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 2022  settembre 21 Mercoledì calendario

Il referendum di Putin

«Caro Vladimir Vladimirovic, vi chiediamo al più presto possibile – nel caso d’un positivo risultato del referendum, risultato di cui non dubitiamo – di considerare l’opzione che la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk diventino parte integrante della Federazione Russa!...». Rieccoli, Denis&Leonid. I capi delle repubblichette separatiste. I proconsoli, o i pupazzi, della Novorossiya putiniana. Pushilin&Pasechnik, sempre loro. A febbraio, due sere prima dell’invasione dell’Ucraina, lo Zar li convocò nel salone di San Giorgio al Cremlino e li mandò in onda, incravattati ed emozionati e in Russiavisione, mentre assentivano muti all’offerta d’aiuto militare «per salvare i due milioni e mezzo di russi che rischiano il genocidio nel Donbass». Stavolta, niente invito a palazzo: Putin s’accontenta del solito comunicato-fotocopia. Quel che basta, per dare ai due una risposta che non si può rifiutare: khorosho, va bene, e referendum sia.
Ci siamo. Putin trae il dado e lo ributta sul tavolo di gioco. Prima v’invado, poi vi consulto, infine v’annetto. Come nella Crimea 2014. Solo che allora si trovò davanti un esercito di Franceschiello che mollò le caserme, senza sparare un colpo, e un’America obamiana che preferì lasciar perdere. Ora ci sono sette mesi di guerra, migliaia di morti, le armi americane, un’imminente controffensiva nel Donbass e Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, che replica secco: «Senza i referendum esisteva ancora una minima possibilità d’una soluzione diplomatica. Coi referendum, no». E Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri: «I russi possono fare quel che vogliono. Non cambia nulla. Questi territori non saranno mai null’altro che Ucraina. L’Ucraina ha il diritto di liberare i suoi territori e li libererà, a qualunque costo». È evidente però, aggiunge Kuleba, che «non si comporta così un Paese che ha fiducia nelle proprie forze». E se i russi dicono che la loro ritirata militare è solo un modo per «raggruppare» le truppe, il ministro della Difesa ucraino li infilza ironico: «Perché il pollo è rimasto schiacciato attraversando la strada? – si chiede Oleksij Reznikov —. Perché si stava “raggruppando”…!».
Non è la Crimea, no. E probabilmente, l’unica cosa che assimilerà i referendum 2014 e 2022, sarà la percentuale dei «sì» che all’epoca toccò il 97%. Perduta Kharkiv, Mosca punta con due diverse tornate elettorali («faremo il voto elettronico») ad annettersi i quattro territori finora conquistati. Che però non controlla affatto: a Kherson possiede il capoluogo, ma non la regione; a Zaporizhzhia ha le campagne, ma non la città; Donetsk e Lugansk sono nelle sue mani solo al 60%; da qualche giorno gli ucraini si sono ripresi Bilohorivka, nel Lugansk, che sta a soli 10 km dalla roccaforte di Lysychansk; senza dire che i russi si stanno arroccando in massa a Lugansk, la battaglia sta per cominciare, e «non sarà semplice entrare – avverte il governatore ucraino dell’oblast, Serhiy Gaidai – si combatterà centimetro per centimetro». I referendum mettono in palio il 15% dell’Ucraina, un territorio grande come il Portogallo. E una volta unito alla Crimea, Putin arriverebbe a controllare un pezzo del Paese vasto quanto l’Ungheria e il Belgio messi insieme. Mosca riconosce già come Stati indipendenti Donetsk e Lugansk, ma per Zaporizhzhia e Kherson servirà una proclamazione: dopo questo passaggio formale, un’altra cerimonia come quella che l’anno scorso celebrò la nascita delle due repubblichette del Donbass, solo allora lo Zar potrà raggiungere il suo obbiettivo, ovvero applicare la dottrina militare russa anche a queste regioni e difenderle – caso estremo – usando perfino le atomiche tattiche. «Aggiustiamo finalmente l’ingiustizia subìta per anni!», esulta il pupazzo Pushilin. Forse bisogna prima aggiustare l’Armata Rotta di Putin: nella zona di Kharkiv, racconta il think-tank americano Isw, i russi in ritirata hanno abbandonato i vecchi e scassati T-72. E gli ucraini li hanno già rimessi in strada per andare, prima del referendum, a riprendersi il Donbass.