Il Messaggero, 19 settembre 2022
Il nemico cinese investe sempre di più in Giappone
Nonostante l’innegabile contributo nei secoli apportato direttamente o attraverso la penisola coreana al suo sviluppo culturale (basti pensare alla lingua scritta, di cui il Giappone era di fatto sprovvisto fino al V secolo) tra Giappone e Cina, diciamolo pure, non corre buon sangue. Nonostante vi siano stati vari tentativi di sanare i malintesi e rilanciare i rapporti bilaterali tra due Paesi che di fatto condividono molti valori sociali e culturali (si pensi al buddhismo e al confucianesimo), ad oggi il problema non è stato risolto. Anzi, sembra peggiorare.
Secondo gli ultimi sondaggi del Pew, uno dei più autorevoli istituti internazionale di ricerca sulle pubbliche opinioni, l’85% dei giapponesi nutre sentimenti negativi nei confronti della Cina. È la percentuale più alta registrata dal sondaggio: in Europa, il sentimento anticinese viaggia attorno al 50% (in Italia siamo a circa il 62%). È anche la percentuale più alta, in continuo aumento, registrata dagli anni ’70, quando l’allora premier Kakuei Tanaka, addirittura anticipando (e per questo inimicandosi l’amministrazione Usa) Kissinger, decise l’apertura alla Cina gettando le basi per lo storico trattato di pace e cooperazione. Trattato nel quale, tra le altre cose, la Cina rinunciava formalmente al risarcimento per i danni di guerra (chiesti invece, e giustamente ottenuti, dalla Corea del Sud). Un grande successo per Tanaka che nonostante sia poi stato arrestato e condannato per corruzione resta per i giapponesi uno dei più amati e rispettati premier del dopoguerra e un atto di grande generosità da parte della Cina, che dal Giappone era stata più volte aggredita, occupata, umiliata. Seguirono anni di grande distensione e collaborazione economica: fino a quando, oramai da parecchi anni, Cina e Giappone sono diventati rispettivamente primi partner commerciali. Alla collaborazione economica e culturale: sono migliaia i progetti di collaborazione nel settore universitario e della ricerca scientifica si sono peraltro opposti momenti di grande tensione politica. Alcuni diretti, altri, come dire, per conto terzi (Usa). C’è il problema delle ripetute visite ufficiali da parte di premier e uomini di governo al tempio Yasukuni, dove riposano anche le anime di alcuni criminali di guerra, delle persistenti ambiguità nei confronti della guerra di aggressione, e, più recentemente, quello di alcune isole contese (Senkaku, in giapponese, Diaoyou in cinese). C’è poi la posizione assunta quanto meno formalmente dal Giappone nel riassetto geostrategico in atto nel cosiddetto indo-pacifico, che vede il governo di Tokyo totalmente allineato agli Stati Uniti nelle varie iniziative di contenimento della Cina, ma il suo mondo industriale e commerciale decisamente perplesso, se non apertamente contrario. Una situazione che nei prossimi mesi è destinata ad emergere sempre di più e che, presumibilmente, costringerà il governo di Tokyo a prendere delle decisioni non facili.
Con l’annunciata e speriamo presto confermata riapertura delle frontiere giapponesi, torneranno anche e soprattutto i cinesi. Prima della pandemia, nel 2019, erano quasi 9 milioni, i turisti cinesi. Molti di loro, oltre ad arricchire il settore turistico, venivano e presumibilmente torneranno in Giappone per fare affari. Investimenti industriali, partnership commerciali, ma soprattutto, settore immobiliare. Favoriti dal crollo (pilotato?) dello yen, non solo nei confronti del dollaro e dell’euro, ma anche dello yuan, la valuta cinese, oramai usata comunemente nelle transazioni finanziare tra i due Paesi, quello che un tempo era il vibrante mercato immobiliare giapponese e che da alcuni anni era finito in un lungo, deprimente e micidiale (per che doveva vendere) letargo, è di nuovo in grande fermento. «I contatti online sono aumentati del 30% racconta alla rivista Spa il titolare di un’agenzia specializzata con clienti cinesi, la Shenjumiaosuan di Tokyo appartamenti che fino all’anno scorso non si vendevano per 15 milioni di yen oggi si vendono ad oltre 100 milioni». In attesa di poter di nuovo viaggiare liberamente, i cinesi comprano online. «Abbiamo venduto centinaia di immobili, nelle ultime settimane rivela Zhao Kiyoshi, titolare della suddetta agenzia e gli acquirenti sono per la maggior parte cinesi, anche se non necessariamente cittadini della Repubblica Popolare: abbiamo anche molti clienti di Taiwan, di Hong Kong, Macao e Singapore». Il fenomeno non riguarda solo le grandi città e il settore abitativo. I cinesi sembrano interessati anche all’acquisto di terreni agricoli, intere zone industriali, strutture alberghiere, parchi giochi e di intrattenimento. Di recente, lo storico parco Huis Ten Bosh di Nagasaki, di proprietà di una delle più grandi agenzie di viaggio del Giappone, la His, è stato acquistato per 100 miliardi di yen (800 milioni di euro) dalla Pag, una società di investimenti immobiliari basata a Hong Kong. A favorire il fenomeno, al quale il governo giapponese non sa ancora se e come reagire, c’è l’estremamente liberale legge sulla proprietà immobiliare e sulla relativa tassazione, che in Giappone, a differenza di molti altri paesi, non discrimina tra cittadini e stranieri. Almeno per ora.