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 2022  settembre 17 Sabato calendario

Meloni difende Orban


ROMA Mentre sembra chiudersi, almeno per ora, il caso dei finanziamenti russi ai partiti italiani, si incendia quello del voto di FdI e Lega al Parlamento europeo contro la relazione che condanna l’Ungheria («Non può essere considerata pienamente una democrazia») e ne chiede la sospensione di una parte dei contributi.
Fa rumore un voto che per Meloni, dicono i suoi, era necessario per una questione di princìpio, perché si tratta di un precedente grave che, una volta applicato, può essere ripetuto per chiunque si voglia colpire. E se Francesco Lollobrigida dice che la nostra Costituzione è chiara: «La sovranità appartiene al popolo», Guido Crosetto pensa che «a lei non interessi nulla dell’Ungheria, a lei interessa il destino dell’Italia». Ma fa rumore anche perché Silvio Berlusconi ha preso le distanze: se ci saranno atteggiamenti anti europei, FI uscirà da un eventuale governo di centrodestra.
Ma il messaggio del Cavaliere e la frenata di alcuni suoi fedelissimi non devono aver colpito più di tanto Meloni, storicamente vicina a Viktor Orbán, in dissenso con lui per le posizioni sull’Ucraina ma spesso in sintonia su quelle valoriali. Infatti ieri, parlando a Radio Anch’io, la leader di FdI ha spiegato il voto del suo partito: «Orbán ha vinto le elezioni, più volte anche con ampio margine, con tutto il resto dell’arco costituzionale schierato contro di lui: è un sistema democratico. Dopodiché, i modelli dell’Est sono diversi dal nostro? Sì. E questo perché fino agli Anni ‘90 li abbiamo abbandonati sotto il giogo sovietico. E ora dovremmo dare loro una mano». E ancora: «Se si vota un documento contro l’Ungheria lo si deve fare circostanziando le accuse e questo non c’è stato. Tutti i partiti ungheresi si sono indignati, anche quelli che si oppongono a Orbán. È una dittatura davvero?».
Parole che scatenano gli avversari. «È stata messa una maschera a uso esclusivo di un elettorato moderato per nascondere una destra estrema: quel voto è gravissimo», dice Enrico Letta. «Meloni non sa cos’è una democrazia liberale, dove non si può toccare lo Stato di diritto», aggiunge Carlo Calenda. E Giuseppe Conte, che non aveva mai contestato la legittimità di Meloni a governare, cambia marcia di fronte al voto: «Se condividono la linea di Orbán, difendono un loro amico, Meloni e Salvini per me, cittadino italiano prima che politico, diventano inidonei a governare in Italia».
Ma nel centrodestra, il giorno dopo, si cerca di abbassare la tensione. Antonio Tajani prima ribadisce con forza la posizione del suo partito: «La nostra collocazione è molto chiara, noi siamo dalla parte dell’Europa. Per noi l’appartenenza alla famiglia dei liberali è fondamentale. Noi siamo una forza europeista, cristiana e atlantica. Le nostre scelte sono inequivocabili». Però, aggiunge, «quando giro per l’Italia non mi chiedono dell’Ungheria, ma delle bollette». E in ogni caso «noi siamo sempre stati in difesa dello Stato di diritto, ma non solo in Ungheria o in Polonia, lo siamo ancora a Malta, in Slovacchia, dove due governi socialisti sono stati coinvolti nell’omicidio di due giornalisti» e dove «non ho sentito una sola parola di condanna da parte della sinistra per atti gravissimi: la difesa della democrazia deve essere fatta in ogni caso».