Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”, 18 settembre 2022
PUTIN TRISTE SOLITARIO Y FINAL – A SAMARCANDA IL PRESIDENTE RUSSO CERCAVA DISPERATAMENTE UN’ANCORA DI SALVEZZA PER LA GUERRA IN UCRAINA E INVECE È STATO ABBANDONATO DA QUELLI CHE RITENEVA I SUOI ALLEATI – XI, MODI ED ERDOGAN HANNO INVITATO “MAD VLAD” A TROVARE UNA SOLUZIONE RAPIDA PER METTERE FINE AL CONFLITTO – ALL’ASSEMBLEA DELL’ONU CHE SI APRE DOMANI SI VEDRA’ SE CI SONO ANCORA PAESI DISPOSTI A SPALLEGGIARE MOSCA… -
«Salvami, salvami, grande sovrano/fammi fuggire, fuggire di qua/ Corri cavallo, corri ti prego/Fino a Samarcanda io ti guiderò/Non ti fermare, vola ti prego/corri come il vento che mi salverò». È poco probabile che Putin conosca i versi della celebre canzone di Roberto Vecchioni. Ma a Samarcanda il leader del Cremlino, in grave affanno sul terreno militare in Ucraina e su quello economico a casa sua, c'era andato proprio a cercare aiuto e metaforica «salvezza». Non solo nel «grande sovrano» cinese, ormai chiaramente egemone nell'amicizia forzata di Mosca con Pechino.
Ma anche in quel gruppo di Paesi della Shanghai Cooperation Organization, che aveva organizzato il vertice e che, sia pur in modo disordinato e poco coeso, si vorrebbe come alternativa multi-allineata all'Occidente, sempre più dominato dagli Stati Uniti. Non torna a mani vuote, lo zar dalle terre di Tamerlano. Quanto meno sul piano dell'immagine, Putin ha potuto mostrare al mondo di essere ancora «salonfähig», presentabile in società, nonostante il solo salotto che continua ad accoglierlo sia fatto quasi esclusivamente di dittatori e autocrati, dove perfino il turco Erdogan e l'indiano Modi possono vantare qualche «apparenza» democratica.
In realtà, se ha procurato al presidente russo alcune generiche dichiarazioni d'amicizia, la cavalcata verso l'Uzbekistan lo ha anche costretto a incassare critiche significative dai due principali membri del club, Cina e India.
Ma se era stato lo stesso Putin, alla vigilia dell'incontro con Xi Jinping, ad ammettere che Pechino nutre «dubbi e preoccupazioni» per il conflitto in Ucraina, nel caso indiano, è stata New Delhi a rivelare che nel faccia a faccia di venerdì con il leader russo, il premier Modi gli ha detto chiaramente che «questa non è un'era di guerra» e che la loro discussione doveva servire «ad avanzare su un percorso di pace».
È un evidente cambio di tono da parte dell'India, storica alleata di Mosca, che pure da quando le sanzioni occidentali sono in vigore ha funzionato da mercato alternativo per le esportazioni russe di petrolio e fertilizzanti. Presi insieme, gli avvertimenti dei due Paesi più popolati al mondo, cui va aggiunto l'invito di Erdogan a «finire al più presto il conflitto ucraino», inficiano la narrazione del Cremlino, secondo cui la Russia non è affatto un paria sulla scena globale. Ma altri indizi, sia in margine al vertice di Samarcanda che fuori, sembrano confermare il progressivo isolamento internazionale di Vladimir Putin.
Punta dell'iceberg del crescente malessere provocato dall'invasione dell'Ucraina nelle Repubbliche dell'Asia Centrale ex sovietica, nessuna delle quali ha mai riconosciuto l'annessione della Crimea, il caso del Kazakistan è forse il più sintomatico. Non solo, infatti il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha di nuovo dichiarato che il suo Paese «rispetta l'integrità territoriale dell'Ucraina» e non riconosce le due Repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk.
Ma, venendo incontro ai suoi timori di una postura sempre più minacciosa della Russia, lo stesso Xi Jinping, sulla strada per Samarcanda ha fatto tappa a Nursultan, la capitale kazaka, dove ha assicurato a Tokayev il sostengo della Cina alla difesa dell'indipendenza, pronunciandosi «contro ogni ingerenza esterna negli affari del vostro Paese». E chi se non Putin, che da mesi usa l'arma del petrolio fermando a singhiozzo le forniture al Kazakistan, prova di continuo a farlo?
Forse ancora più interessanti sono due indizi controfattuali della disperazione di Putin sulla scena globale. Il presidente russo ha infatti raccolto la mano, interessata, tesagli dalla Corea del Nord e dall'Iran, due regimi da anni ai margini della comunità internazionale, che cercano anche loro di sfuggire all'isolamento imposto da sanzioni durissime. In agosto, il dittatore coreano Kim Jong-un ha addirittura parlato di cooperazione «strategica e tattica, supporto e cooperazione» con la Russia, che da Pyongyang sta acquistando ingenti quantità di missili e proiettili d'artiglieria.
Mentre Teheran ha consegnato a Mosca in agosto una prima partita di droni, di cui l'armata russa ha urgente bisogno per le sue operazioni terra-aria e di guerra elettronica. Nell'Iran, che appoggia l'intervento armato in Ucraina, Putin cerca un altro contrappeso all'emarginazione in cui lo spingono le sanzioni dell'Occidente.
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si apre domani a New York, sarà la prima grande verifica della situazione della Russia nell'attuale contesto internazionale. Lo schema della frammentazione è noto: da un lato gli Occidentali, dall'altro la Russia accusata di violare la Carta dell'Onu sostenuta con crescente cautela dalla Cina.
In mezzo un gruppo anche maggioritario di Paesi che non vogliono fare una scelta di campo, contestano un ordine globale a guida americana, non condannano ma neppure sanzionano Mosca traendone vantaggi concreti, più multi-allineati che non allineati, visti i rapporti asimmetrici che intrattengono con gli altri due campi. Al Palazzo di Vetro, Putin non ci andrà. Ma il vero convitato di pietra sarà proprio lui.