La Stampa, 22 settembre 2022
Intervista a Oscar Farinetti
«Noi e Investindustrial abbiamo uno spirito e un Dna simili, con le radici in Italia e l’obiettivo di espanderci all’estero» racconta Nicola Farinetti. Il figlio del fondatore parla dal suo ufficio milanese, il giorno dopo l’operazione che ha stravolto l’assetto societario di Eataly: il fondo di Andrea Bonomi sale al 52%, la famiglia piemontese, con uno zoccolo duro di soci ormai storici, resta nel capitale, seppur in minoranza. Farinetti jr, classe 1984, ha guidato l’azienda negli ultimi anni come amministratore delegato: ora lascia lo spazio a un nuovo top manager «che sarà annunciato nei prossimi giorni» e diventa presidente.
Farinetti, il vostro è un passo indietro?
«Mi sembra una tesi bizzarra. Con Andrea Bonomi abbiamo lavorato tanto, operazioni del genere non sono mai semplici da portare a termine. Ma abbiamo tanti punti di contatto e un giorno, durante un pranzo a New York, ci siamo guardati e abbiamo detto: “Questa cosa dobbiamo farla”. Eccoci».
La prima mossa sarà un aumento di capitale da 200 milioni di euro. A cosa servirà?
«Innanzitutto ad acquistare il restante 40% del business di Eataly negli Stati Uniti. Ma abbiamo un piano di sviluppo ben delineato, in particolar modo in Nord America, dove abbiamo già otto negozi. Il nostro obiettivo resta portare la qualità italiana al maggior numero di persone possibile».
C’è chi teme un ridimensionamento in Italia...
«Non c’è scritto da nessuna parte e nessuno ne ha discusso. Questa azienda per essere l’azienda che è deve essere molto forte in Italia. Dopo di che sappiamo tutti il mercato che c’è in Europa e nel Paese, ed è difficile fare previsioni. Sicuramente muoversi in America oggi è più semplice».
Colpa dei prezzi dell’energia?
«L’elettricità è sempre più cara, le materie prime difficili da reperire. Non mi era mai successa una situazione del genere: è impossibile fare budget, devi completamente cambiare impostazione di ragionamento. Però siamo un format fortunato, ci siamo sempre basati su dinamismo, creatività e sulla filiera e questo ci aiuta».
Che cosa resterà di quella Eataly un po’ pionieristica, che ha iniziato la sua strada di fronte al Lingotto di Torino?
«Deve rimanere tutto. Domani sarò a Terra Madre a presentare un progetto sui prati. Noi abbiamo due compiti. Il primo è supportare ed esserci per continuare a produrre cibo di qualità e il secondo è quello di dare la possibilità di venderlo questo benedetto cibo di alta qualità».
La quotazione in Borsa a questo punto è archiviata?
«In futuro chissà, ma adesso dobbiamo portare avanti questo progetto di sviluppo, diventare più forti. Abbiamo appena aperto un negozio da 4.500 metri quadri a San Josè, nella Silicon Valley. Ci hanno dato dei matti. Dicevano che quella cultura è distante dalla nostra, e invece stiamo superando gli obiettivi che ci siamo dati di un buon 30%. Uno dei nostri grandi temi sarà questo: non soltanto avere un prodotto di qualità, ma portarlo in luoghi in cui noi italiani non siamo mai stati».
Che Paesi ci sono sulla mappa?
«Il progetto è ben delineato. Sono in arrivo aperture dirette in Nord America e attraverso i franchising in quella parte del mondo che, dal punto di vista del cibo, non parla la nostra lingua, come gli Emirati Arabi. E andremo a cogliere nuove opportunità in Europa: siamo felici di come sta andando nel Regno Unito, sarà un altro Paese su cui puntare». —