La Stampa, 17 settembre 2022
Alluvione nelle Marche, storia di una tragedia annunciata
È difficile mantenere accesa la luce del ragionamento mentre il dolore per le vittime e l’indignazione ti prendono alla gola, ma forse è necessario farlo da subito, perché le litanie di convenienza non prendano il sopravvento. Quanto accaduto nelle Marche è un fenomeno naturale un tempo raro e forse inaspettato per quella intensità, ma che non può essere ascritto agli eventi eccezionali, irripetibili, per varie ragioni. L’espressione meteorologica, con il corredo di fenomeni relativamente nuovi come i temporali autoalimentati, è di potenza rara, ma diventerà sempre più frequente nel prossimo futuro. La causa climatica è, invece, ben nota: le emissioni delle attività produttive dei sapiens hanno pompato gas serra con il risultato di riscaldare l’atmosfera e gli oceani e indurre, fra l’altro, anche le perturbazioni meteorologiche a carattere violento. All’alba del XXI secolo le catastrofi naturali non esistono più, esistono gli eventi naturali che diventano catastrofici solo per causa nostra. Dunque dovevamo e dobbiamo aspettarci fenomeni di questo genere anche fuori dalla regioni che un tempo li subìvano e anche fuori dalle stagioni canoniche, anzi: la fine dell’estate è uno dei momenti più propizi per tali fenomeni, per via del gran caldo non ancora evacuato e dell’incontro con masse d’aria più fresche da Nord e dall’Atlantico.
Ma questo è anche il momento di dire chiaramente che non è più né lecito né etico continuare a spargere dubbi, privi di qualsiasi fondamento scientifico, sulle responsabilità dei sapiens nel cambiamento climatico: l’intera comunità scientifica di specialisti del clima ha dichiarato, in decine di migliaia di articoli pubblicati, che il cambiamento climatico attuale è diverso da quelli del passato, accelerato a dismisura e dipende dagli uomini. Il consenso degli scienziati è vicino al 100%, roba che nemmeno la gravitazione universale. I dati sono inequivocabili e non hanno rango opinioni diverse, se non dopo aver prodotto altri dati di segno opposto che, al momento, non ci sono. La scienza del clima non è la nazionale italiana di calcio, per la quale siamo tutti ct: se qualcuno ha dati diversi, scriva le sue ragioni sulle riviste deputate e si sottoponga al controllo dei suoi pari, non rilasci interviste ai giornali. E anche i nostri ricordi del passato contano zero, dal punto di vista scientifico, e, nella maggioranza dei casi, sono percezioni fallaci: così caldo come nel 2022 non ha mai fatto, questi sono i dati.
Se è vero che ormai piove in qualche ora la quantità d’acqua che, in un passato sempre più lontano, cadeva in sei mesi, è anche vero che ormai lo sappiamo bene, almeno a partire dalla prima di queste cosiddette flash-flood italiche (un po’ impropriamente chiamate bombe d’acqua), quella della Versilia del 1996. Inoltre le previsioni del tempo si sono raffinate, anche se non è sempre facile tradurre in un bollettino situazioni complesse e tendenzialmente variabili fino all’ultimo istante. In ogni caso, laddove ci fosse un problema di interpretazione di colori o gamme di rischio, sarebbe ormai buona norma prendere le massime precauzioni possibili, cosa che gli amministratori sul territorio fanno spesso malvolentieri. È vero che solo un’allerta su tre risulta, alla fine, giustificata, ma questa è una fortuna, non un problema, come insegna l’esperienza del sindaco Bloomberg nella Manhatthan del 2012, quando fece evacuare la città e spostare tutte le auto nell’imminenza dell’uragano Sandy rivelatosi poi poco più che una tempesta. Una decisione coraggiosa.
Ma se il problema climatico è, in ultima analisi, colpa degli uomini, ancora peggio vanno le cose quando gettiamo lo sguardo a terra. Il territorio italiano è stato devastato da decenni di costruzioni che hanno sparso asfalto e cemento al ritmo di uno o due metri quadrati al secondo: nessun Paese d’Europa ha subito uno scempio simile. Questo significa che i sapiens italici hanno invaso ogni chilometro di questo sciagurato Paese, attestandosi di preferenza nei pressi dei corsi d’acqua, ignorando che il letto del fiume non è solo quello dove scorre, ma tutto quello di pertinenza, molto più ampio. Nelle immagini dal’alto dell’alluvione marchigiana si vede che questa tendenza è stata rispettata e amplificata anche lì, fatti salvi i centri storici antichi di secoli, dove, forse non per caso, l’acqua è passata e non si è fermata. Dovunque la stessa storia: piove in maniera abnorme, ma il problema è a terra, dove tutto è diventato impermeabile e l’acqua non si infiltra più nel sottosuolo, come dovrebbe, ma resta in superficie gonfiando a dismisura fiumi e torrenti che non sono in grado di evacuare tutta quell’acqua in eccesso. Contribuendo, inoltre, a non ricaricare le falde idriche profonde ormai esauste. Insistendo, infine, su terreni resi secchi e duri da mesi di siccità: un cane che si morde la coda. Per non dire della manutenzione mancata, purché non si pensi di risolvere il problema tagliando qualche albero qua e là.
Questa ennesima alluvione si iscrive nel novero delle altre recenti, ma dovrebbe portarci almeno un paio di riflessioni. La prima: non tutti i partiti hanno messo l’emergenza climatica al primo posto della loro agenda. Lo facciano senza por tempo in mezzo e senza dare alcuno spazio ai negazionisti che fanno ancora perdere tempo prezioso: ci si divida su tutto, ma non sul fatto che bisogna agire contro le cause del cambiamento climatico e mitigandone gli effetti, decarbonizzando la società e caricandone l’onere sulle spalle di chi ha inquinato e lucrato fin troppo, a partire dalle corporation petrocarboniere. Ora ci viene in soccorso anche la Costituzione, con le integrazioni all’articolo 9 in cui si tutela non più solo il paesaggio, ma anche l’ambiente e gli ecosistemi: non agire contro il cambiamento climatico è diventato incostituzionale. La seconda è che bisogna che i sapiens facciano un passo indietro. Non solo concreto dai posti più pericolosi, perché da lì bisogna spostarsi e basta, ma anche figurato, dall’assalto che hanno perpetrato alla natura come se si potessero tirare fuori dal mondo. I fiumi meno li tocchi, meno danno fanno; meno sclerotizzi il territorio, più esso diventa resiliente. E noi insieme con lui. Rinaturalizzare l’ambiente recherà vantaggi a tutti, non fare nulla porta a disastri come questo. —