Il Messaggero, 21 settembre 2022
C’è stato un complotto nel mondo degli scacchi?
Quando, lunedì, il dominatore degli scacchi degli ultimi dieci anni, il 32enne gran maestro norvegese, Sven Magnus Carlsen, numero 1 dal luglio 2011, si è alzato ed ha abbandonato la partita rapid online, senza motivo, dopo appena due mosse, contro lo statunitense Hans Niemann, un bagliore multicolore, un fuoco d’artificio d’ineguagliabile intensità a fragore ha illuminato il mondo in bianco e nero, della scacchiera. Di più, molto di più della serie Netflix La regina degli scacchi. L’abbandono del re, dopo i freschi precedenti, è sembrata una chiara denuncia di imbroglio. Anche se non ha alzato l’indice accusatore. Ma il mondo degli scacchi è entrato in subbuglio e sul web è comparsa un’apparecchiatura alla James Bond che, inserita nel tacco della scarpa, invierebbe impulsi decisivi da un computer, destabilizzando la mente pur straordinaria del campione. Possibile?
Di sicuro questa storia Carlsen-Niemann è un ritorno al futuro, un salto all’indietro che ci riporta al 1972, cinquant’anni fa quando, in piena guerra fredda, l’americano Bobby Fischer sfidò il campione del mondo, russo, Boris Spasskij, a Reykjavik, trasformando l’umanità in esperti di torri e cavalli, e anche di giallo, di intrighi internazionali, di tecnologia all’avanguardia e di finissima psicologia. Sì, perché il match del secolo fu ampliato dalla prima trasmissione in tv e dalle mosse e contromosse anche fuori dal ring: i russi avevano ipotizzato che i secondi di Fischer potessero ricorrere ad apparecchiature elettroniche e sostanze chimiche, il Mozart degli scacchi pretendeva silenzio assoluto - niente bambini, niente ronzii da telecamere, donne coi tacchi - e una particolare sedia di cuoio, reclinabile e girevole, che faceva smontare prima della partita.
Quegli straordinari campioni erano considerati macchine ma oggi i computer dai diabolici software sono diventati ingiocabili per gli esseri umani. Costringendoli a sforzi mnemonici micidiali per ricordare tutte le sequenze, riducendo radicalmente la componente estro. Tanto che anche un fenomeno come Carlsen, campione del mondo dal 2013 talmente superiore da aver rinunciato a difendere il titolo mondiale il prossimo anno per «mancanza di motivazioni», adesso getta la spugna. Perché avverte che l’avversario usa sistemi non leciti o perché si scontra con una mente più forte, come la kriptonite di SuperMan? Forse per tutte queste cose messe assieme e comunque per il sospetto di non giocare alla pari. Perché questo 19enne emergente, Hans Niemann, col quale il norvegese si è ritirato lunedì, l’aveva appena battuto il 4 settembre alla Sinquefield Cup, negli Stati Uniti, e ha una brutta fama, condita da ammonizioni per aver imbrogliato su piattaforme di scacchi online e per l’esplosione dell’handicap degli ultimi due anni (l’ELO), giudicata dai più forti come innaturale e sospetta. Con tanto di denuncia video del gran maestro giapponese Nakamura e parziale ammissione del ragazzo: «Non ho mai barato dal vivo, l’ho fatto online, su Chess.com in due occasioni, a 12 e 16 anni. Me ne vergogno, volevo migliorare la classifica e giocare coi più forti».
Quindici giorni fa, Carlsen si era ritirato via twitter dal torneo riproponendo il famoso video di Mourinho che protesta con gli arbitri ma si tappa la bocca altrimenti avrebbe passato guai peggiori. Il tweet di Elon Musk che ironizzava che Niemann avesse un vibratore-trasmittente nel deretano segnalandogli le mosse corrette in codice morse era diventato virale. Ma proprio pensando al creatore di Tesla qualcuno ha ipotizzato che il ragazzo abbia un chip di calcolo o di trasmissione impiantato nel cervello. Nessuno sa spiegare però perché i suoi picchi di genialità si alternino ad umanissimi errori.