Corriere della Sera, 19 settembre 2022
Intervista a Emilio Gianelli
Emilio Giannelli, Premio Montale fuori di casa: per le vignette sul Corriere, per il garbo della sua satira, per l’irriverenza che strappa un sorriso. Più di trent’ anni in prima pagina. Un record, o no?
«Dal novembre 1991 ad oggi sono 31 anni e qualche mese. Non so se sia un record, il tempo è volato».
E quante vignette?
«360 all’anno per 31 fa più di 11 mila».
Le cestinate?
«Sono abbastanza, ma mi accontento...».
La preferita?
«Quella che mi ha dato più pensiero: si parlava in Inghilterra delle difficoltà economiche, delle spese di Buckingham Palace e della crisi agricola legata alla mucca pazza; io feci una vignetta con il Principe di Edimburgo che diceva “Dio salvi la Regina”. Il mio intento era di commentare la situazione con riferimento alla monarchia, senza riferimento alla persona. Al Corriere si rischiò quasi una crisi diplomatica...».
Quella che non si dimentica più?
«La stessa di cui sopra. Non volevo essere irridente».
Con Elisabetta ha rimediato, mandandola in cielo con un «Salve, Regina»...
«Spero di sì».
È difficile essere Giannelli?
«Per me sarebbe difficile non esserlo».
Dicono che la sua penna è diventata più morbida...
«Non so se è vero, credo che in questi ultimi anni la satira deve sempre più fare i conti con un osso duro: il politicamente corretto».
La realtà oggi supera la sua fantasia?
«La realtà supera sempre la fantasia».
Che cosa pensa dei politici su TikTok?
«La politica si adegua a tutto, anche a TikTok, una cosa da ragazzi».
La Meloni è la lepre di questa campagna elettorale?
«Corre sicuramente più degli altri. Mi sembra abile, cerca di accreditarsi come democratica ed europeista. Vedremo se i sondaggi sono veritieri».
Come la vede?
«C’è molto da vignettare...».
E Letta?
«È senz’altro una persona di cultura e di grande onestà; non mi sembra che abbia centrato la campagna elettorale».
Ha fatto una vignetta western sul loro confronto al «Corriere», una sfida all’O.K. Corral...
«Un confronto con le pistole caricate a salve».
E se fosse come il Palio?
«Nel Palio è bello far perdere l’avversario».
Cosa dice del Terzo polo?
«Tertium non datur, almeno per me».
E della diaspora dei Cinque Stelle?
«Credo fosse inevitabile, tutte e cinque insieme non potevano brillare».
Berlusconi è sempre lo stesso?
«Non è sempre lo stesso, nonostante i vari lifting».
Una sua vignetta del 2011 era intitolata Berluskamen...
«Più che un amen è stato un prosieguo, un arrivederci».
Salvini le ricorda qualcosa di Bossi?
«Non credo che Salvini possa essere considerato l’erede di Bossi, che era una fonte inesauribile per chi fa satira politica. Salvini ha meno fantasia ed ha una fisionomia difficile, cambia spesso espressione».
Ha disegnato più Andreotti, Craxi, De Mita o D’Alema?
«Tra questi il più disegnato credo sia stato Andreotti. Quando gli inviai un libro in cui erano molte le vignette che lo riguardavano, mi rispose con un biglietto in cui diceva: “La ringrazio per il libro e le auguro tutto ciò che si merita”».
Era più facile fare satira nella Prima Repubblica?
«Nella Prima Repubblica c’erano più protagonisti e più dibattito; oggi solo un leader di partito e la sua posizione».
Chi si arrabbiava di più?
«Non saprei dirlo, anche perché le proteste provenivano più dai fan che dal diretto interessato».
È stata dura con Renzi? Un senese e un fiorentino come si pigliano?
«Tra me e Renzi c’è di mezzo la battaglia di Montaperti, senza che scorra il sangue».
Qualcuno le ha tolto il saluto?
«Il problema non si pone: non conosco nessuno dei politici satireggiati».
Come ha conciliato il suo ruolo di avvocato nell’ufficio legale del Monte dei Paschi con quello del vignettista?
«Dal punto di vista del tempo l’ho potuto conciliare poiché la vignetta la realizzavo a tarda sera, quando il lavoro di legale era terminato; ho cercato di non creare conflitti di interesse, ed il mio lavoro di legale al Mps mi ha dato molte soddisfazioni».
Qualche nostalgia?
«La nostalgia è sicuramente per la gioventù, ma oggi più che nostalgia provo molto dispiacere per come si trova ora il Monte dei Paschi; quando lo lasciai nel 2000 era una potenza».
I lettori dicono: la vignetta di Giannelli è già un editoriale. Pesa questa responsabilità per chi deve far sorridere?
«Che la vignetta sia un editoriale mi sembra un’esagerazione; ha soltanto il pregio di essere una sintesi di ciò che un editoriale dice più approfonditamente e con più precisione».
È vero che i vignettisti si portano dentro una vena di tristezza?
«Per quanto mi riguarda, disegnare per fare satira politica non mi dà tristezza; la tristezza me la dà la politica».
È vero che a scuola quando disegnava veniva bacchettato dalla maestra?
«No, venivo bacchettato perché essendo mancino scrivevo con la sinistra e facevo le lettere al contrario; il disegno rappresentava la mia libertà».
La sua vignetta è un tiro mancino.
«Non so; è il disegno di un mancino».
È stato conteso tra Scalfari, Stille e Montanelli.
«Sulla Repubblica di Scalfari (a cui sono riconoscente per avermi consentito di iniziare l’attività di disegnatore satirico) non potevo essere in prima pagina, dove pubblicava la sua vignetta Giorgio Forattini; per quanto riguarda Montanelli, pur con la stima e l’affetto per il grande giornalista, temevo – come ebbi a dirgli – di collaborare ad un giornale con un editore di cui non mi fidavo».
E alla fine ha vinto Stille. Come la convinse?
«Optai per il Corriere della Sera per la stima e la simpatia verso Stille, nonché per il prestigio del giornale che dirigeva».
Come l’hanno presa gli altri?
«Scalfari mi scrisse un biglietto in cui diceva “lo immaginavo, ma mi dispiace lo stesso”. Montanelli, quando rifiutai l’elevato compenso che mi aveva offerto mi disse:”Giannelli, lei non è un bischero, è un trischero”».
Che cosa spera ogni mattina quando esce la sua vignetta sul «Corriere»? Biagi diceva: oggi chi abbiamo fatto arrabbiare?...
«Non mi preoccupo di chi eventualmente ho fatto arrabbiare, ma che – a pubblicazione avvenuta – si noti qualche errore nel disegno o nella battuta».
I giovani come la vedono? Frequenta i social?
«Si può capire consultando Capire Giannelli. I giovani mi vedono come sono: un ottantaseienne che usa ancora il fax e che disegna le persone e soprattutto le cose come erano decenni fa».
C’è un giovane vignettista sulla buona strada?
«Almeno due: Natangelo e Makkox».
Le giro la domanda di un lettore: ha mai sognato che le sue vignette possano prendere vita?
«È accaduto con il Palio, dopo la vittoria del Drago, la mia contrada. Ho dipinto i cavalli e le facce di duemila persone assiepate. Un bravo regista ha fatto un video e ha fatto rivivere quelle persone. Emozionante. Una bambina ha detto: quel pittore è un mago».
Perché non lo fa con qualche vignetta?
«Non ci penso, qualcuno mi potrebbe dare un ceffone... e poi certa gente non bisogna farla vivere a doppio».
Premio Montale: è un poeta che ama?
«Certamente, anche come pittore».
Se dovesse disegnarsi, vignetta e battuta, come si immagina Emilio Giannelli il 19 settembre 2022? Si sente un po’anche lei un osso di seppia?
«Mi immagino con la matita in mano e non mi sento un osso di seppia: preferirei essere un’upupa».
Alla fine, siamo più uomini o caporali?
«Spero uomini, anche se dubito».
Viviamo alla giornata tra acqua santa e acqua minerale, diceva Leo Longanesi...
«Meglio che bere il vino per dimenticare».
Che cosa possiamo attenderci, dopo le piaghe degli ultimi anni?
«Purtroppo potrebbe accadere anche di peggio... Ma speriamo di no».