La Stampa, 18 settembre 2022
Intervista a Corrado Augias
Viviamo un tempo nuovo senza neanche rendercene conto. Un secolo in cui tutto è cambiato, rispetto al precedente, ma in cui siamo talmente dentro da non percepirlo. «È questo – dice Corrado Augias – scrivilo, è così». Bisogna avere lo sguardo lungo, puntato sul futuro, ma la capacità di ricordare il passato vissuto e quello studiato, per leggere la realtà. E così, cominciamo a parlare de La fine di Roma. Trionfo del cristianesimo, morte dell’Impero, appena uscito per Einaudi, ma finiamo per riflettere su destra, sinistra, Meloni, Salvini, Orbán.Come mai un libro su eventi così lontani ci parla tanto di oggi?«Sono affascinato da quel periodo che è durato secoli e in cui il mondo ha cambiato cavalli e prospettiva. In cui una cultura poderosa dal punto di vista economico, militare, strategico, giuridico, di civiltà è stata sostituita quasi integralmente da un’altra. Proprio oggi, nel 2022, stiamo attraversando una fase analoga. È finita l’epoca che faticosamente stanno studiando i ragazzini delle scuole medie. Ne è cominciata un’altra, con nuovi strumenti di conoscenza e di comunicazione».Un nuovo mondo? Così come lo è stato il mondo cristiano dopo quello classico?«Sappiamo che la storia non si ripete mai uguale, ma alcuni meccanismi della storia si possono ripetere. La mia idea è questa e spiega perché la politica e i personaggi che la incarnano siano così modesti: non c’è nessuna cultura che nutra la politica. I partiti si occupano ormai dello stato di fatto: abbassiamo le tasse, diamo un bonus, facciamo l’autostrada. Cose anche onorevoli, ma puri effetti. Nessun politico ti dice più le cause, nessuno ti spiega: guardate che questo sta succedendo perché».Come in questa desolante campagna elettorale.«Guarda la scuola, un cardine della vita democratica. In Italia più che altrove abbiamo un tremendo bisogno di scuola. Bisogna sollevare il livello di acculturazione del Paese. E invece perdiamo tempo a parlare del numero dei bidelli, della mascherina. Non ci chiediamo mai: ma quello che insegniamo a scuola va ancora bene? O dovremmo cambiarlo?».Da cosa deriva questo respiro corto delle idee e delle proposte politiche? Dalla fine delle ideologie, dei vecchi quadri di riferimento?«È una delle ragioni, ma non sono finite solo le ideologie, è finita anche la religione. Nel libro parlo di quali siano stati per secoli i grandi interrogativi che le religioni si ponevano, i problemi lancinanti, puramente astratti e che oggi nessuno si pone. Tutto questo è finito. C’è una rivoluzione in corso».Quella digitale?«Avere in tasca dieci centimetri quadrati di plastica e terre nobili che ti permettono di comunicare all’istante con tutto il mondo non è una cosa che viene gratis. Che non cambia tutto. Vuoi che in questa situazione di trapasso ci sia uno che scrive La ricchezza delle nazioni o Il Capitale? Quei grandi testi che hanno dato alimento per decenni alla pratica politica? Non c’è nessuno che lo fa, nessuno sa cosa dovrebbe scrivere».Forse perché non ci rendiamo conto di essere dentro questo cambio d’epoca. Non abbiamo la capacità di guardare abbastanza avanti, o abbastanza indietro.«Chi invece è cresciuto in un altro mondo, come me, la vede come una cosa magnifica, prodigiosa e pericolosissima. Quando andavo al liceo parlavamo della guerra di Troia dividendoci tra chi stava con Achille e chi con Ettore. I ragazzini di oggi non lo fanno più. È un segno che quella cultura sta svanendo, che siamo dentro a una frattura profonda».È un mondo peggiore?«Non possiamo dirlo, sarà molto diverso».È un mondo che, col suo respiro corto, fa crescere i populismi, le loro risposte semplici e inattuabili, il consenso per il consenso?«La campagna elettorale fatta dicendo che Giorgia Meloni può rappresentare un ritorno al fascismo e in questo senso un pericolo è sbagliata. Non c’è un ritorno al fascismo. C’è forse qualcosa di peggiore. Ci può essere una limitazione della libertà senza ideologia. Il fascismo aveva una rozza ideologia. Ho riletto in un bel libro di David Bidussa tutti i discorsi di Mussolini ed è impressionante come avesse cercato di prendere di qua e di là, da Sorel a Marx alla Psicologia delle folle di Le Bon. Ha sentito il bisogno di costruire una ideologia».Adesso non c’è bisogno neanche di quella? Di una cornice logica in cui inserire le proposte politiche?«Adesso Meloni può dire assurdità come: difendiamo il diritto delle donne di non abortire. Mi ricorda la terrorizzante campagna sul divorzio di Amintore Fanfani, quando diceva: «Vi costringeranno a divorziare. I vostri mariti fuggiranno con le cameriere», sono cose sentite con le mie orecchie. Senza pensare a quell’impresentabile Salvini che da dieci anni ripete le stesse cose, sbarriamo le frontiere».Come fosse possibile, o umano.«Come avesse senso. C’è questa assoluta aridità della loro visione politica che li fa strisciare – dal punto di vista dialettico – a livello del suolo, ma non possono fare un discorso diverso perché non conviene loro e perché non lo sanno fare».Lei dice che è sparita anche la religione, ma mai è stata tanto ostentata – a destra – come in queste elezioni: il rosario, l’"io credo”, la famiglia tradizionale cristiana.«È appena uscito un bellissimo libro per Carocci, Il potere delle devozioni, dove Daniele Menozzi parla proprio dell’uso politico della pietà popolare. L’odierno populismo fa ricorso a livello planetario all’uso politico di devozioni tradizionali, da Bolsonaro a Orban, da Le Pen a Salvini, l’ostentazione di simboli religiosi depositati da secoli nella memoria cristiana è la risposta nazionalistico-identitaria alla crisi della globalizzazione. In un mondo sempre più secolarizzato, con le chiese vuote, le persone che escono dalla messa senza sapere cosa sia la comunione, i fondamentalisti usano la religione come un’arma. Lo fanno gli islamisti, che ammazzano, e Salvini, che non ammazza ma usa la croce per chiudere i comizi. La religiosità, la spiritualità, sono andate a farsi benedire».Davanti a tutto questo la sinistra si divide, perde in luoghi considerati culla della socialdemocrazia come la Svezia, si disintegra da noi impegnandosi in guerre intestine.«La sinistra sta scontando un destino che la colpisce di più perché è figlia di questa cultura morente. Il suo pensiero viene dagli enciclopedisti di metà del ’700, dagli utilitaristi inglesi come John Stuart Mill. È depositaria di questo importante nucleo di pensiero, pensa a Gramsci, a Gobetti, a tutta l’onda che ha accompagnato la storia dei partiti e degli intellettuali. Sai perché erano più di qua che di là? Perché erano snob? Per niente, ma solo all’interno di quel pensiero riuscivano a ragionare nei termini in cui un artista, un intellettuale, uno scrittore deve farlo».Non credi come Meloni che c’entri la tessera della Cgil?«Sono chiacchiere da comizio. Le risposte sono più profonde. Perfino quando Bottai organizzava i “ludi littoriali” era costretto a invitare anche gli oppositori del fascismo altrimenti non c’era pensiero, non c’era dibattito. Ma magari Meloni che è donna molto intelligente sta già pensando a come attirare intellettuali e nuova classe dirigente».C’è un tentativo di allargare la base di Fratelli d’Italia, di farne un partito conservatore che si ispira ad altre famiglie politiche. Poi però votano a favore di Orbán contro un rapporto del Parlamento europeo. Non è una contraddizione?«Hanno tirato fuori la faccia vera. Come fai a proclamarti atlantista, europeista, se appoggi chi ha strozzato l’Ungheria, dove non c’è più una voce di dissenso che sia tollerata? L’idea che mi sono fatto, non so quanto sia giusta, è che abbiano vincoli per cui non potevano non farlo».Distruggendo il tentativo di accreditamento internazionale?«Sono ancora dentro il loro passato. Per Fratelli d’Italia voteranno frange nazifasciste che ancora esistono. E non puoi dire solo “quelli che fanno il saluto romano sono dei cretini”, questo è folclore. La sconfessione politica è un’altra cosa. Meloni ha bisogno di quei voti, di quel passato, della sua consistenza elettorale, e per questo vive in una costante ambiguità». —