la Repubblica, 18 settembre 2022
Identikit di un autista dell’Atac tra partite, sieste e seghe
Il sonno della ragione genera l’autista dell’Atac che è il nuovo “Caio Gregorio, fusto der pretorio”, la romanità post-Albertone che i comici non hanno ancora aggiornato. Una novità assoluta è, per cominciare, il disperato erotico stomp che, mentre guida l’autobus, fa partire la mano amica e manda in chat il video, rendendo collettivo l’orgasmo solitario. Infatti quel video è diventato un cult del sesso esplicito fuori contesto, uno spaesamento anche per le pippe “col fischio” di Alvaro Vitali, Pierino. E se forse c’è ancora il mostro di Gassman nell’autista ultrà della Lazio, che guarda sul cellulare del delitto la partita e intanto frena e accelera inseguendo il pallone, c’è sicuramente tutta la nostra epoca nel passeggero-giustiziere che, sempre con il cellulare ma del castigo, ha filmato e ha denunziato quel tifoso guidatore: «Morte ar cocchiere!», gridava Trilussa.
Una lunga casistica, in circa un anno, consegna dunque l’autista dell’Atac alla nuova simbologia della romanità che nell’era Gualtieri fa pensare allo sbandamento della guida, così come Spelacchio ci raccontava la dissipazione tontolona dell’era Raggi.
“Er core de Roma”, anche quando si degrada, si fa comunque teatro. E oggi l’autista pipparolo, che riassume in sé tutti gli altri casi che vedremo, è simbolico quanto lo fu er Batman nella Roma della destra, quella di Alemanno sindaco e Polverini governatore, la Roma che impataccava i Cesari, l’antichità in costumi greci e romani («semo pure greci»), le feste con gli assessori che, travestiti da maiali con le mani acchiappavano cosce, mentre lepuellae in tunica si leccavano i musi e finalmente una scrofa prendeva il posto della lupa capitolina.
Certo, gli autisti al confrontosono un teatro meno pittoresco ma forse più greve e più grave. E non perché sono spesso filmati mentre parlano al telefono, addirittura nel giugno scorso nel peggiore traffico di viale Flaminio, e persino con due telefoni, come accade qualche anno fa a Ciampino. Orribili incidenti sono avvenuti anche altrove e a Milano ce ne fu uno nel 2019 che costò la vita a una passeggera.
Ma è a Roma che, nell’autobus che sobilla e rende i matti ancora più matti, troppi autisti perdono se stessi. Nell’autobus ci sono le emozioni e gli odori, tocchi e guardi i passeggeri che si toccano e si guardano; l’autobus è, nelle città, il luogo dove scoppiano più risse che altrove, il piccolo mondo recluso dove si scatena l’odio contro “l’altro” che ti sta accanto. Ma c’era una volta quel divieto “non si parla al conducente” che separava e garantiva la sicurezza,la direzione di marcia el’autorità.
E invece oggi, «per raggiungere l’eccellenza nella volgarità», come comanda il Cafonal di Dagospia, che è l’ideale cabina di regia dell’immensamente trucido romano, non basta più che l’autista dell’Atac, “er cocchiere” dell’autobus, si finga malato, figuriamoci: già nell’era Marino, i vigili, i famosi pizzardoni, che “er sindaco americano” costringeva a seguirlo in bicicletta, presentarono 835 certificati che divennero metafora dell’epoca e di un’amministrazione che si imbrogliava con le carte mentre imaiali già grufolavano tra i rifiuti.
Adesso invece l’autista dell’Atac, che ha simulato malattie per un anno con la compiacenza dei medici di famiglia, è una signora che stava a Puerto Rico De Gran Canaria, che è il nome di uno dei tanti “altrove” dell’Italia furbastra, fatta di affari, fatture, intrallazzi, e fuso orario. Lì la malatissima capo-conducente dell’Atac gestiva una casa-vacanze pubblicizzata con bellissime foto scattate dalla veranda sulla spiaggia africana. Le immagini che l’hanno tradita volavano, attraverso il cellulare (rieccolo), sino a quella «luce accesa dall’altra parte del mare blu»: italiani mambo. Di nuovo il cellulare, dunque: «Si paga a caro prezzo un’anima moderna» scopriva già Eugenio Montale guardando con diffidenza il suo «autista… navarrese o gallego portato qui dal caso». Ebbene a Roma l’anima moderna dell’Atac è “lo psicologo” che agli autisti è messo a disposizione dall’azienda: “progetto antistress” si chiama e coinvolge i medici e il sindacato, il mal di schiena e i vaccini, l’indennità…: sembra di rivedere i capricci degli orchestrali dell’Opera ai vecchi tempi dei “tromboni”, prima che fossero domati da CarloFuortes. Impareremo a diffidare dell’autista romano come Goethe diffidava dei gondolieri di Venezia, che si spostavano nel buio inseguendo le voci? Nel buio della notte a Roma si era invece addormentato l’autista del bus che si è schiantato sulla pensilina colorata di via Palmiro Togliatti. “Nell’Italia del può succedere”, ha scritto ieri Sebastiano Messina, lo stanco autista si è scusato coi passeggeri, una ventina: “po’ succede’”. Nel turno di notte? gli hanno urlato i passeggeri che, in barba al “non parlate al conducente”, hanno insultato quel dormiglione e ovviamente lo hanno filmato sfoderando i cellulari come le 44 Magnum dell’ispettore Callaghan. Inutile aggiungere che abbiamo visto e sentito tutte le sconclusionate reazioni dell’autista: lui pareva uno Schettino e i passeggeri tanti De Falco. Davvero la mitologia romana si è ormai allargata agli autisti che si affiancano ai centurioni con la scopa in testa, agli onnipotenti tassinari, e ovviamente ai netturbini a cui il sindaco Gualtieri offrì “il premio guarigione” visto che erano tutti contagiati dalla sola malattia da cui non si può guarire: quella finta. Ecco, nell’antropologa dell’inarrestabile degrado, l’autista dell’Atac è, in questa nostra Roma senza testa, la metafora, anche politica, del conducente che non conduce.