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 2022  settembre 19 Lunedì calendario

Alluvioni e frane sono costate all’Italia 51 miliardi negli ultimi 40 anni


Più dei terremoti. La furia dell’acqua e delle frane è costata all’Italia 51 miliardi di danni negli ultimi 40 anni, che diventano 90 se si tiene conto anche delle ondate di calore.
Il clima che distrugge
Il clima che cambia si abbatte sull’Italia con la forza di un sisma. I dati dell’Eea (European Environment Agency) calcolano i costi delle scosse in 30 miliardi nei 4 decenni (ma lì i valori variano molto di anno in anno). A differenza dei terremoti, i danni da clima sono in crescita. Nel 1984 frane e alluvioni costarono al nostro paese 87 milioni, aggiustati al valore di oggi. Dal 2011 non si è quasi mai rimasti al di sotto del miliardo. I morti legati al meteo degli ultimi 40 anni in Italia sono 20mila, quasi tutti causati dal caldo. In Europa l’afa di luglio ha causato un aumento di mortalità del 16%: circa 53mila decessi.
Il primato dell’Italia
Come l’Italia, sempre secondo i dati Eea, non c’è nessuno in Europa per danni idrogeologici. Dopo i nostri 51 miliardi la classifica passa ai 36 della Germania e ai 35 della Francia. La colpa è da un lato dell’inerzia: le casse di espansione del fiume Misa progettate nel 1985 e mai finite sono un esempio. «Poi c’è la nostra orografia peculiare. Due catene montuose che tagliano il paese. Fiumi stretti e ripidi che scendono dai versanti. Aria che si carica di umidità su un mare molto caldo e sale quando incontra le montagne», spiega Barbara Lastoria, ingegnere idraulico dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
La forza dell’acqua
Lastoria contribuisce ogni anno al rapporto Ispra sul rischio idrogeologico, secondo il quale 8 milioni di italiani vivono in una zona pericolosa per frane o alluvioni. «Eppure la percezione del rischio è bassa. Trentacentimetri d’acqua sembrano innocui, ma basta che scorrano a un metro al secondo per trascinare via un bambino. Se poi sono pieni di terra e tronchi rischiano di far perdere l’equilibrio anche a un adulto. Una volta caduti, c’è poco che si possa fare per difendersi dalla corrente».
Sapere cosa fare
Come i terremoti, i nubifragi di oggi sono difficili da prevedere. Nel caso delle Marche il sistema di allerta è stato criticato perché fermo al giallo (il secondo gradino su quattro). Mala definizione della Protezione Civile prevede anche con il giallo “la possibile perdita di vite umane” e indica “uno scenario di elevata incertezza delle previsioni”. Oggi, aggiunge Lastoria, «i temporali sono diversi da quelli della nostra memoria. Possono causare veri e propri disastri. Se vediamo anche solo 10 centimetri d’acqua, vuol dire che un fiume ha rotto gli argini. Non si deve andare in garage. Non si deve prendere la macchina. Ci si deve allontanare da ponti e sottopassi. Non si deve restare ai piani bassi di un edificio, se si vive vicino a un bacino idrico. Più della metà delle vittime delle Marche avrebbe potuto salvarsi, se avesse adottato comportamenti corretti».
Di alluvioni si muore di meno
Argini, casse di espansione e sistemi di allerta non sono riusciti a tappare tutte le falle, ma hanno aiutato a ridurre le vittime. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), negli ultimi 50 anni il numero dei disastri climatici è quintuplicato, complice il riscaldamento globale, ma il numero complessivo dei morti si è ridotto a un terzo. L’Irpi del Cnr (Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica) ha censito le peggiori alluvioni dal 1951 a oggi. I 101 morti del Polesine, quando in 4 giorni caddero 1.770 millimetri d’acqua e si ruppero gli argini del Po danneggiati dalla guerra, non si sono in effetti più ripetuti negli ultimi vent’anni. Dal 2000 il disastro peggiore si è registrato a Messina nel 2009, quando pioggia e frane hanno ucciso 37 persone.
Temporali fuori scala
C’è poco però da crogiolarsi sugli allori. «Oggi vediamo temporali fuori scala», esclama Lastoria. «Prima parlavamo di nubifragio con 100 millimetri di pioggia in un giorno. Nelle Marche ne abbiamo avuti 400 in 7-8 ore. Le casse di espansione sono utili, ma hanno dei limiti. Non le puoi progettare troppo a monte, sui terreni ripidi. E nemmeno dove si è costruito accanto a un fiume». Se i nostri corsi d’acqua sono stretti e ripidi è per via della nostra orografia. Ma se sono cementificati è per la tendenza a costruire ovunque, occupando gli spazi della natura. È la nuova realtà: «Dobbiamo abituarci, come abbiamo imparato che durante un terremoto si deve stare lontani da scale e cornicioni dobbiamo imparare cosa fare anche quando arriva un nubifragio».