il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2022
Paris nella Roma della dolce vita
Anticipiamo stralci de “Il picchio rosso” di Renzo Paris, una raccolta di racconti autobiografici, edita da ES.
Nell’aprile del 1950, il principe Alessandro Torlonia (1925-2017) aveva 26 anni. Era un giovanotto moro, di due metri di altezza. Gli occhi di zolfo sprofondavano sotto le folte sopracciglia; le orecchie finivano a punta e il naso era affilato. Conduceva una vita da avaro, lasciando i saloni delle sue ville illuminati a candela, tutto preso dal conteggio e il riconteggio delle sue immense proprietà. Sorvegliava e sfruttava fattori e contadini di mezza Italia, a cui non aveva mai pensato di regalare una scuola, un asilo nido, case decenti. Feste e caccia alla volpe nelle sue terre dell’Agro erano rarissime e perciò ambitissime. L’avaro principe andava fiero del suo cognome avito.
Negli anni 60, quando vivevo a Roma, la domenica mattina scendevo da Monte Mario fin dentro a piazza San Pietro per rimorchiare le domestiche. Conobbi diversi italian lover con i quali ci scambiavamo le ragazze. I poliziotti della piazza, dopo averci chiesto i documenti, si intrattenevano con noi a parlare delle avventure con quelle devote. Sciamando in via della Conciliazione passavamo davanti a un palazzotto che aveva un atrio zeppo di macchine di lusso, parcheggiate a spina di pesce. Erano di marca tedesca, tutte bianche. Vi figurava anche una Porsche. Il capo degli italian lover, un romanaccio di Trastevere, dopo aver esclamato: “Regà, questi so’ nobili, coi controcazzi!” ci rivelò che quella era la magione del principe Torlonia. Quando ci avvicinammo a una Bmw con l’intenzione di rigarla, l’anziano portiere ci corse dietro. Riparammo a Castel Sant’Angelo. Rivelai ai miei amici quanto odiassi quel principe che aveva sfruttato a sangue i braccianti della mia Marsica, compreso mio padre. “Ma allora sei burino!” mi disse il capo, scoppiando a ridere.
Ci raggiunse un giornalista di Paese sera, che voleva sapere perché eravamo fuggiti. Tornammo davanti a quel palazzo e il giornalista ci fece mettere in posa e scattò una foto. L’avrebbe pubblicata sul giornale il giorno dopo. Noi lo invitammo ad andarsene. Seguivamo un gruppetto di ragazze svedesi, che ci avevano sorriso.
Appurammo dalle confidenze del suo chauffeur che il principe, lasciando a Roma la moglie Alessandra Annamaria Del Drago (1930-2009), era andato a caccia nel Polo Nord, sparando all’orso bianco, dopo aver scuoiato diversi orsi marsicani. Gli piaceva inoltrarsi nelle lande deserte, in completa solitudine, tra Norvegia e Finlandia, nel regno di Babbo Natale. Camminare sulle lastre di ghiaccio, tra le alte nevi che allora sembravano ancora eterne, gli procurava un piacere interiore. Lì non arrivava nessuna voce umana. Si sentiva a tu per tu con Dio, il solo interlocutore alla sua altezza, al quale si raccomandava per il buon esito della caccia. Lo chauffeur ci raccontò che una volta, non trovando nemmeno l’ombra di un orso bianco il principe, offeso, scaricò il suo fucile su balene e pinguini.