Tuttolibri, 17 settembre 2022
Intervista a Thomas Gunzig
Dicono che per riscattare i diritti di alcuni racconti abbia sfidato, e vinto, il suo editore in un incontro di karate. E che Thomas Gunzig ami le tenzoni originali, genialmente iconoclaste, l’ha dimostrato prendendo in giro anche il padre eterno con la sceneggiatura dell’esilarantissimo film che l’ha reso famoso, storia di un Dio che esiste, vive a Bruxelles, rancoroso con l’umanità e con il figliolo animato da propositi troppo «cristiani». Ex libraio, docente di letteratura, oggi Gunzig è uno scrittore di culto non solo in Belgio, che si diverte a scrivere storie bizzarre, a metà tra i fratelli Dardenne (per l’emarginazione e la critica sociale) e i fratelli Cohen (per l’estro di surreale realismo). E usiamo il cinema come pietra di paragone non solo perché Gunzig lo pratica, ma anche perché la sua scrittura è lucida, precisa, visiva come un fotogramma.
Il protagonista, ha più o meno la sua età e il suo nome: Tom è per caso lei?
«Un po’ sì e un po’ no, come tutti i personaggi romanzeschi. Son fatti della stessa materia degli scrittori che li inventano. Con il vantaggio che possono condurre una vita disinvoltamente immaginaria».
Quindi anche lei frequenta la palestra?
«Sì, più volte alla settimana».
Il bodybuilding è un antidoto al “pantano colloso” della realtà?
«Praticare uno sport è il miglior sistema per “uscire da se stessi”. Mente e corpo diventano una cosa sola. Tutto ciò che occupa la mente, e che spesso la ingombra, scompare. È una grande pulizia della coscienza, come quando si aggiorna il pc. Ciò detto, il bodybuilding è una disciplina assai particolare perché implica l’idea di modificare il proprio fisico. È un potere magico, soprannaturale. Puoi capovolgere il determinismo della genetica chiunque tu sia. Madre Natura ti ha fatto mingherlino? Con i pesi puoi gonfiare i muscoli come tacchini natalizi».
I muscoli significano ancora sicurezza per il maschio?
«Sì. È qualcosa di profondamente radicato nella mente delle persone. Nella maggior parte dei casi gli eroi sono raffigurati come uomini nerboruti. Nonostante sappiamo che è una costruzione culturale, continuiamo a collegare la virilità (e i concetti di “protezione” e “sicurezza") alla massa muscolare».
Tra le icone di perfezione e forza fisica cita Van Damme, che tra l’altro è belga come lei…
«Ci sono vari esempi di corpi spettacolari. Van Damme è riuscito a coniugare una massa muscolare imponente con la leggerezza. Schwarzenegger, per esempio, era parecchio muscoloso ma pesante. Bruce Lee era leggero e veloce, ma non troppo muscoloso».
N7A, la ragazza-mucca del romanzo, ha il volto di una pornostar: perché ha pensato al porno per dare una sembianza umana al prodigio genetico e non (per esempio) a un quadro di Rembrandt o a una protagonista della politica?
«N7A è stata creata da un uomo incolto privo di fantasia. È uno scienziato brillante ma la sua “idea” di donna è terribilmente immatura. Una donna desiderabile per lui assomiglia all’immagine stereotipata della playmate. Mi interessava mostrare come N7A, ma anche Tom, o sua moglie, o suo figlio, riuscissero a uscire dai loro ruoli per diventare semplicemente se stessi. Tom non è solo “ebreo” o “body-builder”, N7A non è solo una donna con un fisico da pornostar e così via. La tematica principale del Sangue delle bestie è la fuga dalle etichette che la società ci assegna, la scoperta di ciò che siamo davvero, la difficoltà di comprendere e accettare i desideri».
A proposito di “ruoli": l’ebraismo suscita in Tom feroci tormenti e sensi d’inferiorità, leniti in parte con l’ironia. È davvero così difficile nascere ebrei?
«Ci sono un’infinità di modi di sentirsi ebreo. Ed è estremamente complicato comprendere ciò che questo significa. Si può essere ebrei per religione, o perché vieni allevato secondo la tradizione, o semplicemente perché gli altri ti considerano “ebreo” anche se non segui la tradizione né i precetti religiosi. Nel mio caso, ho genitori totalmente atei e mia madre, per giunta, non è neppure ebrea. Però sono cresciuto con il ricordo di un nonno deportato e morto in campo di concentramento. Papà ha vissuto nascosto durante la guerra e mi ha trasmesso, suo malgrado, l’idea del pericolo, della minaccia, il terrore che si possa essere identificati e giudicati colpevoli sulla base di presunte caratteristiche fisiche o culturali. È una paura insidiosa, latente, costante che credo mi sia rimasta dentro nel profondo. E quando parlo di caratteristiche fisiche, quelle attribuite dalla notte dei tempi agli ebrei sono negative: bassi, deformi, mostruosi. Mio padre le ha interiorizzate. Usa spesso l’espressione “piccolo ebreo”. Io sono cresciuto nella convinzione di essere piccolo e brutto».
Più o meno come Tom che sogna riscatti scandalosi e divertenti… tipo immaginari cunnilinguus su «ariane» valchirie, liberatori quanto la “Fuga dall’Egitto": non le sembra di essere troppo audace con metafore del genere?
«La scrittura e l’arte sono per definizione luoghi di libertà e trasgressione. Possiamo e dobbiamo permetterci tutto, in particolare in un mondo dove il politicamente corretto è sempre più cogente e dove l’industria culturale teme più che mai di scioccare. Tom è posseduto dal desiderio disperato di reintegrarsi nella normalità, di sentirsi accettato dall’universo che si trova al di fuori della sua ebraicità. Lui che è nato per essere vittima, percosso e umiliato, deportato e gassato, snobbato dalle cavallone bionde, sogna una rivincita anche erotica. Ecco spiegata la sua fantasia sulle valchirie».
L’antisemitismo è ancora forte in Belgio?
«In Belgio esistono diverse forme di antisemitismo e sono tutte ben presenti. C’è l’antisemitismo “classico” di cui si parla poco, che può affiorare in qualunque momento nelle conversazioni quotidiane riprendendo i classici cliché sugli ebrei che amano il denaro, vanno d’accordo tra loro.... C’è l’antisemitismo “perbenista” nel quale ti puoi imbattere nel mondo della finanza o del potere, dove gli ebrei sono ben visti in quanto ebrei, considerati scaltri, con il fiuto per gli affari, abili nel mercato dell’arte... E poi c’è l’antisemitismo serpeggiante nelle comunità islamiche che nasce da posizioni anti-israeliana».
La passione amorosa è come «la radioattività di un elemento i cui isotopi si disintegrano pian piano» e non c’è verso di impedirlo?
«È ciò che Tom pensa all’inizio. Il corso della “storia” gli farà però capire che è una convinzione sbagliata. L’amore non scompare né si disintegra: semplicemente muta. Ma di questa lunga e lenta trasformazione, purtroppo, si parla poco. Nella concezione classica dell’amore, il sentimento deve rimanere tale e quale al primo giorno. Le coppie si spaventano ai primi segnali di cambiamento nella passione, nel desiderio, nei progetti... Se si imparasse ad accettare che l’amore è un elemento dinamico e non esiste un unico modello di felicità coniugale si eviterebbero tante separazioni».
"Il sangue delle bestie” è anche un romanzo sulla felicità: lei è felice?
«Lo sono a fasi alterne come la maggior parte degli esseri umani. Per esserlo faccio sport, leggo libri, cerco di non frequentare troppo i social. E soprattutto mi sforzo di portare a termine le cose».
Scrivere è un esercizio gioioso?
«Il romanzo è un’impresa ardua, arida, impegnativa ma, se riesco a creare più o meno ciò che voglio, è fonte di estrema felicità. Suscitare emozioni nei lettori è forse il mio modo di cercare di essere felice».
Il titolo pulp («Il sangue delle bestie») è di per sé impressionante, nel testo poi si precisa che ogni secondo vengono uccisi 2mila animali, 65miliardi all’anno: il suo romanzo è un j’accuse animalista contro questa immensa, silenziosa, strage degli innocenti?
«Attraverso N7A volevo provare a spiegare che cosa significa essere un animale in un mondo di umani. Dev’essere qualcosa di terribile. Se appartieni a una di quelle specie che offrono un supporto emotivo, tipo cani o gatti, sei fortunato. Altrimenti sei destinato a morire: o per la tua carne, o per la tua pelliccia, o perché sei considerati pericoloso».
Perché l’uomo è così crudele verso gli animali?
Perché l’uomo sa di essere debolissimo al cospetto della natura. Il mondo è pieno di creature che potrebbero annientarlo in un istante, squali, leoni, scimmie, canguri, zanzare… Ha sviluppato un’immensa capacità tecnologica per non soccombere. Purtroppo questo potere non è stato accompagnato da uno sviluppo del senso etico. Il più delle volte la morte di un animale ci lascia indifferenti. Li percepiamo, magari inconsciamente, come esseri inferiori, una nostra proprietà, una risorsa da sfruttare. Fatichiamo ad accettare che gli animali sono in grado di provare emozioni, che sono creature uguali a noi, nostri fratelli e nostre sorelle».
Lei è per caso vegetariano?
«Può sembrare paradossale dopo tutto quello che ho appena detto ma no, non lo sono (anche se ho notevolmente ridotto il consumo di carne rossa)».
Possiede animali?
«Ho un gatto molto molto vecchio, che ha appena festeggiato i vent’anni».
Ha immaginato che dio esiste e vive a Bruxelles... è davvero una città così «divina»?
«Credo sia la meno divina di tutte le città. Sembra aver perduto ogni nozione di spiritualità. Quindi confortevole per un Dio che era il meno divino di tutti gli dei. Amo Bruxelles. È piccola, non sempre bella, un po’ complicata. Non ha avuto vita facile, è stata rifiutata dalla Vallonia e dalle Fiandre. È una città che fa quel che può».
Perché ama il grottesco per raccontare le sue storie?
«Il più bel regalo che un autore fa al lettore è aiutarlo a ridere. Purtroppo la risata è mal vista in letteratura. Si pensa che la “grande letteratura” debba trattare in modo serio argomenti seri. Io sono convinto del contrario. I grandi romanzi devono saper essere (a tratti) anche divertenti. Come lo sono Madame Bovary, Il conte di Montecristo, L’amore ai tempi del colera, Kafka… Inserire elementi comici in una storia non sempre è facile. Chi vi rinuncia lo fa perché non ci riesce. Ecco perché considero i romanzi non divertenti, romanzi incompleti, per non dire falliti».
Che cos’è che prende sul serio?
«L’amore che provo per i miei figli».
Conosce Carducci, il poeta italiano che ha dedicato una poesia a un bovino che potrebbe piacere a NA7?
«No».
Inizia così: T’amo, o pio bove; e mite un sentimento/Di vigore e di pace al cor m’infondi,/O che solenne come un monumento/Tu guardi i campi liberi e fecondi…
«Non la conoscevo affatto. È magnifica, Grazie!» —