La Lettura, 18 settembre 2022
Da "Diari. 1941-1958" di Cesare Zavattini (La nave di Teseo)
14 gennaio 1941
Oggi ho deciso di cominciare questo diario. È una prova di più che io sono come gli altri. Non c’è un momento della mia giornata che mi dimostri il contrario: io sono come gli altri. Può darsi che il quotidiano costante rapporto con me stesso mi allontani da questa idea. L’angoscia che mi dà questa idea deve essere anche per questo: che mi accorgo che gli altri hanno le mie stesse idee, si comportano come me. Anzi, certe mie azioni le vedo chiare solo perché gli altri le ripetono e non sono contento di me, cioè le mie sono cattive azioni.
26 novembre 1942
A letto correggo le bozze di Totò il buono: che almeno per metà è scritto genericamente. Dovrei avere la forza di non pubblicarlo. È un buon, ottimo soggetto di cinema, per questo era nato.
19 gennaio 1943
A cena da De Sica. Gli spiego che cosa sono le «idee nuove» che stanno dominando il mondo. Lo spavento. Ritorno a casa a piedi: mi accorgo che se sono un po’ eccitato (tono alto) penso meglio. La pressione bassa mi toglie un po’ l’estro. Forse dovrei usare alcol con prudenza, ma usarlo.
9 agosto 1943
Ho capito che la guerra, come ogni altra cosa, capita perché deve capitare a causa del comportamento degli uomini. La maggioranza stragrande si comporta male (una bugia, una viltà, le mille ipocrisie quotidiane ecc., portano alla guerra — cioè la guerra è stabile in noi). Quindi migliorare educare l’uomo. Quella delle rivoluzioni la giudico la più facile, e la peggiore. Tutte le rivoluzioni sanguinose non sono necessarie ma sono inevitabili per la loro facilità, per la loro irriflessività (tutto istinto e tornaconto contingentissimo). Dunque per me la guerra non è un mistero. Poi la si mitizza, ma nella sua essenza è la somma dei nostri quotidiani errori. Dico la guerra come qualunque cosa che non rispetta la vita e la dignità umana. (...)
1° gennaio 1944
Ieri sera sono andato a letto alle 10, con l’Olga. C’era un vento mai sentito così pauroso a Roma. A mezzanotte mentre leggevo il giornale di Renard molti e forti spari. Renard mi assomiglia molto, ma io vorrei essere molto diverso da lui e dai francesi, riducono tutto a letteratura. Ripeto dentro di me che la rivoluzione consiste nello scrivere con uno spirito antiletterario. Poter odiare uno scrittore. Le azioni non hanno bisogno dell’eco che è la scrittura delle azioni (ivi compreso tutto ciò che è, pensiero ecc.).
Mi si configura meglio il rapporto diavolo-uomo nella mia commedia: il diavolo è «irritato» contro l’uomo che vive (da quando?) nelle stesse posizioni, eterne, passioni, mistero, fede ecc. Il diavolo gli dimostra il bisogno di togliersi da questa «noia». L’uomo lo segue ma alla fine compie l’atto che il diavolo aveva interrotto. È proprio vero che la natura umana è così, ma è bella «meravigliosa» che sia così. Ed è «sufficiente» perché ciascuno sappia cos’è il bene e il male. Sussistendo la morte, non può essere diversa, è.
2 agosto 1944
Gli italiani non sono solidali fra loro perché non hanno il senso della solidarietà, con nessuno. Picchio su questo nel mio Viaggio per l’Italia.
Oggi ho provato una grande dolcezza, tenerezza, dentro di me, per breve tempo, col desiderio di essere solidale con chicchessia. Potessi smobilitare i miei risentimenti. Come vorrei parlare agli italiani, persino uccidermi perché le mie parole avessero un peso, direi che non siamo peggiori degli altri perché è in noi la possibilità di essere migliori, senza orgoglio. Vedrò domani se dura questa propensione verso il mio prossimo, se dura nel cuore come è chiara nella mente.
Gli umoristi, i cosiddetti umoristi, dei settimanali hanno una grave, una delle maggiori responsabilità del nostro disastro. Gli italiani risolvevano tutto con le vignette del «Marc’Aurelio»; e liquidavano l’arte migliore con il conservatorismo ipocrita del «Bertoldo», e con la stupidità selvaggia del «420». Anche il «Settebello», sotto la direzione di Campanile e mia, non brillò, eravamo come puttane, soprattutto ignari di che cosa è la dignità e la libertà (miti, d’accordo, ma che devono essere con noi anche se non sono mai fuori di noi).
Molte sere dico: domani entro in una chiesa. E il giorno dopo me ne scordo regolarmente.
28 febbraio 1945
C.E. Gadda a colazione da me. Passiamo due belle ore, e intanto noto la mia incapacità a giudicare gli uomini, non afferro un gesto, una parola che me lo riveli. In fondo, io ho di lui un’idea ricevuta, come ho di tanti. Spero di trovargli il modo di tornare a Firenze.
11 maggio 1945
Coletti mi dice: pensa al mio soggetto intanto che ti lavi visto che non hai tempo. E De Sica: pensa al mio soggetto intanto che scendi dal tram. E Bianchi: pensa al mio intanto che vai al gabinetto.
Continuo a rifiutare lavoro.
5 gennaio 1946
È morto Gian Dàuli. Ho provato dolore perché lui mi disse un giorno che gli ero antipatico, con calma anche se con cattiveria. Io non seppi cosa rispondergli (alle Tre Marie) come potrò dimostrargli che sono simpatico? Ecco un’altra cosa impossibile, frutto degli anni. Egli è là con la convinzione che io sono antipatico, isradicabile.
19 marzo 1948
Vedo film Capra Vita meravigliosa: ecco un’altra storia che avrei potuto fare anni fa, clima artisticamente vecchio, falso ecc.; ma sicuro, almeno avrei realizzato certe cose pratiche; a me m’ha rovinato la guerra, se no a quest’ora ero a Hollywood! Vecchio buffone, pensa a ciò che conta.
26 novembre 1949
Visto Lulù di Pabst. Bello. Forte. Essenziale. Io mi accorgo, più lavoro nel cinema, che faccio fatica a far parlare gli attori, risolverei tutto col muto. Lo sto vedendo nella revisione che faccio di Totò il buono: risolvo tutto col minimo di parole, forse come nessuno.
Quante lettere d’addio (suicidio) ho scritto nella testa in vita mia. (...)
Passo un’ora e più a fare i conti. Avevo detto di non farli.
De Sica dice con cattiveria che Blasetti è un cretino e farà male Prima comunione. Vedo inoltre che ci sta male per la mia regia. Dice che andremo in America. Gli ho detto (anzi ripetuto) che ci andrò e rimanderò il mio film. (...).