La Stampa, 18 settembre 2022
Le nove vite di Berlusconi
Ha avuto nove vite, almeno in politica. Nove quante le sue candidature, dalla prima discesa in campo all’ultima che coincide con le 86 primavere da festeggiare – il 29 settembre – con la vittoria del suo (ma non più tanto) centrodestra. Basterebbe questo dato a riabilitare l’autodefinizione di “unto dal Signore” che Silvio Berlusconi si diede – non senza generale scherno – il 25 novembre del 1994. Ma certo la sua storia, fondata anche su 36 processi, contempla tante resurrezioni politiche. Mai così evidenti come negli ultimi anni.
È ancora lì, il tycoon “prestato alla politica”, sempre al centro della scena, a tentare di dipanare la matassa del centrodestra, a darsi i panni del garante moderato della coalizione, ad assaporare il sogno di fare almeno per un giorno – il primo, quando toccherà al più anziano – il presidente del Senato. Poi, chissà, le ambizioni del Cavaliere sono smisurate quanto il suo patrimonio. E non ci sono crisi – politiche ed economiche – che tengano.
Doveva essere finito tutto già nella cupa primavera del 2021, con i morsi del Covid a farsi sentire su un corpo provato da un tumore da cui era guarito parecchi anni fa e da un intervento a cuore aperto. Erano i giorni dell’allarme. E invece no, nell’estate dello stesso anno, rieccolo a Villa Certosa a ospitare leader e sportivi, a guidare la macchinetta elettrica nei viali del giardino «affrontando le curve come un pilota di Formula Uno» (come affermato da Ignazio La Russa), che interviene in diretta a manifestazioni politiche (la festa della Lega a Cervia) o che si fa ritrarre sorridente accanto a Ibrahimovic o Matteo Salvini. I pm di Milano, alle prese con una richiesta di legittimo impedimento motivata da “episodi di depressione maggiore”, si sono detti stralunati: «Abbiamo visto un uomo che ha ripreso le redini dell’Italia – disse a settembre in aula la procuratrice Tiziana Siciliano – unendosi in valutazioni sorridenti e affabili con leader politici, discutendo del nostro futuro e di quello dei nostri figli». Ce n’era abbastanza, per gli inquirenti, per richiedere una perizia psichiatrica sul Cavaliere. La risposta è stata un moto d’orgoglio: «Istanza che offende il mio onore». Ecco la decisione del Cavaliere e del suo staff di rinunciare al legittimo impedimento, diaffrontare liberamente il processo ma, contemporaneamente, di tornare a una vita politica piena. La svolta. Berlusconi, a fine ottobre, partecipa al vertice del Ppe, poi apre i saloni di Villa Grande, ex dimora di Franco Zeffirelli, agli altri big della coalizione, torna regista del centrodestra e lavora soprattutto alla propria candidatura per il Quirinale. Si fa investire da una coalizione che non ha mai smesso però di interrogarsi sull’esiguità dei numeri a disposizione, ma Berlusconi va dritto senza scomporsi. Finisce male, quasi malissimo, i numeri non ci sono e la candidatura sfuma in un drammatico vertice alla vigilia del voto del Parlamento in seduta congiunta, in un affollato summit a distanza in cui si vedono Antonio Tajani e Licia Ronzulli, che ad Arcore annunciano il passo indietro del Cavaliere. Ma lui non c’è, accanto a loro, e nessuno fra gli interlocutori online lo sa, Berlusconi è di nuovo in ospedale per motivi di salute.
L’ex premier, che in ospedale trova tempo e forza per dire no al telefono a Draghi e sbarrargli la strada per il Colle, poi uscirà dal San Raffaele e tornerà a Villa San Martino. Per l’ennesima risalita sulla ribalta. Il quasi-matrimonio con Marta Fascina, il 21 marzo, si svolge in un clima fastoso, a Villa Gernetto, le musiche di Gigi D’Alessio e foto di famiglia con Galliani, Confalonieri, Letta, Dell’Utri. Il solo politico invitato è Matteo Salvini, che verrà incoronato dal presidente («Unico vero leader in Italia») in linea con un patto di ferro con la Lega, che è il marchio di fabbrica di colei che è diventata la principale consigliera di Berlusconi, Licia Ronzulli, e che poi sarà la causa della frattura con l’ala moderata e dell’addio dei ministri Carfagna, Gelmini e Brunetta. Quando, il 4 aprile, Berlusconi con l’anello al dito arriva a Roma in treno accanto alla neo-sposa e fa un nuovo debutto fisico alla convention di Fi, il copione è già scritto: è la nuova, ennesima, “discesa in campo”. Il Cavaliere non è più il maggiore azionista ma si pone da padre nobile della coalizione, di certo Draghi – quando cadrà – lo farà anche perché Berlusconi, che non ascolta più neppure i consigli di Letta e Confalonieri, non garantirà il necessario sostegno e non farà cambiare idea a Meloni e Salvini. Regista, padre nobile, ma minoritario nella coalizione.
È così che l’ex premier si pone oggi davanti agli elettori. Garante, si diceva, del profilo moderato e liberale, atlantista ed europeista della coalizione, seppur con quei cedimenti al putinismo apparsi clamorosi nella trasferta di Napoli, a metà maggio, quando il fondatore di Fi disse che “Kiev andava convinta ad ascoltare Mosca”.
Ma i dubbi rimangono, e sono quelli dei numeri in dissolvenza, del rischio che qualsiasi tentativo di dare la linea, da parte del Cavaliere, possa infrangersi sulla volontà di compagni di viaggio ormai molto più forti di lui. E con il pericolo che la tradizionale tradotta dei moderati divenga nel frattempo appannaggio del Terzo Polo. “Gelmini, Carfagna sono andati via? Pace all’anima loro”, disse Berlusconi dopo il divorzio dalle sue ministre. “Forza Italia è destinata all’irrilevanza”, replica ora Mariastella Gelmini. E in questo battibecco fra il leader un tempo considerato quasi una divinità e due dei volti più noti del berlusconismo da vetrina, ci sta tutto il segno dei tempi.
È il compleanno “indimenticabile” di una diciottenne a Casoria, il 26 aprile del 2009, a disvelare un Berlusconi che sarà regista e insieme preda – da lì in poi, rovinosamente – di cerchi magici e giochi di potere, di veleni a corte e di ambiziose zarine, alcune delle quali non sprovviste di passione politica.
Il singolare legame che l’allora premier coltivava con la minorenne Noemi Letizia (causa del divorzio dalla moglie Veronica Lario) trascina infatti col suo peso inesorabile la vicenda delle tante trasferte e feste per sole ragazze - come ricostruisce l’inchiesta di
Repubblica
– dirottate nelle ville del presidente del Consiglio anche da pazienti consigliere-organizzatrici, poi prestate a ruoli istituzionali. Fino a consegnare (al di là di ogni intento di accertamento giudiziario o di scandalo) quella che è stata la prima leadership del centrodestra italiano, per venti anni, a una sequenza di squadre ristrette e insidiosi gabinetti di “guerra”. Sia in epoca post Lario, quando il ruolo dominante è incarnato dalla fidanzata di turno; sia in precedenza, quando vince solo il vincolo della massima fedeltà al Capo.
Un esempio su tutti. La struttura Delta messa in piedi tra Rai e Mediaset. Facciamo qualche passo indietro, siamo ai primi di aprile del 2005. Si vota di lì a poche ore, e Silvio Berlusconi è furioso: il centrodestra è in netto svantaggio alle amministrative (la sfida per le Regioni finirà 11 a 2, per il centrosinistra), Papa Wojtyla sta morendo e il gruppo di testa della Rai è “colonizzata” dai fedelissimi dell’allora premier, su cui spicca Deborah Bergamini, giornalista, ex segretaria del Cavaliere e in quei giorni vice direttrice della direzione Marketing di Viale Mazzini. Lassù, ai piani alti della tv pubblica, ci si preoccupa di affinare ogni strategia per edulcorare l’informazione, nascondere le intenzioni di voto, inviare il più possibile “i nostri” a votare, addirittura allargando o stringendo “la copertura sul Papa”. Tensione e sotterfugi: manipolare i fatti. Questo raccontano le intercettazioni della Procura di Milano (a margine di un’indagine sul crac della Hdc, la società del sondaggista Luigi Crespi, poi condanna). Colpisce il calcolo delle convenienze persino sull’agonia dell’amato pontefice: da un lato serve a “tenere duro” sulla richiesta degli avversari e a “non mostrare i dati elettorali” sfavorevoli, dall’altro si teme che l’onda emotiva possa tradursi in astensione, “sennò nel Lazio, quelli per lutto non vanno a votare e sono i nostri, sono voti cattolici”, si preoccupano i fedelissimi, e l’efficiente Bergamini. L’attuale sottosegretaria ai rapporti con il Parlamento nel governo Draghi entra alla Camera la prima volta nel 2008, poi nel 2013. Ed è in quell’anno che, messo piede nel comitato di presidenza di Forza Italia, assume l’incarico di “Responsabile della comunicazione” del partito. Si può considerare l’inizio del cerchio magico: in cui si sono già insediati stabilmente altre figure chiave dell’ultimo decennio berlusconiano. Innanzitutto la compagna del presidente, Francesca Pascale, napoletana del popolare quartiere di Fuorigrotta, già consigliera provinciale Pdl in erba, con 49 anni di differenza col suo Presidente; poi si staglia Mariarosaria Rossi, l’ex “madonnina di Cinecittà” partita da un ruolo nella municipalità romana e poi diventata la “badante” per eccellenza delle volontà del leader, inglobando i ruoli di commissaria del partito, tesoriera, detentrice del potere di firma sulle liste; Alessia Ardesi, giornalista, che dal2013 diventa l’addetta alle comunicazioni di Pascale: un po’ consigliera della first lady azzurra, un po’ longa manus della famiglia ad arginare eventuali intemperanze. E infine Giovanni Toti, un altro giornalista che nelle tv del Biscione ha scalato tutte le posizioni diventando direttore dei tg di Studio Aperto e di Retequattro, diventando nel 2014 consigliere politico di B. (Prima di lanciarsi come eurodeputato a Bruxelles, per un anno, e poi presidente della Regione Liguria).
È uno snodo cruciale: la storica assistente personale e segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla, è ormai estromessa. E mentre Toti dirime proteste e faide interne, e Bergamini smista i parlamentari in tutte le trasmissioni tv, la senatrice Rossi si piazza con un suo studio a piano terra di Palazzo Grazioli e diventa potente e corteggiatissima (da tutti i colleghi) ufficiale di collegamento con le ovattate volontà del leader: gestisce i conti, riduce drasticamente il disavanzo del partito, chiude la sede Pdl di San Lorenzo in Lucina, spranga o abilita i ponti con B. Da un’intercettazione di piena estate, 24 agosto 2010, ecco la “badante” Rossi al telefono con Emilio Fede. Lei: «Ma stai venendo qui?...». Lui: «Ecco, sai, perché ho due amiche...». Rossi: «Ma che palle che sei! Due amiche, quindi bunga bunga. Due del mattino... ma io ve saluto, eh?».
A sanare queste ultime deviazioni provvede Pascale. Che non è esattamente la ragazza geisha che vuole sembrare. La first-lady napoletana simbolicamente vigila in tutte le stanze delle dimore berlusconiane, non solo entra a piedi uniti in cucina (proverbiali le sue sfuriate contro uno staff che lasciava comprare “i fagiolini a 80 euro al chilo, ma vi pare possibile?”), ma si conquista un peso nei summit in salotto e sui media, comincia a tirare calci contro discriminazioni e sovranismi di Salvini, spinge pubblicamente Fi a sostenere la battaglia per i diritti civili e le battaglie Lgbt. Un percorso politico in cui si polarizza la reciproca avversione con Licia Ronzulli, e finisce per ritrovarsi al fianco una ex rivale amatissima, la deputata Mara Carfagna, che analogamente rivendica il dna liberale del partito e scalpita per poter assumere posizioni sempre più apicali. Francesca sogna la fede al dito, Mara persegue l’eredità politica. Finirà male, per tutte, con i progetti infranti. Sebbene le signore siano soddisfatte dei nuovi approdi. Pascale, volto simbolo della mobilitazione Lgbt, felice moglie di Paola Turci; Carfagna candidata alle politiche con Azione, di Carlo Calenda.
DAI CERCHI AI CERCHIETTI
Berlusconi entra però nella stagione del tramonto: nel 2014 è sospeso dal Senato per effetto della legge Severino dopo la prima condanna definitiva (frode fiscale, 4 anni, di cui 3 condonati), nel 2016 è ricoverato per un rischio di infarto e, all’esito di 72 ore di fuoco trascinato tra comizi, cene e bagno di folla dal suo cerchio magico, è sottoposto a un intervento chirurgico a cuore aperto. Intervengono i figli, stavolta. E Marina d’imperio tira fuori unghie e conclusioni: via il cerchio magico, Francesca resterà in punta di piedi, le altre fuori. Non voglio più vederle, lo hanno spremuto abbastanza». Passano meno di due anni e intorno al leader cambia tutto. Nel 2018 viene catapultata in lista, a Napoli, una perfetta sconosciuta che si chiama Marta Fascina : la relazione sentimentale con Pascale è compromessa, la nuova pupilla c’è già, addirittura viene dalla stessa cittadina vesuviana di Noemi Letizia, Portici (ma è solo un caso, sembra), anche se trascorreranno ancora due anni per ufficializzare la rottura con l’ex consigliera di Fuorigrotta. E nella primavera del 2020 che primavera non è, con il Paese precipitato nel primo lockdown d’Occidente, tengono banco le indiscrezioni sulla buonuscita (e l’orgoglio ferito) della ex compagna del presidente.
I rapporti di forza ormai vedono la Lega in testa alla coalizione, Forza Italia si rileva con una sola cifra, cambia la politica e cambia anche il cerchio magico. Ronzulli, già eurodeputata, separata, con un figlio, al fianco del coordinatore Tajani, ha il pragmatismo ideale per essere trait d’unione tra il segretario della Lega e la platea sempre più scontenta dei berluscones. Licia e Marta. L’ultima coppia che “blinda” il potere berlusconiano. Fascina scivola, ieratica e sempre muta- specie dopo il non matrimonio del marzo scorso - in tutte le immagini di incontri e summit. Prende Silvio per mano nelle foto. Non ha mai risposto a richieste di interviste che non provenissero dai media della casa, non ha mai partecipato.
a un talk politico, non è mai andata oltre gli slogan berlusconiani anche quando i giornali di famiglia le pubblicano commenti a sua firma. E ancora una volta è stata candidata in un seggio sicuro: stavolta a Marsala, proporzionale in Sicilia, «una regione che amo molto, dove i miei mi portavano in vacanza da bambina», dice nel consueto dialogo protetto, su “Libero”. Ma c’è sempre un maschio, un regista silenzioso, dietro gli appuntamenti e le agende regolate dalle zarine. In questo caso è Giorgio Mulé, oggi sottosegretario uscente alla Difesa, ex direttore di Panorama, da sempre legato al mondo degli affari berlusconiani, consigliere anche di imprenditori in ascesa come l’editore Danilo Iervolino. Ma Silvio si è gettato con le energie di una volta, in questa campagna da viale del tramonto di Forza Italia. Circondato e protetto, ma è lucido a dispetto di ogni cerchio. «Di magico in Forza Italia ci sono solo io, in piedi vivo e vegeto dopo venti anni di battaglie», aveva profetizzato otto anni fa.
Dopo decenni di battaglie giudiziarie, una condanna definitiva per frode fiscale, sono quattro i processi nei quali il leader di Forza Italia è indagato e imputato. Entro la fine dell’anno è attesa la sentenza del Ruby Ter, dove Berlusconi è sotto processo con l’accusa di aver pagato le ragazze presenti alle sue feste perché omettessero di raccontare quello che realmente era accaduto. A maggio il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno chiesto una condanna a 6 anni, oltre alla confisca di 10 milioni e 800mila euro, come «prezzo della corruzione». «Una corruzione – hanno detto nella requisitoria – percepita in modo peculiare dalle parti coinvolte: prendere soldi per mentire sembrava normale, d’altronde è l’ex premier che ce lo chiede è il ragionamento che facevano queste ragazze».
Da questo punto di vista il processo Ruby Ter è, secondo l’accusa, una sintesi di un certo modo di intendere la giustizia: pagare perché qualcuno menta ai magistrati.
Pagare per nascondere la verità. Nel processo sono imputati in 29. Sono state chieste pene per più di 100 anni di carcere. Alla sbarra ci sono alcune delle protagoniste di una stagione del nostro Paese: da Ruby, “la nipote di Mubarak”, la ragazza minorenne finita alle feste di Berlusconi, accusata di aver mentito ai giudici per qualche milione di euro pagato da Berlusconi e per la quale l’accusa ha chiesto cinque anni di carcere. Alle giovanissime compagne di quelle serate, che godevano di uno stipendio da duemila e 500 euro al mese. La prossima udienza è prevista mercoledì 21, poi il 28. Entro la fine dell’anno dovrebbe arrivare la sentenza.
Più lunghi i tempi a Bari dove Berlusconi è alla sbarra per una questione simile: è accusato di aver pagato Gianpaolo Tarantini, il suo lenone delle notti romane e sarde, affinchè dichiarasse – come è accaduto – ai giudici che le feste che organizzava non erano incontri con prostitute, come ha stabilito la Cassazione che ha confermato la condanna per prostituzione a carico di Tarantini. Ma “cene eleganti”. Parallelamente si sta per aprire un altro processo: per falsa testimonianza sono rinviate a giudizio alcune delle protagoniste delle serate, che avevano negato di aver incassato denaro. Tra loro anche Barbara Montereale, che aveva raccontato tra le altre cose di aver conosciuto Licia Ronzulli, la nuova donna forte di Forza Italia: «Ci accoglieva in Sardegna, nella villa di Papi, come si faceva chiamare Berlusconi, e ci indicava in quale bungalow andare a cambiarci e dormire». Dopo, tutte a tavola vestite da “Babbonataline” per ballare davanti al Cavaliere.
Se a Roma è in piedi un altro procedimento simile (imputato anche il cantante di fiducia, Mariano Apicella) a Firenze la questione è diversa. La procura ha riaperto un vecchio fascicolo archiviato nel 1998, che riguarda le stragi di mafia del 1992-1993, dove Berlusconi è indagato. Si è ripartiti da un’intercettazione del boss Giuseppe Graviano, in cui parla di Berlusconi e di Marcello Dell’Utri. «L’ipotesi di accusa da verificare - scrive il tribunale del riesame di Firenze - è stata quindi individuata nella seguente: “I rapporti preesistenti e protratti sino al periodo interessato dalle stragi e la ricostruzione dei flussi finanziari intercorrenti tra gli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri ed esponenti di Cosa nostra, Giuseppe Graviano in particolare, nel quadro di una reciprocità di interessi, che rappresentano il terreno fertile sul quale si è costruita l’intesa strategica che ha portato all’esecuzione delle sei stragi, pianificate nel biennio 1993-1994”».
LA VITA COME UNA FICTION: I SET
«Ho ville in giro per il mondo che non ho mai visitato», disse una volta Silvio Berlusconi. Nessuno probabilmente sa con esattezza quante ne possieda, forse nemmeno il diretto interessato. In un censimento del 2009 ne vennero contate ventisette. Ricchissimo lo è sempre stato, il Cavaliere, e lo è anche adesso che non è più il primo violino sulla scena italiana. Nell’ultimo imponibile ha denunciato al fisco oltre cinquanta milioni di euro, ma sono le case «le regge» secondo la retorica dei suoi elogiatori – il sistema dei segni del suo immaginario: l’ostentazione di uno sfarzo, l’esibizione di un potere da monarca.
Villa San Martino ad Arcore custodisce un mausoleo nel parco («Domine, non sum dignus», gli rispose Indro Montanelli, quando l’amico Silvio gli propose di ospitarlo per l’eternità); Palazzo Grazioli, in via del Plebiscito, oltre al mitico lettone regalatogli da Putin, aveva al suo interno la sala del consiglio, una specie di Parlamento in miniatura in cui entravano anche settanta deputati: negli anni d’oro questo emiciclo avrebbe dovuto essere più centrale di Montecitorio; villa Certosa, a Porto Rotondo in Sardegna, il buen retiro estivo, è un parco avventura di 2.400 metri quadri : qui il fotografo Antonello Zappadu immortalò il Cavaliere mentre teneva sulle ginocchia alcune ragazze, e nella stessa estate pazza il premier ceco Topolanek si gettò nudo nella piscina. L’allora premier perlustrava la tenuta con una macchinina su cui faceva sedere gli amici eletti, Putin c’era spesso. Sulle case di Berlusconi aleggia talvolta una leggenda nera, a cominciare da come ebbe villa San Martino dall’erede minorenne del marchese Casati Stampa, per mezzo di Cesare Previti, nel 1974, Sborsò 500 milioni di lire, ma valeva il triplo. Marcello Dell’Utri venne assunto come bibliotecario, a capo della scuderia lo stalliere mafioso Vittorio Mangano. Ma è soprattutto palazzo Grazioli, nel cuore di Roma, la residenza che ha acceso le fantasie popolari. Era luogo di potere e di diletto, i cui interni vennero disvelati dai selfie che si scattarono nei bagni e nelle stanze da letto le numerose fanciulle che vi transitarono nottetempo. L’affitto alla fine costava 40mila euro al mese, troppi anche per Berlusconi ridotto ai margini della politica, e l’ex premier, alla fine del 2020, si trasferì così sull’Appia Antica, nella villa acquistata nel 2001 per tre milioni e 375mila euro e poi prestata in comodato d’uso a Franco Zeffirelli, qui si sono tenuti alcuni vertici estivi del centrodestra durante la crisi del governo Draghi.
Gli acquisti delle ville sono sempre avvenute in pompa magna. Villa Gernetto, dove Berlusconi voleva impiantare l’università liberale; villa Correnti a Lesa, sul lago Maggiore, appartenuta un tempo alla famiglia Garavoglia, quella del liquore Campari; la settecentesca Villa Belvedere a Macherio, dotata di piscina e palestra, comprata all’asta nel 1989 dalla Provincia di Milano per cinque miliardi di lire, dove si trasferì Veronica Lario dopo il divorzio (solo la servitù costava 1,8 milioni nel 2010), prima di acquistare una casa da dieci vani in via Besana, nel centro di Milano; altre case risultano sparse tra la Sardegna, Milano e Roma. Berlusconi comprò poi ville ad Antigua, almeno sette, una a S-Chanf, nei Grigioni, in Svizzera, del valore di molti milioni ma intestata alla madre; la villa di metà Ottocento della figlia Marina a Chateauneuf-de-Grasse, centomila metri quadri di
terreno a trentacinque
chilometri Nizza, dove Berlusconi si rifugiò con Marta Fascina durante la prima ondata del Covid; per il virus Berlusconi è stato ricoverato al San Raffaele, dove ha una suite di 300 metri quadri sempre a disposizione: nove stanze, tre bagni, servizi accessori: barbiere, estetista, massaggiatore. E come dimenticare la storica residenza Fininvest di via Rovani, dove Silvio e Veronica Lario fecero il rinfresco dopo il loro matrimonio, il 14 dicembre 1990. Lui aveva 52 anni, lei 34. Ma ci sono anche ville dove si dice che Berlusconi non abbia mai abitato, tipo quella di Lampedusa, “Le due palme”, nella baia di Cala Francese, comprata con un clic su internet per un milione e mezzo di euro nella primavera del 2011. Ad agosto, in assenza del proprietario, vi ha dimorato Matteo Salvini, poi sorpreso sulla barca in posa vagamente ducesca. Una bulimia immobiliare che ha sempre definito il personaggio, la sua inclinazione da sovrano a cercare il favore popolare anche attraverso compravendite da mille e una notte. «Continuano a dirmi: “Berlusconi a casa”, ma disponendo di venti case non saprei in quale andare». Era la festa Pdl del 2010. È sempre qui. È ancora lui.