la Repubblica, 22 settembre 2022
Il partito del dopo
Dopo. Sull’agenda, quella attribuita a Draghi o quella che si “detta”, si segnano le cose da fare. Da fare quando? Dopo. Gli ultimi sondaggi di cui si può parlare dovranno essere verificati dall’esito delle urne: lo conosceremo dopo. Il vantaggio, la rimonta, il sorpasso, i sotto – e i sovradimensionati, le sorprese: tocca aspettare, per ora nulla di tutto ciò si dà. I dati arriveranno dopo.
In politica quello della campagna elettorale, delle elezioni e del dopo-elezioni è ovviamente un tempo fuori dell’ordinario (non certo dell’ordinamento). È normato nei dettagli e segue ritualità precise: le firme, la presentazione di liste e simboli, l’entrata in vigore delle misure di pari opportunità nell’accesso alle comunicazioni, l’inibizione alla comunicazione di sondaggi, il silenzio preelettorale della vigilia – divenuto ormai una mera convenzione –, l’apertura dei seggi, e così via. “Elezione” significa “scelta”; a volte però si parla anche di “consultazione” e già così il discorso si avvicina alle arti divinatorie. L’oracolo è la “volontà popolare”. Questa si fa dapprima conoscere soltanto per cenni e auspici, la cui rilevazione deve però cessare nelle ultime settimane per non interferire con l’espressione della volontà stessa. Gli aruspici – giornalisti, analisti, consulenti – continuano a speculare e a chiedersi cosa succederà dopo: quando si saranno conteggiate le schede e assegnati numeri certi.
Problemi, promesse, proposte, propositi: l’insistenza sul “pro” è un altro segnale di quanto i discorsi del presente preelettorale si riferiscano al futuro. Ora: il futuro ha tante belle qualità, ma soprattutto esibisce quella di essere perfettamente immateriale.
Il passato almeno è stato, ha lasciato tracce. Il futuro (non occorre molto pensiero per afferrarlo), no. Questo forse potrebbe spiegare quella sensazione di inconsistenza che si registra affacciandosi, almeno per quel che è inevitabile, alla scena politica. Di cosa stiamo parlando? Certo non di pandemia o di guerra o di clima, questioni che incombono dal passato sul nostro presente e interpellano (o vorrebbero e dovrebbero interpellare) competenze e coscienze.
Il fatto è che le parole che contano davvero non sono quasi mai quelle che nominano, con enfasi, valori e astrazioni, il più delle volte scontati come colori di bandiere (sovranismo, famiglia, solidarietà, europeismo, atlantismo,...). Quelle che hanno effettisicuri sono le parole meno vistose che, come “dopo”, costituiscono le impalcature dei discorsi. Tre forze politiche importanti hanno scelto come claim altrettanti vocaboli. Salvini dice: “Credo”; Meloni dice: “Pronti”; Letta dice: “Scegli”. Non sono propriamente né intenzioni, né annunci, né tentativi di persuasione. Prima che politiche sono posizioni enunciative e sono posizioni molto diverse. “Credo” è un’affermazione individuale: sono io, non ho bisogno di sapere poiché ho convinzioni forti, mi riferisco alla fede religiosa e chiedo adesione fideistica. Non do indicazioni su ciò a cui credo: i predicati restano aperti a ogni esito possibile. “Pronti” sottintende ancora una prima persona, però plurale. Noi siamo pronti, dove “noi” può essere inclusivo (io e voi, contro gli altri) o esclusivo (io e gli altri, contro di voi). Se essere tra quelli che sono pronti o quelli che resteranno tagliati fuori spetta all’elettore deciderlo: ma a cosa si sia pronti non lo si dice. “Scegli” è invece un appello alla seconda persona, invito o ordine: il politico chiede all’elettore di scegliere. Posizione non più individuale, né inclusiva, ma interlocutoria. Non si specifica fra cosa dovremo scegliere.
Queste parole più che affermare disegnano delle pose oratorie, modi di stabilire un contatto con i possibili elettori casomai richiamandosi a valori tenuti nel vago. Ci sono ragioni politiche perché sia così: nel centrodestra vistose distanze dividono partiti; nel centrosinistra vistose distanze dividono già il partito principale (che dà le elezioni per perse e a cosa pensa?
Vistosamente, al mitico dopo); il cosiddetto Terzo Polo risulta da un affratellamento fra due leader che si erano dichiarati più volte incompatibili; il Movimento 5Stelle ha guidato due governi pressoché opposti, ha sostenuto il terzo e ora presentarsi come forza non compromessa con il passato è meno facile dell’altra volta. Stare sul vago aiuta a non frantumare proprio subito i deboli legami. Ma forse è proprio l’insistenza allusiva e indeterminata al “dopo” che tiene lontani gli elettori, soprattutto quelli più giovani. Appartengono a una generazione che al futuro guarda con un livello di scetticismo e perplessità che nessun’altra generazione precedente ha mai dovuto praticare. Chi non crede, chi non si sente pronto finisce per non scegliere. Sceglierà magari un’altra volta. Più tardi. Dopo.