La Stampa, 20 settembre 2022
Caso Genovese. Parla la ex, anche lei condannata
«Ho amato un uomo che ha sempre e solo scelto se stesso, che non mi ascoltava, che non mi rispettava e che mi umiliava. Non voglio cadere nella vittimizzazione, perché mi prendo le mie responsabilità. Ho commesso degli errori, prima tra tutti ho calpestato la mia dignità, non mi sono imposta come avrei dovuto, sono stata ingenua pensando di trasformare l’Alberto di allora in un padre di famiglia».
Nel giorno della condanna dell’ex mago delle startup a otto anni e quattro mesi con l’accusa di aver violentato due ragazze – una diciottenne a Terrazza Sentimento, il suo superattico con vista sul Duomo, e una ventitreenne a Ibiza – e di aver ceduto la droga che a fiumi circolava ai suoi party, l’ultima a uscire dall’aula è stata la sua ex fidanzata, Sarah Borruso, 27 anni oggi, diciotto in meno di lui. Con le lacrime agli occhi e grandi occhiali da sole sul naso, sorretta dalla madre e dal suo avvocato Gianmaria Palminteri. La giudice Chiara Valori l’ha condannata a 2 anni e 4 mesi, tre in meno di quelli richiesti dai magistrati che la ritengono colpevole di violenza sessuale di gruppo. «Lei c’era, sapeva quello che faceva, ha partecipato attivamente», hanno ricostruito i pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini, attraverso testimonianze, messaggi e chat raccolti dalla squadra mobile di Milano, diretta da Marco Calì.
In questi due anni di «tsunami giudiziario e mediatico» che si è abbattuto sulla sua vita, Borruso ha sempre rifiutato di raccontare pubblicamente la sua verità. Lo ha fatto in aula, chiedendo di prendere la parola per fare dichiarazioni spontanee nell’ultima udienza prima della sentenza. Ha ricostruito come, nell’estate del 2019, è iniziata la sua storia con Genovese «dopo un lungo corteggiamento». «I primi mesi abbiamo vissuto una relazione normale, autentica, anche lui si mostrava innamorato quanto me», ha spiegato la ventisettenne arrivata a pesare 44 chili «perché questa storia mi sta logorando». «Mi diceva che non provava un sentimento così importante per una ragazza da molto tempo. Ho iniziato a vivere una sorta di favola, ero convinta di aver trovato l’anima gemella. In poco tempo era diventato la mia ragione di vita, il mio tutto».
Così Borruso ha spiegato come è entrata «a far parte del mondo» dell’imprenditore, fatto di feste e vacanze patinate, di droga, tanti soldi, «in un quadro di devastazione umana», come l’hanno definita i pm convinti della «piena volontà» degli atti che la accusano di aver commesso.
«L’unico problema che si è palesato sin dall’inizio della nostra relazione era l’uso smodato di sostanze. Le richieste sessuali più spinte, tra le quali i rapporti a tre, sono arrivate solo dopo. Insieme alla droga, ai giorni interi che passavamo a farne uso senza dormire, né mangiare». Davanti al giudice e al suo ex, all’associazione antiviolenza Dire, che ha poi deciso di rinunciare a costituirsi parte civile contro di lei, Borruso ha provato a spiegare il suo disagio nei menage a troi, a cui però avrebbe in più occasioni partecipato, secondo le testimonianze raccolte nel corso delle indagini.
«Non sapevo come si facesse – dice ora la ventisettenne –, per me era già difficile accettare di condividere il mio fidanzato con un’altra, spesso mi sentivo in difetto o di troppo. Provavo un senso di vergogna indescrivibile. Capitava di rimanere immobile, di continuare a drogarmi solo perché non avrei saputo cos’altro fare, perdevo tempo in bagno, o me ne andavo dalla stanza. È difficile spiegare le emozioni conflittuali che vivevo in quei momenti, da un lato provavo la paura di perderlo e dall’altra il senso di disgusto nel toccare certi picchi».
Oggi che si è trasferita dalla madre lontano da Milano, ha fatto un percorso di riabilitazione dalla droga e si è iscritta alla facoltà di psicologia, Borruso in aula prova a respingere la ricostruzione dei pm, che in questo filone d’inchiestala accusano di aver partecipato alla violenza sessuale di una ventitreenne a Villa Lolita, in una vacanza a Ibiza. «Voglio dire per l’ennesima volta che i rapporti a tre non erano volontà mia, non erano un mio desiderio, ma solo di Alberto. Era lui che li desiderava e io mi prestavo perché – ammette – essendo stata innamorata non vedevo molte altre alternative se non quella di perderlo».
Poi conclude: «La mia paura più grande sapete qual è? Quella di essere condannata perché sono stata la fidanzata di Alberto Genovese. Non fatelo, per favore». Per i pm non è così ed evidentemente neanche per la giudice. L’intero collegio difensivo – anche gli avvocati Luigi Isolabella, Davide Ferrari e Stefano Solida che assistono l’ex imprenditore – attendono le motivazioni della sentenza per decidere se ricorrere in appello. —