotte, fin dal 1919, dalla scuola della psicologia della percezione dell’ateneo di Padova. E non mancano moda e design. A farsi monumentale spazio espositivo è la città stessa, con cinque installazioni, dalla grande spirale di Marina Apollonio alle illusioni cromatiche di Alberto Biasi e a quelle ottiche di Edoardo Landi. E, fino al primo ottobre, sul Palazzo saranno proiettate opere del Gruppo N. Protagonista, la vertigine, come abbandono alla meraviglia. E incanto.