Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  settembre 18 Domenica calendario

Il disastro del Misa e l’opera incompiuta attesa da 40 anni

Compie quarant’anni l’opera idraulica che protegge Senigallia dalle piene del suo fiume bizzoso. Quarant’anni e non sentirli. E neanche vederli. Infatti la cassa di espansione posizionata fuori città, a otto chilometri dalla foce del Misa, non c’è.
Correva l’anno 1982 quando l’hanno pensata e progettata. Tardelli urlava in faccia ai tedeschi al Santiago Bernabeu e nelle Marche facevano i conti con un serpente d’acqua lungo 45 chilometri che non ne voleva sapere di rimanere dentro gli argini. Fiume a carattere torrentizio: vuol dire che non sai mai come si sveglia, può rimanere in secca per mesi e poi all’improvviso portare giù qualsiasi cosa dal Colle Ameno da cui nasce. Era già esondato tre volte: nel 1940, nel 1955 e nel 1976. «Ora basta, bisogna fare qualcosa di definitivo», dissero mentre l’Italia alzava la Coppa del mondo. Siamo nel 2022. L’elenco delle alluvioni causate dal Misa si è aggiornato con il 2014 (3 morti) e con quella catastrofica del 15 settembre (11 vittime, 2 dispersi). Il «qualcosa di definitivo» non è stato ancora fatto.
Il progetto del 1982
Sulle sue acque scorre la storica incapacità dell’Italia a difendere il proprio territorio. È dal 1982 che i soldi per le opere idrauliche del bacino marchigiano sono lì, stanziati e vincolati. Bastava usarli. Quant’è difficile, però, spendere il denaro pubblico quando non c’è da tirar su un centro commerciale di cui vantarsi con gli elettori ma bisogna innalzare argini, dragare fondali, costruire vasche artificiali dove far sfogare le piene.
Quarant’anni fa misero subito sul tavolo 4 miliardi di lire: l’idea era di creare in località Bettolelle-Brugnetto, fuori da Senigallia, una cassa di espansione da 3 milioni di metri cubi di capacità. Non se ne fece niente. «Troppo grande e impattante», si lamentarono i comitati cittadini. La ridisegnarono più piccola, di 800 mila metri cubi. «Ma per metà è di cemento, è un ecomostro», disse chi stava recependo le direttive green dell’Unione europea. La cassa rimase su un pezzo di carta. I 4 miliardi furono trasferiti alla Provincia di Ancona, cui nel frattempo venne data la delega alla difesa del suolo. Tutti si dimenticarono dell’unica opera idraulica che poteva se non evitare, per lo meno limitare i disastri delle esondazioni.
L’alluvione fotocopia del 2014
Il Misa però non si dimentica di essere un fiume a carattere torrentizio e il 3 maggio 2014, un sabato, si fa sentire. «Ha colpito a tradimento, nessuno ha potuto prevedere la sua furia», si legge nel reportage da Senigallia di Valerio Varesi su Repubblica.
«Nessuno si è potuto mettere in salvo, l’unico rifugio sono stati i piani alti delle case. In una manciata di minuti sono saltati la corrente elettrica e i telefoni. Il torrente ha letteralmente oltrepassato l’argine, che è stato scavalcato da una bomba d’acqua». Sembra di leggere la cronaca del 15 settembre.
Il giorno dopo è sempre il migliore per fare le cose che non si sono fatte il giorno prima, quindi la Regione Marche il 4 maggio promette di mettere in sicurezza l’intero bacino idrografico del Misa. «Hanno risistemato gli affluenti, hanno pulito l’alveo da alberi e arbusti e hanno rafforzato gli argini», ricorda il consigliere regionale Maurizio Mangialardi, allora sindaco di Senigallia finito a processo perché accusato, tra le altre cose, di aver ritardato di un mese il consiglio comunale che doveva varare la variante al piano regolatore per Bettolelle. «Ma la cassa di espansione non l’hanno fatta...».
46 milioni e il cantiere fantasma
Eppure nel 2014 a Palazzo Chigi si è insediata la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico voluta da Renzi. In poco tempo raccolgono 12 mila progetti di opere che, se realizzate (costo: 30 miliardi di euro) consoliderebbero il Paese dal terreno fragile. Le Marche inviano a Roma il progetto non per una, ma per sei vasche di espansione lungo il Misa: dopo la piena del 3 maggio, si erano accorti che una non bastava. La Struttura guidata da Erasmo D’Angelis allora stanzia 45,2 milioni più altri 500 mila euro per il reticolo idraulico. Alla Regione c’è la giunta Ceriscioli del Pd. Tutto è pronto, ci siamo, si parte. Magari. Coi soldi in tasca, ci mettono cinque anni per bandire la gara. Nel frattempo il governo Conte chiude la Struttura di missione. «A Roma non è rimasto più nessuno a occuparsene», denuncia D’Angelis, «e le Regioni non hanno strutture operative adeguate».
Luca Ceriscioli a Repubblica riassume il problema con una parola sola, troppo spesso sentita: burocrazia. «Dei lavori doveva occuparsene la Provincia, poi sono passati alla Regione perché le Province sono state abolite, poi al Consorzio di bonifica, in più i rallentamenti dovuti ai controlli Anac, le proteste dei comitati, la difficoltà per fare gli espropri…».
Le tangenti sui lavori
Accanto al “progetto madre” della cassa, negli anni si sono accumulati lavori minori sul Misa, tutti urgenti e prioritari, e tutti in palese ritardo o azzoppati. Sarà la procura di Ancona, adesso, a ricostruire l’intricata selva di documenti, accordi di programma e varianti, per valutarese e quanto le mancate opere abbiano aumentato i danni dell’alluvione del 15 settembre. E se i fondi siano stati utilizzati bene. L’arresto, due mesi fa, di un funzionario regionale sospettato di truccare gli appalti della manutenzione ordinaria dei fiumi (tra cui il Misa) ottenendo in cambio cene, pieni di carburante, la festa di laurea della figlia e bottiglie d’olio pregiato fa pensare al peggio.
Il modello Marche taglia i fondi
Dal settembre 2020 il governatore delle Marche è Luca Acquaroli, di Fratelli d’Italia. Non pare essere troppo sensibile al tema: tra i suoi primi interventi come commissario per la lotta al dissesto idrogeologico ha cancellato i finanziamenti regionali (Ceriscioli aveva accantonato 4 milioni) spostando risorse da Senigallia a Falconara. «Il mio emendamento per ripristinare i contributi regionali è stato bocciato», si lamenta Mangialardi. Si sono sprecati inspiegabilmente altri due anni, ma finalmente ad aprile il cantiere da 2 milioni di euro per la cassa di espansione del 1982 è stato aperto a Bettolelle. Per metà si è già riempita giovedì, sarà ultimata nel 2023. Sul posto si vedono il cartello d’inizio lavori e la recinzione. Quarant’anni per un cartello e un recinto.