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 2022  settembre 18 Domenica calendario

Intervista a Dargen D’Amico

Uno sconosciuto famosissimo. Era questo Dargen D’Amico fino allo scorso febbraio. Si è presentato sul palco dell’Ariston con una carriera di quasi vent’anni alle spalle, gli immancabili occhiali da sole e una canzone – «Dove si balla» – destinata a entrare nelle orecchie di chiunque. Oggi Jacopo Matteo Luca D’Amico, 42 anni, è uno dei nuovi giudici di X Factor.
Ha iniziato nel rap e proseguito nella produzione musicale, eppure fa i conti con la grande popolarità solo ora.
«Non ci penso troppo. Dopotutto è un’inquadratura diversa di una cosa che ho sempre fatto: la musica. Molto è dipeso anche da quello che è successo con quel brano».
Non se lo aspettava?
«No, così no, per niente. Avevo ben chiaro che Sanremo potesse essere uno spartiacque ed era quello che volevo: le ultime operazioni discografiche non sembravano generare sufficienti numeri, quindi stavo facendo altro».
Nel senso?
«Stavo continuando a fare musica ma non per forza a proporre Dargen D’amico. Scrivevo canzoni per altri, stavo dietro le quinte, mi muovevo sul lato produzione... che poi è la cosa che preferisco».
Allora perché la fama è arrivata proprio ora? Un caso?
«Dopo la pandemia, volevo un’occasione per tornare a fare musica, a uscire. È successo nell’unico modo possibile mesi fa, con Sanremo».
A volte una bella canzone non basta per emergere.
«Sanremo è una lente d’ingrandimento: può carbonizzarti, ma capita anche che arrivino degli sconosciuti con un brano che ha successo».
Si crede uno sconosciuto?
«Eh beh sì, per il pubblico di Rai1 poi, decisamente. Ma anche per me: mi reputo uno sconosciuto, mi disconosco».
Perché cambia o perché fa fatica a inquadrarsi?
«Perché non ho ben chiaro quello che farò. Nell’ultimo anno è stato naturale non chiudermi. Ma non so se è un atteggiamento che si prolungherà molto».
Agli esordi era un rapper, cosa avrebbe detto di un brano come «Dove si balla»?
«Il rap è contaminazione. Non so cosa avrei detto, per me è stato un percorso».
«X Factor» è un’estensione della vetrina di Sanremo?
Dietro le quinte
Prima scrivevo canzoni per altri, stavo dietro le quinte, che poi è la cosa che preferisco tra tutte
«La differenza abissale è che in X Factor vorrei essere utile al percorso degli altri invece a Sanremo sono andato per essere utile al mio. Ora mi auguro che anche dopo il programma il rapporto lavorativo con i ragazzi continui».
A lei è mai stato detto: «Per me è no»?
«Sono più i no dei sì che riceviamo ma sono quelli che ti formano. Io non darei tutto questo peso ai no».
Sembra imperturbabile di fronte a tante cose...
«Sento il peso delle situazioni ma si sta parlando della scrittura di una canzone, alla fine. Per me è una necessità».
E quando è nata?
«Una maestra alle elementari ci faceva scrivere liberamente. A 12 anni ho scoperto che c’era una musica in cui potevi riversare questi testi».
Era al liceo con Guè Pequeno.
«In quel periodo non avevi tante occasioni di parlare di hip hop: se capitava, nascevano dei veri rapporti. Con Guè avevamo fatto un gruppo».
C’è chi pensa che sia a «X Factor» anche perché amico di Fedez e che insieme abbiate creato una lega...
«Una lega diabolica... ormai si racconta anche quando Federico apre le persiane. Io sono felice di fare una cosa con lui, ma non ho un rapporto privilegiato, non ci mettiamo d’accordo. Non riesco a fingere di preoccuparmi di questa problematica».
Usa gli occhiali così come i Daft Punk usano il casco.
«Ecco, io non metterei il mio nome sul loro stesso rigo. I Daft Punk avevano una concezione profondissima di quello che stavano facendo, io cerco la strada più comoda».
Per mettere una distanza tra quello che è e quello che vuole mostrare agli altri?
«È una cosa utile soprattutto per me, dividere i mondi. Se ti convinci di essere quello che sale su un palco, dice qualcosa e le persone ti ascoltano per diritto divino, è difficile comportarsi in maniera sana. Sceso dal palco ho altri interessi. E con i miei amici gli occhiali li tolgo».
A «X Factor» è un suo obiettivo vincere?
«Mi sento quasi costretto. Voglio seguire i ragazzi al massimo e questo si può sintetizzare con un: voglio vincere. Per me non cambia niente, cambia per loro».