La Stampa, 18 settembre 2022
Scontro al veleno tra Conte e Renzi
I due non si sono mai amati. Con il tempo hanno imparato a detestarsi. Entrambi ex presidenti del Consiglio e questo, forse, è l’unico elemento che ancora accomuna Matteo Renzi e Giuseppe Conte. A una settimana dal voto, con un occhio ai sondaggi e al loro elettorato di riferimento, decidono di scagliarsi l’uno contro l’altro. Stavolta però le cose scivolano in un terreno pericoloso. E in serata, al termine di una giornata infiammata da un continuo cannoneggiamento a distanza, il leader di Italia viva telefona al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, per fare presente che dopo le «dichiarazioni minatorie di Conte», i suoi canali social sono stati «subissati di minacce di morte e violenza fisica». E per questo, Renzi chiede a Lamorgese «particolare attenzione all’ordine pubblico» per il suo evento elettorale di oggi, a Palermo.
La faida tra i due prende vita a Firenze, dove Renzi, a margine di un comizio, colpisce per primo, dove fa più male. Accusa il Movimento di usare il reddito di cittadinanza «come voto di scambio» per pescare elettori al Sud. Conte è in Sicilia e sbotta: «Renzi venga senza scorta a parlare con i cittadini. Dica che in Italia non serve un sistema di protezione sociale. Venga a dirlo e non si nasconda».
Il leader di Iv trasecola: «"Venga senza scorta” lo può dire un bullo di periferia, non un ex presidente del Consiglio», tuona a InOnda. «Una settimana fa Conte ha detto: “Togliete il reddito di cittadinanza e avrete la guerra civile”. È il linguaggio di Donald Trump, istiga alla violenza e all’odio». Se a Palermo, aggiunge, «succede qualcosa, io considero Conte responsabile morale e mandante della violenza fisica e morale». E da un altro comizio a Genova rilancia ancora: «Quello di Conte è un linguaggio clientelare, sta facendo voto di scambio. Si deve vergognare perché inneggia alla violenza, è un mafioso della politica». Poi, rivolgendosi direttamente al leader del Movimento: «Ti devi vergognare, sei un mezzo uomo, abbi il coraggio di fare un confronto civile».
Un confronto civile, però, è quanto di più lontano esista dallo scontro che si va profilando tra i due. Conte è sempre in Sicilia, tra Enna e Agrigento. Trova il tempo di fermarsi a un incontro con gli attivisti M5S e di replicare al leader di Iv: «Parla di vergogna, ma se non si vergogna lui – chiede -, che si è fatto pagare dagli arabi e ha fatto una marchetta sul Rinascimento Saudita, possono vergognarsi le persone che prendono il reddito di cittadinanza? Lui prende 500 euro al giorno». Pesano ancora, però, le parole con cui ha invitato Renzi a scendere in Sicilia senza scorta. Riecheggia un «linguaggio mafioso», «violento», sottolinea la batteria di parlamentari renziani. Conte, in serata, è costretto a spiegarsi: «Renzi non scambi per un invito alla violenza l’appello che gli rinnovo: si confronti senza filtri con il mondo reale e ascolti la voce di chi non ha niente, invece di stare chiuso nei palazzi a fare una guerra contro i poveri. La smetta con le furbizie e non stravolga le cose». Ribalta quindi l’accusa che gli veniva mossa: «L’unica vera minaccia è quella che lui rivolge ogni giorno verso chi è in gravi difficoltà economiche e non arriva neppure a metà mese». La telefonata a Lamorgese è un altro colpo doloroso, Renzi morde, Conte arretra: «Di tutto mi si può accusare, ma che io possa pensare o incitare alla violenza è fuori da ogni logica. È contrario alla mi«storia, al mio impegno politico e a qualsiasi cosa in cui credo», assicura in serata, ospite di Tpi Fest.
Tutto questo, in fondo, non ha altro obiettivo che mostrare ai propri elettori l’opposta visione del Paese che si ha rispetto all’avversario. Sempre che ai propri elettori, invece, non si sia mostrato fin dove ci si può spingere per qualche voto in più nell’ultima settimana di campagna elettorale. FED. CAP.