Robinson, 17 settembre 2022
L’amore omosessuale durante il Ventennio
Quando, sul finire degli anni ’ 80, Gianfranco Goretti – all’epoca giovane studente della Sapienza – decise di voler scrivere una tesi di laurea su Genet e gli omosessuali uccisi dai nazisti, incontrò, per fortuna, qualcuno che gli fece cambiare idea. Perché, invece, non occuparsi di ciò che accadde agli omosessuali durante il fascismo? Quella sì che sarebbe stata una storia da raccontare. Certo, tutti sapevano che durante il regime centinaia di italiani, quasi tutti uomini, furono arrestati, schedati e mandati al confino. Ettore Scola aveva già girato Una giornata particolare con Mastroianni confinato a Carbonia, e Bassani scritto Gli occhiali d’oro, in cui si alludeva a un esilio politico. Ma poco e niente si sapeva di quelle storie. Goretti si mise al lavoro e la sua tesi, poi diventata un saggio scritto a quattro mani con Tommaso Giartosio, è, oggi, un prezioso volume dal titolo La città e l’isola ( Donzelli), pubblicato per la prima volta nel 2006 e tornato in libreria con un testo inedito di Vittorio Lingiardi. Che, giustamente, ne sottolinea l’importanza non solo a livello antropologico e sociale, ma anche «come riflessione, appassionata e rigorosa, su archiviazione e liberazione della consapevolezza omosessuale».
Torniamo indietro. Goretti, dicevamo, all’epoca è poco più che un ragazzo e, per scrivere la sua tesi, non può che far affidamento su una serie di documenti recuperati per il rotto della cuffia. Scopre che, solo a Catania, nei primi mesi del ’39, vennero arrestate quarantacinque persone e intuisce che, per portare avanti la sua ricerca, deve cominciare proprio da lì. Va, quindi, in Sicilia. Con sé non ha che dei fogli con sopra i nomi e le date di nascita dei confinanti. Trova un telefono pubblico e, della lista, cerca solo quelli che, al momento dell’arresto, avevano meno di trent’anni. I tentativi vanno a vuoto per un paio d’ore finché, dall’altra parte del telefono, non trova le persone giuste: Filippo e Salvatore. Se i nomi sono di fantasia, ciò che raccontano, al contrario, non lo è affatto. E quel che viene fuori è uno spaccato, nudo e crudo, del mondo omosessuale catanese di un secolo fa. Dalla scoperta del sesso a otto anni – «all’epoca non c’era questo schifo di oggi» si legge, «c’erano tavoli fuori dai bar e chi ci diceva: alla prima traversa svolta, aspettami che sto venendo» –, alle marchette nei cinema o ai giardini di piazza Roma, tra personaggi epici – su tutti, Eugenio ’ a Bastarduna, Raffaele ’ a Leonessa e Agatino ’ a Placidina – e assassinii misteriosi.
Sappiamo che, a differenza del Paragrafo 145 di Hitler, il Codice Rocco redatto dai fascisti non puniva espressamente gli omosessuali. Nella bozza del 1927 era sì previsto un articolo a tal riguardo ma, alla fine, si decise di eliminarlo. In fondo,prevedere il reato di omosessualità voleva dire ammetterne l’esistenza. Ad ogni modo, con l’avvento di un nuovo questore, a Catania iniziò la repressione. Gli omosessuali vennero schedati e sottoposti a interrogatori sfiancanti. Si trattava perlopiù di operai, sarti, contadini, qualche impiegato, quasi tutti analfabeti. Stando alla ricostruzione del libro, al confino si sbarcava quasi sempre di lunedì, come per l’inizio di un nuovo lavoro. «Gli altri ci aspettavano con tutti i fiori, dicendo: eeeh, è arrivata ’ a bellezza ’ e Catania!» racconta un testimone, chissà, forse per sdrammatizzare. Si viveva con le cinque lire giornaliere e alloggiando in cameroni comuni e, tra le tante regole da seguire, si aveva l’obbligo di fare il saluto romano a ogni appello, segno di adesione incondizionata al regime. A tal proposito, nel libro si racconta un aneddoto curioso riguardante i confinanti di Ustica e delle Tremiti. Seppur ospitassero un numero esiguo di omosessuali e antifascisti ( tra i quali, seppur per poco, Pertini) le due isole furono teatro di un’insurrezione proprio contro il saluto romano. Fu tale, la protesta, che l’allora direttore dovette andarsene. Ma oltre ai vari aneddoti e ai personaggi più o meno colorati che si incontrano tra le pagine, la peculiarità di questo libro non è solo quella di aver raccontato in maniera inequivocabile un trascorso di storia dimenticata, ma anche, e questo l’avrete già intuito, quella di aver descritto una Catania, perciò un Sud, del tutto inediti. Emozionante, in tal senso, un’immagine nel volume: è stata scattata in Calabria e raffigura una serie di uomini che ballano stretti l’uno con l’altro, dodici anni dopo la caduta del fascismo. Sembra suggerirci che, alla fine, contro l’odio trionfa sempre una cosa soltanto.