Corriere della Sera, 19 settembre 2022
Sei ore senza cellulare. Prime prove di sconnessione
«Quello che mi stupisce di più? È che ho spesso l’istinto di prenderlo, poi, tipo flash, ricordo: il mio telefonino non è nello zaino, ma nel cassetto chiuso a chiave. E poi realizzo che in realtà va bene così, posso farne a meno». Greta Ongaro, 18 anni, studentessa al quinto anno del liceo Malpighi di Bologna, dal 14 settembre è una delle «cavie» del processo di «de-smartphonizzazione» della scuola, deciso dalla rettrice Elena Ugolini e dal preside Marco Ferrari, e che negli ultimi giorni è stata tanto imitata, contestata, ammirata, riprodotta.
«La mia giornata tipo? Inizia come al solito, mi preparo per andare a scuola in motorino e ho il telefonino con me», racconta Greta, ex nuotatrice a livello agonistico. «Quando entriamo in classe, c’è l’appello. Ed è quello il momento in cui ci chiedono di consegnarlo. Quando tutti i telefoni sono sulla cattedra, il professore li mette in un cassetto, e passa la collaboratrice scolastica con le chiavi per chiuderlo. Da quel momento i cellulari non sono più nostri, e scende il silenzio in classe. Sappiamo che per sei ore resteremo in una bolla». Ed è proprio questa sensazione, che all’inizio può sembrare straniante, ad aver conquistato giorno dopo giorno Greta: «All’inizio, quando ne abbiamo parlato con il preside in classe, non è che mi sia piaciuta molto come idea. Usavo il telefono nelle pause, per sentire mia mamma per organizzarmi per i passaggi, o per dire ai miei che studiavo con gli amici, o anche semplicemente per controllare orari e compiti. Poi ogni tanto erano i professori stessi a chiederci di usare il telefono per condividere su Classroom dei materiali, soprattutto post pandemia. Poi man mano che sono passati i giorni mi sono accorta che è quasi bello stare in quella bolla di sei ore in cui sai che non hai contatti con niente e nessuno, e li riprendi alla fine della scuola. Stacco la testa, questa cosa mi intriga, e quando suona la campanella rientro in quel mondo che avevo lasciato».
Greta è brava a scuola, viaggia con una media tra il 7,5 e l’8, e ama la storia dell’arte e la filosofia, ma ammette che senza telefono «l’attenzione migliora, siamo tutti più concentrati, anche i professori, che condividono con noi la rinuncia al telefono. Prima ogni tanto lo consultavano, fosse anche solo per verificare comunicazioni della segreteria, ma così invece sono al nostro livello, e sono pure meno sospettosi nei nostri confronti, sanno che non possiamo consultarlo né distrarci». Il momento peggiore? «Quando l’assenza del telefono ci blocca. Ad esempio, quando io e un amico volevamo trattenerci a scuola per studiare per la verifica che ci avevano appena annunciato, abbiamo dovuto rinunciare: lui, che abita lontano, non ha potuto avvisare in tempo i genitori di non venire a prenderlo a scuola».
Uno dei momenti «topici» resta la ricreazione, quando accendere il telefono e passare il tempo a scorrere i messaggi per molti studenti è un’abitudine: «Ero abituata a sentirmi coi miei amici di altre classi e organizzarmi per vederci. Invece così passiamo la ricreazione a cercarci. Certo, ammetto che restiamo più tempo a chiacchierare, meno a osservare lo schermo».
Greta, figlia unica, con la mamma consulente finanziaria e il papà che lavora in polizia, prima aveva un rapporto simbiotico con il cellulare: «Fosse anche solo per il navigatore, che mi è tanto utile da quando ho preso la patente! Però quando gli amici ora mi dicono che è come un carcere, io spiego che quando lo si vive è molto meno peggio di quanto uno lo immagini». Tentazioni di volerlo usare a tutti i costi? «No, non mi capita, ma è anche vero che siamo freschi di vacanze, il peso si sente meno. Forse sarebbe stato meglio lavorare sull’autocontrollo, insegnarci a non usarlo. Vietarlo non è il massimo. Ma poi mi accorgo che sono io la prima ad avere l’automatismo di prenderlo, e quindi forse è meglio così». Greta, che vuole studiare architettura, ha la testa sulle spalle, sogna di «diventare economicamente indipendentemente e di fare qualcosa» che la appassiona. Ma per ora, confida che, finita la giornata, la sua felicità è una sola: «Leggere le notifiche, soprattutto se mi sono arrivate da amici».