la Repubblica, 21 settembre 2022
Paolo Cognetti racconta il suo cane
Laki e io ci siamo incontrati dieci anni fa, all’inizio dell’estate. Capitammo sullastessamacchina per caso. Avevo presoun passaggio per salire in baita e mi ritrovai tra le bracciaquestocucciolo,chemimordicchiava con i denti da latte, mentre lo trasportavano dal paese dov’era nato all’alpeggio di un mio amico che adessonon c’èpiù.
Lassù a duemila metri il mio amico avevalastalla, ipascoli, unatrentina di mucche da latte e un cane da pastore di nome Lupo, bravissimo ma un po’ in là con gli anni, così aveva deciso di affiancargli questo cucciolo perché imparasse il mestiere, e infuturo lo sostituisse. D’estateabito proprio sotto dilui, e questa fu lascena che cominciai a vedere due volte algiorno:Lupocheradunavalamandria, Lakicheglicorrevaintorno, Lupo che andava a riprendere una mucca e Laki che la spaventava, il mio amico che appoggiato al suo bastone osservava l’addestramento.
Iproblemiconilnuovocanesimanifestarono presto. Avevamo già individuato le razzeda cui Laki proviene, ancheseerachiaramenteunmeticcio figlio di altri meticci, e non sapevamo nemmeno chi fosse suo padre... Comunque ha dentro un po’ di bordercollie,cheèuncanedapastore, e un po’ di setter, che invece è un canedacaccia.Nonsospiegareincosa consista quest’eredità genetica, cioècomesiapossibilecheunacerta educazione data ai padri diventi un istinto nei figli, ma qualche verità ci dev’essere. E quell’estate divenne evidente che l’istinto del pastore Laki non l’aveva: sul border collie prevaleva il setter, e il cacciatore che era in lui cominciò a farsi vivo nella forma diuninguaribile desideriodipartire.
Invece di stare al pascolo, prese il viziodiandarsenedietro a chiunque passasse di lì. Seguiva anche me, quando facevo i miei giri in montagna. Sulle creste rivelava un’incredibile agilità: doveglialtri canisifermavano lui superava il passaggio con unsalto,edal cigliodeidirupisisporgeva ascrutareilmondo.Nonerafatto per stare in un prato a guardare il bestiame. La sera lo riportavo giù e trovavo il mio amico chechiudeva la stalla, con Lupo accanto. Osservava Laki sconsolato: «È un cucciolo» diceva, sperando che sarebbe cambiato. Legarlo non era nel suo stile: il mioamicoeraunospiritolibero,dormiva in una capanna senza l’acqua corrente né il bagno, pensava che ognunopotesseviverecomeglipareva e adesso mi manca molto. Solo che poi, l’estate seguente, Laki cominciò ad allungare i suoi viaggi. Lo trovarono a zonzo per qualche paese del fondovalle, a corteggiare le femmine e litigare con i maschi, e lorinchiusero in canile.
Poifinìsu un pullmanacinquanta chilometri da noi. Così scoprimmo in Laki una passione per i mezzi a motore: non solo inseguiva le auto ma ci saltava sopra, giù al parcheggio, insieme ai turisti che tornavano dalla gita, poi aspettava che si partisse. Questichiamavanoilnumerosulla medaglietta e dicevano: ho qui il vostro cane, non vuole più scendere dalla mia macchina, che cosa devofare? Un giorno sì e un giorno no, a chiamare era la Forestale. Ogni volta erano multe. Conoscevo bene il mio amico: era un uomo buono, ma era anche un montanaro. Questa storia della polizia e delle multe era insopportabile per lui. Odiava avere a che fare con la legge. E i soldi, quei pochi cheguadagnaunpastore,moltomeglio spenderlial bar.Tra meeFederica, la mia ragazza, nacque il timore che presto Laki sarebbe scomparso.Un cane che dà problemi, magari perché azzanna il bestiame o uccide le galline, o un cane che costa multe enoieconlaForestale,ungiornosparisce enon se neparla più.
«Deviprenderlotu»midisseFederica al telefono. «Io?». «Sei l’unico che lo può salvare». Io non l’avevo mai voluto un cane. Mai avuto un cane dabambino,maiinvidiatiibambini che ne avevano uno. In città, i cani non mi sono mai piaciuti: sembranosempre nervosi o stupidi, e i loro padroni dei malcapitati. Gente che raccoglie escrementi dal marciapiede, gente tirata per il guinzaglio da una bestia che abbaia, gente che si aggira per aiuole spelacchiate alle sette di mattina... Io non volevo essere un malcapitato. Le dissi: «Ma io devo viaggiare, devo essere libero. È tutta la vita che faccio le mie scelte in nome della libertà. Non voglio nemmeno figli, vuoi che mi metta a tenere uncane?».
E adesso eccoci qui. Quante cose ho imparato da Laki in questi nove anni!Moltepiùdiquellecheglihoinsegnato. Nel suo testo fondamentale, intitolato Nature, Ralph Waldo Emerson sosteneva che la natura ha per l’uomo quattro utilità. La prima è un’utilità pratica, ovvero l’aria, l’acqua, il cibo, e tutto quello che prendiamo da lei per vivere. La seconda è un’utilità estetica, cioè la bellezza: la natura ci dà la bellezza, e chi pensa cheanchel’uomosia in grado diprodurne si domandi che cosa ne sarebbe dell’arte se non avessimo mai visto unalbero,unfiume,unfiore,una montagna,ilmare.Laterzaèun’utilità logico-linguistica, la più interessante per uno scrittore: secondo Emerson, la natura ci insegna a pensare e a parlare. Ci aiuta a capire noi stessi,offrendocile metaforecon cui ragioniamo: che cosa scriveremmo, noi scrittori, se non potessimo dire il giorno e la notte, la primavera e l’autunno, la pioggia e il sole, se non potessimo paragonareiltempoaunfiume, l’amoreal fuoco, lapazzia al vento, la saggezza a un albero frondoso, la morte al buio e la vita alla luce?
Infine la quarta e ultima utilità, un’utilità spirituale. Emerson diceva che se un’esperienza religiosa è possibile, questa avviene nella natura. Ecco le quattro utilità: la vita pratica, l’arte,la filosofia, la religione. Poi arrivò Thoreau, il suo giovane allievo, chenonvolevapiùlavorarenellafabbrica di matite del padre. Prese quel libro, si fece prestare dal suo maestro unterrenosullerivediunlaghetto, ci costruì una capanna di legno e ci andò a vivere per un paio d’anni, per vedere se il maestro aveva ragione.
Nature è la teoria eWalden è la pratica di queste idee.
Anch’io quell’autunno sono sceso in città con un cane che non aveva mai conosciuto il guinzaglio, mai il marciapiede, mai i clacson e le sirene, mai altri cani legati ad altri esseri umani... È stato come portare a Milano uno di quegli enfants sauvages,quei bambini abbandonati nei boschi e allevati dai lupi. Ho resistito a chi mi consigliava di mandarlo da un addestratore, perché imparasse almeno le basi del vivere civile, cioè a fermarsi a un mio comando, a rispettare la mia autorità e insomma a vedermicomeilsuopadrone. Ionon volevo essere il suo padrone. Ho problemi ancora adesso se qualcuno mi chiede: «È il tuo cane?» (mi avventuro in risposte ridicole tipo: no, non è mio, viviamo insieme). Con Thoreau, mipiacemoltoilpensieroanarchico e uno degli ambiti in cui questo pensiero si è esercitato di più è proprio la pedagogia. Ecco: potevo riuscire a dare a Laki un’educazione libertaria? Potevamo imparare, io e lui, a vivere felicemente senza il premietto e la punizione, e lui poteva starefelicementealmondosenzaseduto, zampa, stai? Potevo insomma occuparmi di lui proteggendo quella sua bellissimaanima selvatica?