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 2022  settembre 21 Mercoledì calendario

A colloquio con Tony Blair. Parla della regina

L’uomo che convinse la Regina Elisabetta II a cambiare opinione su Diana e a chinare il capo davanti al feretro di Lady D è seduto nel suo ufficio alle spalle di Oxford Circus, paradiso dello shopping di lusso nel pieno di centro di Londra. Cravatta rigorosamente nera per il lutto nazionale proclamato per la scomparsa della sovrana, Tony Blair ricorda volentieri i suoi dieci anni da primo ministro in cui la incontrava regolarmente. Tra i due, anche dopo la fine dell’esperienza di Blair a Downing street, la storica residenza del capo del governo inglese, si era consolidato un rapporto personale di stima reciproca. Tanto che quest’estate, il 13 giugno, Elisabetta aveva voluto insignire lui, insieme a Camilla, l’attuale Regina consorte, dell’Ordine della Giarrettiera, la più alta onorificenza concessa dalla monarchia.
«L’avevo vista solo pochi mesi fa – racconta Blair -. Era in ottima forma. La sua morte, per me come per tutti è stata una grande tragedia inattesa, un grave momento epocale per il Paese e per tutto il mondo». Ma se gli si chiede che tipo fosse la Regina, vista da vicino, Blair risponde: «Per dieci anni da primo ministro la vedevo ogni settimana. Nel corso del tempo ho imparato a conoscerla. Ma oggi, quando la gente mi chiede quali fossero le sue vedute politiche, la risposta è che non lo so. Perché era sempre al di sopra delle vicende politiche contingenti. Ciò che le ha consentito di lavorare come garante dell’unità del Paese è che non ha mai preso parte alle vicissitudini politiche quotidiane».
Per quanto Blair si spenda a testimoniare l’assoluta superiorità della sovrana, è difficile credere che in dieci anni non le sia sfuggita una frase, un sospiro, un’espressione che lasciasse capire. Eppure Tony conferma: «Non ha mai cercato di spingermi in una direzione o in un’altra. Ma aveva istintivamente la capacità di cogliere l’umore collettivo del Paese e dell’opinione pubblica. Oltre a una grande empatia nei confronti del primo ministro, chiunque egli fosse. Ha avuto a che fare con molti primi ministri durante il suo regno. Capiva il peso delle responsabilità delle decisioni, ed era sempre molto gentile in privato. Questo è il motivo per cui la sua morte ha causato tanto dolore nel Paese. Tutti la consideravano una donna eccezionale, e non solo una monarca eccezionale».
La vita di Blair è trascorsa tutta nel segno di Elisabetta. Lei c’era già al momento della sua nascita, lui era bambino quando la vide per la prima volta. «Ero molto piccolo, ma non posso dimenticarlo. Vivevo a Durham, una città del Nord dell’Inghilterra in cui sono cresciuto, e mi ricordo che la Regina venne in visita. Io ero per strada a sventolare con altri bambini la bandiera britannica. Da allora in poi c’è stata per tutta la mia esistenza».
Ma occorre aspettare il 2 maggio del ‘97 – Blair intanto è diventato il giovane leader quarantenne del Labour party che ha vinto le elezioni – per il primo incontro faccia a faccia. «Quando ho avuto la prima udienza con lei, mi disse subito: “Lei è il mio decimo primo ministro, il primo è stato Winston Churchill, prima che lei nascesse"».
Un messaggio non esattamente incoraggiante, ma che certo conteneva il senso della sfida. In quel momento Elisabetta aveva superato i quarantacinque anni di Regno, le sue parole erano dettate dalla lunga esperienza che già aveva alle spalle. «È stata una presenza costante in un momento di grande cambiamento del Regno Unito – spiega Blair -. Negli anni ’50, quando è diventata Regina, il Regno Unito era un luogo completamente diverso da come è oggi. È una delle sue caratteristiche più straordinarie è stata di aver accompagnato la monarchia in un periodo di così grandi mutamenti: il Paese appare diverso, si sente diverso ed è diverso da quello che era 70 anni fa. Ma la presenza costante è stata lei».
Blair avrebbe tanti ricordi che preferisce non divulgare per il classico senso di riservatezza inglese. Ma alla fine, accetta di raccontarne uno davvero particolare. «Esiste una tradizione per cui ogni anno il primo ministro viene invitato a trascorrere un weekend a Balmoral, la residenza di campagna della famiglia reale (e il castello in cui Elisabetta è mancata, ndr). Quando sono andato lì per la prima volta era il settembre del 1997, subito dopo la tragica fine della Principessa Diana, in un’atmosfera ancora segnata dalla tristezza. Sempre la tradizione vuole che ci sia un picnic in campagna. Io e mia moglie eravamo i soli ospiti, e restammo sorpresi quando la Regina e i membri della Famiglia Reale insistettero per cucinare e servire a tavola. Ci ritrovammo così ad essere serviti, non solo dalla Regina, ma anche dalla Regina madre, che allora aveva qualcosa come 97, 98 anni. E poi ad assistere alla scena di madre e figlia che sparecchiavano e rimettevano a posto le stoviglie! È stata un’esperienza davvero molto strana, a cui certamente non eravamo preparati. Ho provato ammirazione, perché la Regina, anche in una circostanza del genere, emanava una sorta di aura».
Resta da dire quale sia l’eredità che lascia Elisabetta. «La sua eredità consisterà soprattutto nell’abilità di unire il Paese a prescindere dalle divergenze politiche. E la cosa più importante sarà la dedizione al dovere, al servizio, alla dignità e al decoro. Sono valori in cui ha creduto e che ha personificato. Da onorare, sia in Inghilterra sia in Italia o in qualsiasi parte del mondo e in qualunque momento della Storia. La Regina Elisabetta verrà ricordata allo stesso modo per il suo carattere e la sua personalità, oltre che per la posizione che ha ricoperto». —